(22 luglio 2009) Nine Inch Nails + TV On The Radio + Animal Collective, 22 Luglio 2009 (Ippodromo Capannelle, Roma)

Info

Provincia:RM
Costo:40 €
Dopo due decenni di carriera i Nine Inch Nails (o meglio la creatura personale di Trent Reznor) decidono di dire basta, e con un tour di addio hanno deciso di omaggiare tutta la schiera di fans che in tanti anni di onorata militanza li hanno seguiti e supportati, anche se al di là di facili sentimentalismi è proprio il caso di dire che i NIN hanno ulteriormente dimostrato di essere un progetto solido e potente, con ulteriori margini di evoluzione. Ad ogni modo ormai il dado è tratto e stando a quanto dice Reznor la decisione appare irrevocabile.

Ad essere del tutto onesto mi sarei aspettato un'affluenza di pubblico maggiore, ma questo non significa che i numeri fatti registrare all'Ippodromo di Capannelle non siano di tutto rispetto, e sicuramente il merito è anche della Live che è riuscita a trascinare sino a Roma questa creatura eclettica ed innovativa che ha irrimediabilmente segnato la decade degli anni 90. La scaletta di stasera prevede oltre ai NIN altre due realtà decisamente lontane da qualsiasi retaggio Heavy Metal. Animal Collective e Tv On The Radio.

Quando i primi salgono sul palco il vero protagonista è il caldo che si scaglia in maniera alquanto arrogante su tutti i presenti, soffocando fra l'altro qualsiasi spinta energica nei confronti della band di apertura. Proprio a dirla tutta nemmeno gli Animal Collective sembrano così propensi ad aiutare il pubblico, a causa della loro Elettronica dal taglio fortemente sperimentale e molto poco scorrevole. La loro setlist si trattava in pratica di un'ora di "musica" di fila in cui sono stati manipolati e ricostruiti suoni e flussi che con un clima simile sono riusciti soltanto nell'intento di ammorbare anche le pietre. Forse troppo intellettuali, troppo "avanti", forse semplicemente troppo in tutti i sensi. Le voci della disperazioni non sono tardate ad arrivare sotto al palco e qualcuno iniziava a gridare basta dalla disperazione, e anche altro di non molto ripetibile... ma alla fine c'è voluta un'ora piena e straziante. Gli Animal Collective sono difficilmente etichettabili, il loro continuo balzare da sperimentazioni Noise ad attacchi frontali ruvidi e abrasivi, per poi passare in situazioni più rilassate e fluide non fa altro che disperdere l'ascoltatore, anche a causa di idee veramente ostiche e poco coinvolgenti.

La situazione cambia con la venuta dei Tv On The Radio, anche loro inclini all'uso massiccio dell'Elettronica, però con più razionalità e meno spregiudicatezza. Rispetto agli Animal Collective il salto di qualità è notevole, almeno nel loro caso il tutto assume una più consona forma canzone che si fa apprezzare anche dal pubblico, finalmente in procinto di riscaldarsi in attesa dei NIN. La band si è dimostrata estremamente capace nel sapersi rapportare con i fans, anche per una spiccata attitudine Rock. Purtroppo il loro show è stato rovinato in parte da un'acustica mediocre, che impastava i suoi e creava una eco decisamente fastidiosa, un fattore che a lungo andare ha creato qualche momento di stanca. Pur essendo penalizzati da fattori tecnici il gruppo ha dato prova di avere le carte in regola per tenere le assi di un palco, soprattutto dinanzi un pubblico che ormai non aspettava altro che salutare per l'ultima volta la creatura di Trent Reznor.

