“Bravi eh, … non sembra neanche un gruppo italiano!”, questa frase captata al termine dell’esibizione degli ottimi
Trick Or Treat, esprime un doloroso luogo comune (purtroppo, però, suffragato da plausibili e “antiche” ragioni storiche) e una falsità. I power-metallers modenesi sono fieramente italiani (del resto, quel simpatico accento emiliano …) e “ciononostante” tengono il palco con invidiabile competenza, spigliatezza e professionalità, ammantando la loro impeccabile esibizione con un entusiasmo e un’ironia davvero coinvolgenti.
Le orecchie
conigliesche e luminose indossate dal cantante Alessandro Conti durante l’esecuzione di “Loser Song” (quella del video
ispirato a X-factor e per il quale
“abbiamo perso ogni dignità …” come afferma lo stesso singer della band!), i balletti, i coriandoli, le chitarre gonfiabili, i continui commenti scherzosi, creano un’atmosfera di festa e di divertimento, capace di fornire uno splendido corollario ad una musica potente ed estremamente efficace, suonata da musicisti dotati di notevole levatura tecnica (citazione necessaria per il vocalist Conti, uno screamer di razza che farebbe comodo a tante band anche molto blasonate!) e di grande affiatamento.
A partire dalla poderosa opener “Evil Needs Candy Too”, passando per il favoloso mid-tempo “Time For Us All” (uno dei miei preferiti del loro repertorio, per la cronaca), per la piacevole cover di Cindy Lauper “Girls Just Want To Have Fun”, per il bass solo di Leone Villani Conti in pieno ardore “classico”
(“ha pisciato fuori … doveva essere più corto ma è un sacco che lo prova a casa da solo …”) e terminando con una spassosa “Like Donald Duck”, i Trick Or Treat offrono una prova di enorme valore, che giustifica in pieno la loro presenza in un tour così prestigioso (anche se
“non è che ci tenessimo molto a fare questo tour … non so perché quando lo dico non mi crede mai nessuno!”) e fa letteralmente volare il tempo a loro disposizione, per il disappunto di un pubblico che vorrebbe continuare a deliziarsi con questo spettacolo così trascinante ed emozionante.
“Dopo non è che c’è Gigi D’Alessio o Tiziano Ferro …” è la risposta di Alessandro a chi “ne vorrebbe ancora”, tutto vero, ma forse, visti i problemi evidenti di Kotipelto, almeno un paio di pezzi in più in scaletta non sarebbero stati poi una soluzione troppo azzardata.
Setlist:
1. Evil Needs Candy Too
2. Time For Us All
3. Loser Song
4. Girls Just Want To Have Fun
5. Bass solo
6. Paper Dragon
7. Like Donald Duck
Report a cura di Marco Aimasso “Some good news and some bad news at the same time”, con questa frase gli
Stratovarius aprivano il comunicato che annunciava il loro tour con gli Helloween, il gradito ritorno dietro i tamburi del veterano Jörg Michael dopo i noti problemi di salute e anche la dolente nota di un’infezione batterica contratta da Timo Kotipelto (causa della cancellazione di alcune date europee precedenti a quella milanese).
Purtroppo le brutte notizie non sono state affatto superate, i problemi del singer finlandese non sono stati risolti e nonostante la buona volontà e l’entusiasmo con cui cerca di ovviare all’evidente limitazione aizzando costantemente l’audience (per una volta un cantante chiede l’aiuto degli spettatori per ragioni “oggettive” e non solo per convincerli a partecipare attivamente allo show!) e dando prova di essere uno smaliziato frontman, quella dell’Alcatraz è stata una convincente esibizione “strumentale” degli Stratovarius, ma francamente troppo condizionata dagli eventi “patologici” per fornire indicazioni valide a chi come il sottoscritto, pur senza essere un irriducibile devoto della band, era alquanto curioso di assistere ad una prova live dei “nuovi” e sempre molto discussi Stratovarius.
Scaletta rivoluzionata per consentire a Kotipelto di “sparare” le poche “cartucce” stasera a sua disposizione nei pezzi più esplosivi (discrete le sue performance in “Hunting High And Low” e “Speed Of Light”) e per concedergli, tramite l’impiego di pezzi strumentali e di solos, delle comunque non risolutive pause ristoratrici, per un concerto complessivamente abbastanza deludente, sebbene sia da apprezzare il tentativo di tutto il gruppo di non far “pesare” eccessivamente una situazione a volte veramente frustrante e anche un po’ penosa, con il nostro Timo che cerca disperatamente di raggiungere quelle altezze timbriche e quelle colorazioni interpretative per lui così “normali”, ottenendo risultati assai approssimativi.
Evidentemente, però, il pubblico meneghino sa essere molto comprensivo con i propri idoli (soprattutto con quelli che ce la mettono tutta per accontentarli, anche in condizioni di piena emergenza!), li sostiene cantando a squarciagola le hit della band (con, un’ovvia predilezione per “The Kiss Of Judas”, il lentone “Forever” e “Black Diamond”) e dimostra la sua soddisfazione e la sua dedizione attraverso una reazione piuttosto appassionata e partecipe.
