(14 dicembre 2005) Opeth + Burst - 14.12.2005 - Auditorium Flog, Firenze

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Quello degli svedesi Opeth alla “Flog” di Firenze è stato un concerto potente, toccante, pieno di suggestioni ritmiche, di atmosfere a volte cupe a volte gentili, di stati d’animo contrastanti e penetranti.
Un concerto vario e altamente coinvolgente, con un pubblico attento ad ogni minima sfumatura delle songs, grandi aperture tastieristiche del rinomato Per Wilberg (ex Spiritual Beggars) ed un altissimo grado di bravura tecnica dell’intera line-up di Stoccolma, aspetto questo penalizzato in parte dall’acustica non certo eccelsa del locale fiorentino.

Energia pura, riflessioni oscure e nostalgiche, rabbia, dolore, passione, angoscia: c’è tutto nella suggestiva voce del grande frontman del gruppo, il ben noto Mikael Akerfeldt, che, oltre a growl da urlo alternati a modulazioni vocali chiare e melodiche, questa sera si è rivelato anche un ottimo anchorman, coinvolgendo il pubblico in prove canore, domande sul suo mito, Ozzy Osbourne (“Credete che Ozzy sia Dio?” chiede sorridente alla folla trepidante e urlante, smorzando la tensione dovuta ad un inconveniente tecnico che ha fatto saltare l’amplificazione durante la rarefatta e splendida “Closer”, song tratta dall’album acustico “Damnation”), scherzando con i tanti fans giunti ad acclamare degnamente questa band di melodico - progressivo death metal, una band su cui al momento sono puntati i riflettori della scena estrema di tutto il mondo.

La scaletta del concerto illustra in maniera completa l’intero percorso evolutivo della band, dal debut album “Orchid” (1994) arricchito da chiare influenze jazziste, passando ai sapori mediorientali e ai riff stoner metal di “Black Water Park” (2001), al denso “Deliverance” (2002) e all’ammaliante “Damnation” (2003), fino all’ultimo capolavoro del quintetto, “Ghost Reveries”, uscito nel 2005, il quale si è già imposto all’attenzione della stampa e della critica conquistandola con le multiformi influenze death, black, folk, goth, classic, jazz.
Sin dalle prime note della serata l’eccitazione è alle stelle: Martin Lopez sprizza energia dietro le pelli, Per Wiberg, con le sue tastiere melodiche, quasi cinematografiche, arricchisce sia le parti acustiche che i riff pesanti e cupi con suoni classici, gotici e sovrannaturali; il bassista Martin Mendez appare particolarmente ispirato, e lo stesso vale per Peter Lindgren, alla chitarra ritmica.
I pezzi si tingono di nuove sfumature grazie alla bravura della band, che on stage dimostra tutta la sua coesione ed il profondo affiatamento. I riarrangiamenti delle songs più datate, poi, come “When” (“My arms, your hearse”, 1998), o “White Cluster” (“Still life”, 1999) appaiono potenti e trascinanti. Beat fragoroso, chitarre palpitanti e angolari, abrasivi growl vocali: le note si spostano da atmosfere prettamente hard (è il caso di “The baying of the hounds” o di “Wreath”) agli stati malinconici di “Bleak”, alle armonie vocali eteree ed introspettive di “A four judgement” e di “Closer”.

Le quasi due ore di concerto scivolano via, il pubblico canta, ride alle battute di Akerfeldt, assolutamente impeccabile sia nelle parti pulite che nel growl più estremo, i fans acclamano a gran voce la band. Lo show è agli sgoccioli, rimane solo il tempo per un bis: ecco l’imperdibile, magnetica “Deliverance”, che chiude degnamente uno splendido concerto, aperto in maniera convincente già da i Burst che, con il loro hardcore melodico e potente, hanno scaldato l’atmosfera della serata, rendendola magica ed indimenticabile. Unico rimpianto, almeno per la sottoscritta: l’ignorata “Face of Melinda”, acclamata a gran voce dal pubblico in sala e la scarsa presenza delle tracks acustiche di “Damnation”, gioielli di rara evocazione e altezza lirica.

Chiudiamo con una frase significativa tratta dall’autorevole rivista “Rolling Stone”: « Gli Opeth espandono continuamente la definizione di cosa il metal può rappresentare ». Semplicemente grandiosi.

Line up:

Martin Mendez – Bass Guitar
Peter Lindgren – Guitars
Per Wiberg – Mellotrons, Organs, Grand & Electric Pianos
Martin Lopez – Drums and Percussion
Mikael Akerfeldt – All vocals, Guitars, additional Mellotron

Report a cura di Sara Chiarello

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