Sono le 22 quando le luci si abbassano e la tensione sale. Soltanto qualche minuto dopo è un'ovazione, contornata da un impianto luci che ti sfascia la retina al primo colpo tanta era la potenza delle luci bianche. Quando Trent Reznor sale in scena sarà un continuo per due ore di musica che non hanno conosciuto pausa alcuna. L'intensità e la potenza è quella dei grandi all'apice della carriera, che viene omaggiata con estratti da tutta la loro nutrita discografia, fra paesaggi Industriali e sferzanti escursioni in ambienti Rock/Metal. Partendo da Pretty Hate Machine fino ad arrivare ai giorni nostri i Nine Inch Nails hanno ripercorso due decenni di storia della musica alternativa, il tutto con una qualità audio realmente sorprendente, soprattutto rispetto a quella dei due gruppo spalla. Il pubblico è praticamente in un costante delirio mistico e non si tira mai indietro quando si tratta di farsi sentire, figuriamoci in canzoni come Hurt e Somewhat Damaged.
La commistione fra anima meccanica e anima umana è praticamente perfetta, un mix che viene supportato alla perfezione da un gruppo estremamente compatto e concentrato, quindi nessuna sbavatura o imperfezione. E' tutto tremendamente freddo e gelido ma al tempo stesso carnale e viscerale, un concerto dove il concetto di Rock rivive tranquillamente al di là di un fortissimo uso di synth ed Elettronica. Un viaggio nel tunnel degli orrori, fra atmosfere gotiche ed inquietanti, per poi passare attraverso delle sferzanti scariche di adrenalina sempre magistralmente gestite da un Trent Reznor veramente in forma. Lo show va spegnendosi sull'ultima traccia del capolavoro The Downward Spiral, lasciando la pesante sensazione che i Nine Inch Nails abbiano ancora le carte in regola per andare avanti ancora molto tempo, ma evidentemente è meglio lasciare all'apice che trascinarsi come uno zombie. Ci vuole coraggio, del resto non gli è mai mancato. Non resta molto altro da dire, i NIN hanno salutato il pubblico Italiano per l'ultima volta nella maniera migliore che conoscono: regalando un concerto suggestivo ma al tempo stresso estremamente concreto e penetrante, il miglior congedo possibile, un live set di cui non si perderà memoria per molto tempo ancora.
Foto a cura di Francesca D'Alessio.

In coda a questo live report troverete un'analisi in merito alla discografia dei Nine Inch Nails (ristretta ovviamente ai soli album da studio), un modo per tributarli dopo venti anni di carriera e ulteriori milioni di dischi venduti. Questo del 2009 è il loro ultimo tour, quello di addio, ed è forse il momento giusto per tentare di raggiungere chi magari ancora li conosce poco.

Pretty Hate Machine (1989)
Sul finire degli anni 80 forse nessuno si sarebbe aspettato una band come i Nine Inch Nails, con quella vena innovativa che faceva intuire quelle che sarebbero potute (e sono state) le successive evoluzioni artistiche verso un qualcosa di molto personale ed originale. Pretty Hate Machine (Halo 2) non fu soltanto un debutto discografico valido e corposo, era più che altro un manifesto sonoro in cui si potevano, e si possono ancora adesso, vedere e ascoltare le fondamenta più concrete di quello che oggi viene definito Industrial Rock, con buona pace del Reverendo Marilyn Manson. Il disco si presenta in maniera molto diretta ed asciutta, dove le idee basilari sono poche ma ben sfruttate e analizzate, con quella decisione che ha sempre caratterizzato lo stile di Trent Reznor. Fra qualche richiamo al Synth Pop e all’Electro tipicamente anni 80 si va avanti con una vena più acida e cattiva, spigolosa, che irrobustisce il tutto riuscendo a trascinare questi vortici sintetici in un contesto tendenzialmente Rock. In molti considerano questo esordio ancora dopo tanti anni dalla sua uscita il picco assoluto dei Nine Inch Nails. Se sia vero oppure no, non è dato saperlo, che però in questo album sono contenute delle perle come Down In It, Terrible Lie, Sin e soprattutto la delicata e sofferente Something I Can Never Have è fuori da qualsiasi dubbio. Brani che hanno riscritto le coordinate del crossover fra Elettronica e Rock, due mondi solo apparentemente inconciliabili. A venti anni di distanza Pretty Hate Machine emana ancora quel fascino morboso tipico di chi sa bene di avere molto altro da dire, e di volerlo fare nel più breve tempo possibile.