Alla luce dei fatti, non rimane che segnalare l’ottima prova di Matias Kupiainen, nel difficile ruolo che fu di Timo Tolkki, un furente assolo di basso offerto da Lauri Porra, un sempre preciso ed estroso Jens Johansson e un metronomico Jörg Michael, mentre tra i pezzi emerge fatalmente la suggestiva “Stratosphere”.
Rimandiamo il giudizio ad un’altra occasione, dunque, in cui poter valutare gli Stratovarius forti di un cantante in piena forma … desidero, però, concludere questa breve cronaca con il seguente interrogativo, da affidare, magari, direttamente ai nostri lettori (o anche, volendo, ad un
glorioso caporedattore colpito recentemente da una preoccupante forma di “egocentrismo mediatico” … ehi, boss,
scherso né … belle le video-recensioni!): siamo sicuri che, nonostante le “attenuanti” e le presumibili complicazioni, nell’ottica del totale rispetto dei loro fans, la scelta di esibirsi ugualmente in queste menomate (e assodate) circostanze, sia realmente da considerarsi come la più corretta?
Setlist:
1. Hunting High And Low
2. Speed Of Light
3. Stratosphere
4. Twilight Symphony
5. Phoenix
6. Bass Solo
7. Guitar Solo
8. The Kiss Of Judas
9. Forever
10. Paradise
11. Keyboard solo
12. Black Diamond
Report a cura di Marco Aimasso Dopo le luci e le ombre che hanno ammantato la performance delle due formazioni che hanno da poco lasciato lo stage, tocca agli
Helloween far vedere qual è il proprio stato di forma, certo, il ricordo della loro fantastica performance all'Hellish Tour del 2007 è ancora vivo, pertanto le aspettative sono tante.
Il concerto parte subito con i migliori presupposti: l’entrata delle
zucche d’Amburgo è anticipata da una “For Those About to Rock” d’annata, poi via al solito
Happy Happy Halloween e quindi partenza al fulmicotone con "Are You Metal?", singolo portante del loro ultimo album, l'ancora caldo "7 Sinners". Un brano potente ma esageratamente cliché (tanta devozione ha forse con il compito di fugare le nubi di "Unarmed"?) che sembra quasi più una outtake dei Dream Evil che un brano destinato a lasciare il segno nella carriera degli Helloween.
Il suo compito lo porta comunque a termine: il pubblico sembra gradire e la risposta della band è all'altezza, con il solito Andi Deris a sproloquiare e ad incitare la folla ed un Michael Weikath che non smentisce quell'atteggiamento ormai tipico di chi
"ma che cazzo ci sto a fare io qui?", anche se è evidente come si tratti solo di una posa, mentre Markus Grosskopf si conferma un vero animale da palco, solido e mai domo.
Ogni
cattivo pensiero viene subito allontanato dall'accoppiata che i nostri recuperano dal loro repertorio più classico: "Eagle Fly Free" e "March of Time", canzoni sparate in rapida successione ed in grado di far fare un bel salto indietro nel tempo, peraltro sorrette da un'ottima acustica che si manterrà tale per tutta la serata.
Tra l'assolo di Sacha Gestner e quello di Dani Loeble, gli Helloween ritagliano un piccolo spazio da dedicare al nuovo album, con l'anthemica "Where the Sinners Go" ed una riuscita "World of Fantasy", due brani forse non esaltanti ma sicuramente maggiormente azzeccati rispetto alla già citata "Are You Metal?". Se già gli assoli avevano fatto calare l'attenzione, la versione acustica di "Forever and One (Neverland)", ad opera della ditta
Deris & Gestner, rischia di far scappare pure qualche sbadiglio, represso poi a solo a stento grazie alla successiva "A Handful of Pain", recuperata da "Better than Raw".
A salvare la baracca ecco che arriva il "The Keeper's Medley", che fonde "Keeper of the 7 Keys", "King for A 1000 Years" ed "Halloween", che, sopratutto nella parte conclusiva, sprigiona vera magia (
...there's magic in the air!), sicuramente il momento migliore dello show.
Preso ormai per il bavero il pubblico, ora gli Helloween calano uno dietro l'altro i quattro assi: ecco "I Want Out" (ma quanto si sente la mancanza di Kai Hansen!), quindi nei bis di rito tocca prima ad una "Ride the Sky" (e qui Hansen manca ancor di più: nel 2007 la suonarono - e molto meglio - i Gamma Ray) davvero poco adatta agli Helloween di oggi, quindi a "Future World" (e qui ci sarebbe da chiedersi dov'è finito Kiske, se già non sapessimo che piega ha preso), ed infine a "Dr. Stein", con una masnada di
Herr Doctor ad affollare il palco e, insieme agli Helloween, a chiudere in allegria il concerto.
Sempre bravi, ma all'Hellish Tour mi fecero un'impressione maggiore, sia per la scaletta che avevano proposto, sia per quelle scenette (chi si ricorda ancora del loro Teatrino dei Burattini?) che avevano messo in atto.
Setlist:
1. Are You Metal?
2. Eagle Fly Free
3. March of Time
4. Sacha Gestner' solo
5. Where the Sinners Go
6. World of Fantasy
7. Dani Loeble' solo
8. I'm Alive
9. Forever and One (Neverland)
10. A Handful of Pain
11. The Keeper's Medley
12. I Want Out
Encore:
13. Ride the Sky
14. Future World
Encore 2:
15. Dr. Stein
Report e foto a cura di Sergio Rapetti