(08 febbraio 2006) HELLOWEEN + AXXIS - Milano – Alcatraz – 08/02/2006

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Prima ancora di entrare all’interno del locale, non si può non notare il tir parcheggiato di fronte all’entrata, sulla cui fiancata campeggia un gigantesco logo degli Helloween, segno inequivocabile che la band tedesca ha tutte le intenzioni di fare le cose in grande! L’affluenza del pubblico non esaurisce i posti disponibili ma è comunque molto buona e continua a dar ragione ad un gruppo continuamente bersagliato dalle critiche, ma evidentemente ancora amato dalla maggior parte dei kids italiani.
Ma andiamo con ordine e iniziamo con la band di supporto, gli:

Axxis

Devo ammettere, colpevolmente, di non avere mai veramente seguito le imprese di questo gruppo tedesco, in attività dall’ormai lontano 1989, anno del loro esordio con “Kingdom Of The Night”.
Mi aspettavo una band tendente all’hard rock e al metal classico, ma la mia aspettativa viene immediatamente demolita dalla presenza sul palco di Lakonia, una fanciulla fasciata in abiti succinti di pelle nera, che con voce da soprano intona le irruente note di “Angel Of Death”: classe, potenza, velocità ed atmosfera si uniscono in un brano formidabile, che inizia nel migliore dei modi il set di un gruppo che il sottoscritto ha decisamente deciso di riscoprire!
Con il veterano vocalist Bernhard Weiß a guidare il gruppo, il concerto degli Axxis scorre in maniera estremamente piacevole, alternando pezzi recenti come “Dance With The Dead” e “Take My Hand” (dall’ultimo album “Paradise In Flames”) a brani tratti dai loro primi dischi, quali “Brother Moon”, “Save Me” e “Kingdom Of The Night” che va a chiudere lo show.
Tutto sommato è stata una gran bella sorpresa per chi non conosceva questa band, capace di intrattenere il pubblico nel migliore dei modi, con un ottimo bilanciamento fra brani più teatrali ed episodi più “old style” e con la simpatia di un cantante che, fra le altre cose, cerca di parlare in italiano aiutandosi con degli appunti scritti a mano e invita una spaesata ma divertita ragazza del pubblico a salire sul palco per accompagnarli col tamburello.
Bel colpo Axxis, non credo di sbagliarmi affermando che stasera avete guadagnato più di un nuovo fan!

Helloween

Arriva dunque il momento più atteso, quello del ritorno delle zucche di Amburgo. Avevamo detto che stavolta Weikath e compagni avrebbero voluto fare le cose in grande, no?
Ebbene, due ore e un quarto di concerto (non ricordo di aver mai assistito ad uno show degli Helloween in Italia che durasse così tanto) le sorprese e le scelte coraggiose non sono mancate di certo.
Di solito un gruppo cerca di iniziare il proprio concerto con uno dei pezzi di maggiore impatto, i nuovi Helloween no: è “King For A Thousand Years”, mastodontica suite di 13 e rotti minuti dell’ultimo controverso album, ad aprire le danze. E grazie al cielo, la band è in splendida forma, a partire da un Andi Deris serio, volenteroso e concentrato sulla propria voce, che migliora tour dopo tour. Superato lo stupore per un’apertura tanto atipica, torniamo subito su territori più consueti con la mitica “Eagle Fly Free”, per la gioia di tutti i vecchi fans, che stenteranno a credere alle proprie orecchie quando pochi minuti più tardi verrà presentata un’ALTRA suite di 13 minuti, ovvero “Keeper Of The Seven Keys”.