Head Like a Hole
Terrible Lie
Down in It
Sanctified
Something I Can Never Have
Kinda I Want To
Sin
That's What I Get
The Only Time
Ringfinger


The Downward Spiral (1994)
Dopo ben cinque anni dalla seminale uscita di Pretty Hate Machine il leader maximo Trent Reznor avverte qualcosa nell’aria, una sorta di malessere grigio, che puzza di depressione, sono arrivati gli anni 90 e dopo l’allegra baldoria fosforescente del decennio precedente è il tempo della crisi. La risposta a tutto questo arriva con un monolite nero in cui i Nine Inch Nails perfeziono ulteriormente la loro ricerca sonora, dandogli il nome di The Downward Spiral (Halo 8), secondo piccolo balzo in avanti. Se nel primo album la sperimentazione e la loro personalità erano più che altro dettati dall’aggressività di mettersi in mostra in questo caso succede tutto l’opposto, ossia un controllo maggiore e razionale sulla materia. Tutto quanto è maggiormente calcolato e studiato, dalla scelta dei suoni alla scrittura dei brani. Un disco pregevole e ricco di fascino con un’aurea gotico/decadente che fa di questo concept un must alternativo degli anni 90 (ma non solo). Il tema su cui ci si focalizza è la depressione che viene analizzata e smembrata da svariati punti di vista, con conseguenti e variabili spunti musicali. Da Heresy, passando per Mr Self Destructor, Ruiner, I Do No Want This è un continuo di deliri controllati, freddi e chirurgici. La mistura di Industrial, Rock, Alternative e qualche leggera e vaga puntatina nel Metal convivono alla grande, il tutto coadiuvato dall’inconfondibile timbro vocale di un Trent Reznor tremendamente ispirato. Su tutto però spicca la bellissima Hurt, una oscura ballata eterea ma dalla linea melodica che cattura al primo istante. Se Pretty Hate Machine era il modo per mettersi in evidenza, The Downward Spiral è invece il sistema adatto per entrare nella spina dorsale dei fans in modo irrevocabile.

Mr Self Destruct
Piggy
Heresy
March Of The Pigs
Closer
Ruiner
The Becoming
I Do Not Want This
Big Man With A Gun
A Warm Place
Eraser
Reptile
The Downward Spiral
Hurt


The Fragile (1999)
Per il fantomatico terzo disco, quello che sancisce la gloria oppure l’abisso, sono serviti ulteriori cinque anni, un po’ come per i Tool. Un lasso di tempo lungo che in qualche modo deve essere colmato e di certo Nine Inch Nails non è una creatura adatta a stare ferma nel buio, quindi via con tour mondiali che portano il loro verbo sintetico in giro per il globo donandogli un’ulteriore carica messianica. Il palco è una caratterista fondamentale nella poliedrica personalità dei Nine Inch Nails, praticamente l’esatto momento in cui le loro movenze fredde e chirurgiche si rivestono di un’anima carnale e affamata, dove si danno sfogo agli istinti più viscerali. Di concerti la band di Trent Reznor ne sa decisamente qualcosa visti e considerati gli innumerevoli giri per il mondo a cui si sottopongono fra un album e l’altro, e non dovrebbe stupire qualcuno se proprio in questi dilatati spazi temporali vengono concepite le idee basilari dei successivi dischi. A cavallo del millennium bug (o presunto tale) è il momento di tornare sul mercato con un qualcosa degno, se non migliore, di The Downward Spiral. La risposta non tarda ad arrivare e si concretizza in un doppio cd di ben 23 canzoni, intitolato The Fragile (Halo 14), un titolo che sta a testimoniare come dalla acuta depressione descritta anni prima non ci si sia ripresi poi molto. Al di là delle ovvie incursioni in territori Electro e Industrial va segnalata una nuova strada sonora intrapresa con maggiore forza nel primo disco, dove tutto suona più diretto e per alcuni versi Rock. In un mare di chitarre sintetizzate, batterie e drumming più umani del solito, e le ovvie fughe in oceani di gelida Elettronica, si fa notare una crescita artistica fatta di piccoli dettagli, di arrangiamenti che grazie alla loro parsimoniosa collocazione innalzano questo The Fragile una spanna sopra la concorrenza. Dal primo disco si fanno notare Somewhat Damaged, We’re In This Together e anche La Mer, senza nulla togliere a tutto il resto, anche perché la musica dei NIN ha sempre funzionato nella sua totale compattezza di insieme. Basterebbe soltanto la prima parte di questo nuovo concept sul concetto di fallimento per ribadire l’assoluta freschezza artistica dei NIN, basata su di un intelligente Industrial Rock/Alternative (chiamatelo come volete voi), definizione che inizia ad andare stretta al buon Trent Reznor, ed è anche difficile inquadrarli in un unico settore a questo punto. La seconda parte invece ripropone quelle che sono la tipiche caratteristiche dei Nine Inch Nails, con quelle ritmiche meccaniche elaborate e ricercate, anche se ad onor del vero in brani come Please e soprattutto nella dirompente Starfuckers Inc. è la vena maggiormente animale e istintiva a farla da padrone. Tra l’altro in questo ultimo brano è presente anche Marilyn Manson in veste di ospite in un videoclip dai toni abbastanza surreali ed inquietanti. The Fragile si pone quindi come una sorta di bivio, con un’uscita più tradizionale per i NIN (cd2) e una più sperimentale e vellutata (cd1), dove la melodia gioca un ruolo chiave. Innegabile comunque il fatto che Trent Reznor sia ormai completamente padrone della propria Arte.

