Si chiude nel fumo e nell'eco delle quintalate di odio riversato sulla folla la calata veronese dei
Gorgoroth. Una rarità poter assistere a Verona ad un concerto di una band così rilevante per la scena black metal, ammantata da un culto a metà tra musica e criticabili azioni illecite. Un passaggio in città reso possibile da
The Factory, luogo che si conferma ottimale per godere pienamente di un concerto, sia esso di Omar Pedrini, degli Zu o di Metallo più oltranzista (di recente sono passati anche
Malevolent Creation e
Marduk). Uno sforzo premiato da una presenza importante di persone, circa 300 i paganti.
I Gorgoroth non si sono fatti pregare, e anzi, in una formazione a cinque, hanno dato prova di professionismo dell'estremo. Al riffing serrato dello storico
Infernus ha fatto da contraltare la prova dinamica del cantante
Hoest (
Taake), che incarna perfettamente dal 2012 la feralità dell'ensemble.
A rendere il tutto ancor più minaccioso l'ottimo face painting ed una quantità imbarazzante di borchie di lunghezza variabile ma di egual pericolosità. Tre i brani estratti da "
Under the sign of hell" (1997), due da "
Antichrist", "
Incipit Satan" e "
Quantos". Nulla da "
Pentagram", l'esordio del 1994, e da "
Ad Majorem Satanas Gloriam". La forma dell'ensemble sembra ottimale, così come lo spettacolo proposto, uno show che risulta d'impatto e anche vicino all'aurea black che da sempre li contraddistingue e che, nel bene e nel male, ne caratterizza l'esistenza.
Ancora più interessante é stato il set degli
Aeternus. Anch'essi norvegesi, altresì old school come anno di nascita (1993) ma più death oriented rispetto ai cugini. Con i quali, peraltro, hanno condiviso spesso e volentieri componenti (il cantante/chitarrista
Ares). L'inizio del set degli Aeternus, dopo una breve intro, é stato annichilente con "
Raven and blood", uno dei due estratti da "
...And so night became" del 1998 (Hammerheart Records). La velocità dell'ensemble si può definire parossistica, ma non tanto per la capacità di accelerate subitanee (comunque presenti) quanto per la continuità di blast e doppio pedale unita a un riffing che in alcuni casi diviene particolamente complesso, specie se inserito in un substrato old school. Nello specifico da segnalare la prova di
Ares, con un vocione cavernoso e potente, emesso con sicurezza nonostante il chitarrismo piuttosto tecnico. Peculiarità rilevante la capacità di suonare assoli più interessanti della media, ancorché stranianti in qualche occasione (quelli di "
Existentialist Hunter").
A proposito di assoli...dei
Death Rattle ha colpito soprattutto la perizia chitarristiche, non dissimile a quanto evangelizzato dal grande
Darrel. Copiato in tanti aspetti, chitarra compresa, dal chitarrista. Che, oltre ad esserci dimostrato persona accogliente e simpatica, é stato in grado di rielaborare con buoni risultati la lezione del supremo maestro. Il risultato dell'unione tra lui e gli altri musicisti é stato estremamente groovy, e abbastanza variegato, anche rispetto alle due band successive. Convincenti in tutto, mai noiosi. Bene.

Altrettanto bravi gli
Archaic, band ungherese votata al thrash più puro. Canzoni efficaci e senza fronzoli, unite a capacità tecniche adeguate, hanno fatto muovere in maniera molto spontanea la cinquantina di presenti durante il loro set. Da segnalare l'orario d'inizio: perfetto come annunciato. Tra l'altro bello cominciare un live prima delle 20, così da permettere a più persone possibile di partecipare senza problemi.
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