Mezz’ora di concerto, tre canzoni: come inizio, non c’è male! La cosa molto positiva è che le esecuzioni di questi brani sono comunque ottime e il pubblico, anche se un po’ sconcertato, apprezza e reagisce piuttosto bene. Un rapido riferimento a “Rabbit Don’t Come Easy” con “Hell Was Made In Heaven” (altra scelta insolita, ma più che azzeccata, a mio parere) e torniamo all’epoca d’oro con “A Tale That Wasn’t Right”, ballad strappalacrime che Andi interpreta decorosamente, accompagnato dai fans con cori e accendini sparsi.
In molti, poi, hanno alzato gli occhi al cielo quando hanno capito che anche in questo concerto ci sarebbe stato il classico, amato/odiato assolo di batteria, ad opera del nuovo (nonché eccellente) drummer Dani Loeble.
Ma anche nel capitolo “assolo” gli Helloween hanno trovato il modo di farci divertire: a fianco del drum kit compare infatti il grande Markus Großkopf, veterano bassista della band, che sfida Loeble a duello con una batteria… giocattolo! Inutile dire che il risultato è stato esilarante e che in molti hanno acclamato Großkopf più del vero batterista, che in ogni caso si è prodotto poi in un assolo massiccio, potente, non particolarmente originale ma più che mai adatto allo stile del gruppo.
Tornano le canzoni e, ci credereste? Arriva la terza suite della serata, l’intricata “Occasion Avenue”, brano splendido ma abbastanza complesso, tant’è che mi è sembrato di cogliere un paio di errori di esecuzione, che però alla fine non hanno compromesso il fascino di una canzone degna degli applausi dei fans.
Andando avanti ci accorgiamo di come, forse, il buon vecchio Michael Weikath non ce la racconti poi tanto giusta, affermando ai quattro venti di odiare l’album “The Dark Ride” e di preferirgli di gran lunga “Better Than Raw” e “Rabbit Don’t Come Easy”: altrimenti non ci spiegheremmo come mai stasera gli Helloween propongano due estratti da TDR, uno solo da RDCE e nessuno da BTR. C’è da dire, a riprova del fatto che il tanto bistrattato TDR non è in fondo quella schifezza come molti sostengono, che “Mr. Torture” è stata accolta con un boato d’approvazione e la successiva “If I Could Fly”, sempre inserita nelle scalette degli ultimi tre tour, è stata anch’essa molto apprezzata.
Altro giro di boa, altro assolo, questa volta ad opera del chitarrista Sascha Gerstner, con Dani Loeble a fargli da sparring partner con una chitarra giocattolo: non c’è che dire, la band ha trovato un modo simpatico per farci sghignazzare, cercando così di non far pesare troppo le pause fra una canzone e l’altra.
Da adesso in poi, partono i classici, ed è “Power” a far esplodere la platea, seguita dall’immancabile “Future World”, con grande partecipazione di tutto il pubblico. Purtroppo, durante quest’ultima, l’impianto dell’Alcatraz inizia a fare i capricci, proprio nella parte in cui Andi doveva far cantare il ritornello al pubblico: per almeno dieci minuti, il suono dai diffusori va e viene, lasciando attive solo le spie sul palco, con conseguenti botta e risposta fatti a gesti fra il cantante e le prime file.
Alla fine il problema si è fortunatamente risolto, e la cosa bella è che il gruppo non ha mai smesso di suonare e non si è mai perso d’animo, sicuro indice di professionalità e di esperienza.
C’è spazio ancora per “The Invisible Man” prima dei bis, durante i quali appare chiaro che la tanto criticata “Mrs. God” è invece più che apprezzata dalla maggior parte dei presenti.

Non c’è però il minimo paragone con la bolgia che si scatena non appena la band suona le prime note di “I Want Out”, il classico per antonomasia degli Helloween, presentato solo due volte negli ultimi otto tour. Altra piccola pausa, e l’enorme zucca gonfiabile che si erge dietro la batteria fa da preludio all’ultimo classico della serata, “Dr. Stein”, che va quindi a chiudere definitivamente il concerto. I più attenti si saranno resi conto di un’altra scelta piuttosto insolita da parte della band: per la prima volta non è stata suonata “How Many Tears”, che da sempre chiudeva i concerti delle zucche…

Che dire, alla fine di queste due e passa ore? Senz’altro che di fronte abbiamo avuto una band viva, esperta, coinvolgente e in gran forma, capace di operare scelte che avrebbero potuto risultare scriteriate (tre suite oltre i dieci minuti, due assoli, esclusione di alcuni brani storici) ma che alla fine sono apparse come coraggiose e in fondo come una ventata di novità nello show di un gruppo sulla scena ormai da vent’anni.
Un concerto, quindi, che è stato molto interessante e che è la conferma del valore degli Helloween, la risposta ideale a chi era pronto ad affossarli dopo l’ultimo discutibile album.

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