Somewhat Damaged
The Day The World Went Away
The Frail
The Wretched
We're In This Together
The Fragile
Just Like You Imagined
Even Deeper
Pilgrimage
No, You Don't
La Mer
The Great Below
The Way Out Is Through
Into the Void
Where Is Everybody?
The Mark Has Been Made
Please
Starfuckers, Inc.
Complication
I'm Looking Forward To Joining You, Finally
The Big Come Down
Underneath It All
Ripe (With Decay)


With Teeth (2005)
Con With Teeth (Halo 19) uscito nel corso del 2005 si può tornare a parlare del “bivio” a cui mi riferivo nella precedente recensione, perché la via intrapresa è quella della “svolta melodica” se così la vogliamo chiamare. Rispetto all’Elettronica spigolosa e abrasiva dei primi dischi in questo nuovo corso viene usata per dosare l’anima più infuocata dei Nine Inch Nails e incentivare l’aspetto più delicato e malinconico. Ovviamente è inutile soffermarsi sulla cura patologica con cui vengono elaborati i suoni, gli arrangiamenti e più in generale le canzoni stesse, sempre caratterizzate da melodie dirette ma non banali. Rispetto al passato la sezione ritmica si nutre di braccia umane, e si sente, ma non viene del tutto abbandonata quella irruenza sintetica della drum machine. Da segnalare anche la collaborazione di Dave Grohl che non sfigura affatto e ben si amalgama a queste atmosfere glaciali. With Teeth è generalmente più “leggero” e incline ad una strada raffinatamente Pop, e questo va a vantaggio di brani come The Hand That Feeds e All The Love In The World e la conclusiva Right Were It Belongs, pezzo straordinario che rimanda alla malinconia di Hurt con quell’alone oscuro e pregno di tristezza. Forse With Teeth è soltanto la naturale reazione e conseguenza ad un album come The Fragile in cui la ricerca sonora doveva fare da base ad un concept non certo facile, anche se pure in questo caso i temi dominanti sono la dipendenza dall’alcol e dalle droghe, rilette in chiave autobiografica da Trent Reznor. Ma soprattutto la difficile strada per uscirne fuori. Qualche critica è stata alzata da parte di chi si aspettava un inasprimento del sound ma la risposta migliore sta tutta in un disco come sempre curato e altamente ispirato, ed è anche inutile criticare un progetto artistico sul fatto che si evolva troppo quando per sua stessa natura vive e cresce proprio in base a questo. Un appunto va fatto anche per una questione tecnica che negli anni poi diventerà una costante nei NIN (e per i suoi fans): la possibilità che viene data agli ascoltatori di remixare a proprio piacere e fantasia intere canzoni messe a disposizione da Trent Reznor, in questo caso il singolo The Hand That Feeds.

All the Love In The World
You Know What You Are?
The Collector
The Hand That Feeds
Love Is Not Enough
Every Day Is Exactly the Same
With Teeth
Only
Getting Smaller
Sunspots
The Line Begins to Blur
Beside You in Time
Right Where It Belongs


