È passato un anno esatto da “Framing armageddon (something wicked part 1)” e gli Iced Earth decidono di dare alle stampe “The crucible of man (something wicked, part 2)”. Sinceramente i dubbi che avevo prima di ascoltare il cd erano moltissimi, visto che già il primo capitolo non era stato chissà che… penso sia superfluo aggiungere che non sono stati fugati. Personalmente potrei anche concludere questa recensione semplicemente dicendovi che se invece di due album quasi inutili ne avessero scritto uno solo ma buono sicuramente sarebbe stato meglio, ma non è professionale, quindi vedrò di andare un po’ più a fondo con la questione.
I due cd portano un sottotitolo abbastanza ingombrante, essendo una sorta di prosecuzione dell’album “Something wicked this way comes” del 1998, disco di ben altro spessore e che avrebbe meritato un seguito migliore… e non è bastato il ritorno del figliol prodigo Matt Barlow per far si che questo accadesse. Anzi, devo dire che per alcune cose ho rimpianto il buon vecchio Tim “Ripper” Owens, anche se bisogna ammettere che il timbro caldo di Matt si adatta meglio alle composizioni della band. Il punto focale del flop del cd però non è da attribuire all’(ex) lungo crinito e rosso singer, ma al songwriting di Jon Schaffer, mai come in questo periodo piatto e privo di idee vincenti.
L’album presenta quindici brani per un’ora di musica, tra intro, outro, intermezzi vari e qualche song più lunga, e come per il suo predecessore sarebbe bastato focalizzare l’attenzione su otto-nove brani ben congegnati invece di disperdere le idee con riempimenti inutili. Il fatto poi che quasi tutti i brani siano assestati su mid tempo non agevola di certo l’ascolto, che fa comparire spesso e volentieri sbadigli e noia. Manca il brano che ti si stampa in mente, manca un ritornello che ti faccia già cantare dopo il primo ascolto, manca il brano spacca ossa che ti fa sfondare le casse dello stereo.
L’intro non è malvagio e l’opener “Behold the wicked child” mi aveva fatto ben sperare, salvo poi dovermi ricredere una volta giunto a metà brano… e fino alla traccia numero tredici, “Divide and devour”, che dà un leggero scossone al disco, tutto fila lento e noioso, senza mordente. Non ho poi capito la scelta di inserire una sequela di brani corti che si interrompono proprio quando uno si aspetterebbe il decollo… ok, probabilmente seguono l’andamento del concept, ma è un modo quanto meno strano di approcciarsi ad un lavoro del genere…
Se del precedente cd avevo salvato, in fase di recensione, almeno quattro brani, questa volta il piatto è molto meno ricco. Non me ne vogliano i fans sfegatati della band, ma non ci siamo proprio. Lo sterile tentativo di metter su un album epico per dare maggiore enfasi alla storia è miseramente fallito. D’altra parte non tutti sono i Blind Guardian… un motivo ci sarà pure, no? Come detto, lo stile della band si è spostato notevolmente verso un metal più classico ed epico negli ultimi anni… beh, il consiglio è quello di tornare decisamente verso lidi più thrash, che sono poi quelli più consoni alla penna di Shaffer…
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