Year Zero (2007)
Soltanto due anni di distanza dal precedente With Teeth per vedere alla luce Year Zero (Halo 24), praticamente un record per i Nine Inch Nails, e così sia. L’anno zero di questo disco cela soltanto una parte del nuovo concept, incentrato su un futuro incerto da una parte, e su una critica agli Stati Uniti d’America e alle sue politiche in prospettiva di quello che potrebbe diventare il pianeta terre a causa di esse. Un album di protesta per alcuni versi e non soltanto nei riguardi della politica in generale, forse anche nei confronti di chi non ha apprezzato la svolta melodica dell’album precedente. La risposta? L’opera più Elettronica e Industriale della carriera di Trent Reznor, dove vengono riscoperti arrangiamenti aggressivi e ruvidi, dove le ritmiche tornano di prepotenza in quell’habitat fatto di sequenze spezzate, e dove in ultimo i synth e le chitarre tornano a disegnare dipinti grigi e inquietanti. Le concessioni alla melodia ci sono ancora però, ma vengono sommerse da tonnellate di effetti, che essendo trattati magistralmente – come al solito – non sovraccaricano il risultato finale, anzi lo arricchiscono di ulteriori particolari. Year Zero è un lungo e tortuoso viaggio nella mente deviata di un’artista che proprio non sembra conoscere punti morti nella sua vena creativa, perfettamente espressa nelle varie Vessel, Survivalism, My Violent Heart e ci aggiungo anche God Given. Ad ogni modo impossibile come sempre escludere i restanti brani. Questo è un album estremamente vario, soltanto che invece di muoversi in disparati territori sonori come fatto in passato preferisce spendere il proprio potenziale nell’Elettronica, ripeto, mai così utilizzata come in Year Zero. L’elemento che balza immediatamente all’orecchio degli ascoltatori è l’equilibrio che contraddistingue le movenze di un prodotto simile; tra l’altro questa è una costante di tutta l’evoluzione artistica dei Nine Inch Nails. Aggiungere qualcosa di diverso ogni volta senza strafare, ma lasciando comunque il segno.

Hyperpower!
The Beginning Of The End
Survivalism
The Good Soldier
Vessel
Me, I'm Not
Capital G
My Violent Heart
The Warning
God Given
Meet Your Master
The Greater Good
The Great Destroyer
Another Version Of The Truth
In This Twilight
Zero-Sum


Ghosts I/IV – The Slip (2008)
Dopo Year Zero e le sue dichiarate intenzioni di sperimentare in tutti i modi possibili è nel corso del 2008 che ci si può rendere conto in che direzione artistica (ma non solo) si stanno per muovere i Nine Inch Nails. Quando viene annunciato Ghosts I-IV (Halo 26) lo stupore non è poco, ed è giustificato. In preda ad una crisi discografica totale il mondo della musica ha bisogno di nuove tecnologie di distribuzione, ed è qui che interviene il digitale, l’impercettibile che tenta di sostituire la materia fisica del comunissimo disco. Ghosts I-IV viene rilasciato nella rete con il download senza alcuna giustificazione di contorno, un modo pulito e diretto per cadere direttamente nelle mani dei fans senza alcun intermediario. L'album si compone di 36 tracce (poi in seguito espanse a 38) che testimoniano la voglia di Trent Reznor di evolversi dando ulteriore spazio ad un Elettronica/Industrial raffinata ma al tempo stesso ruvida e graffiante. Le qualità che lo hanno reso grande ovviamente ci sono tutte però vengono filtrate tramite un "cd" completamente strumentale che mette in mostra una forte personalità, e una voglia di non essere catalogati in nessun modo. Qualcuno potrebbe rimanere disorientato, eppure nel suo manifestarsi controverso Ghosts I-IV è un buon attestato di salute, da ingoiare tutto di un fiato. Le canzoni non hanno titoli, se non la numerazione romana e per loro stessa natura inseparabili. Un flusso sonoro continuo ed affascinante. Con il seguente The Slip (Halo 27) i NIN perseverano nella loro strada di diffusione alternativa (anche se dal luglio 2008 l’album avrà una sua consistenza fisica nei negozi) però decidono di fare un piccolo passo indietro per quanto concerne la musica. Si torna ad un livello “standard”, dividendo il tutto in tracce dalla forma canzone compiuta, andando a riprendere anche sonorità vicine a Year Zero e The Dawnward Spiral con canzoni come Discipline e Echoplex. Se proprio ce ne fosse il bisogno va ribadita la continua forza espressiva che dopo sette dischi non sembra volersi spegnere, se non per mano di Trent Reznor che in questo 2009 decide di staccare la spina per dedicarsi ad altri progetti, o magari per non scivolare in un lento declino. Regalando comunque al pubblico mondiale un’ultima occasione di vederli in azione sul palco lasciando inesorabilmente il segno definitivo.

Ghosts I - IV
999,999
1,000,000
Letting You
Discipline
Echoplex
Head Down
Lights In The Sky
Corona Radiata
The Four Of Us aAre Dying
Demon Seed
Report a cura di Andrea 'BurdeN' Benedetti

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