È però con l’inizio degli anni ’80, e quindi con la consacrazione del fenomeno denominato Heavy Metal in generale, che anche il Doom trova la sua più appropriata definizione. A partire da questi anni è possibile infatti parlare di questo genere musicale come effettivamente ci è stato donato dalla storia, anni nei quali sono stati scritti i maggiori capolavori del Doom da parte di band entrate oramai nella storia dell’intera scena Heavy. Anticipando alcuni nomi, quali quelli di Candlemass, Saint Vitus o Trouble su tutti, il sound di queste band legate a tale periodo viene anche etichettato come Classic Doom o Traditional Doom e costituirà un tratto distintivo dell’intera scena nel corso degli anni Ottanta. Gli albori di questa corrente sono ancora caratterizzati da un forte legame con l’hard rock dei propri predecessori, come nel caso dei debut album di Saint Vitus e Trouble (rispettivamente l’omonimo e Psalm 9, entrambi datati 1984), i quali, per quanto differenti nello stile, rimangono ancora fortemente ancorati a matrici hard rock, soprattutto nel caso dei primi, tratti che verranno poi in parte abbandonati nei lavori successivi e che porteranno ad una più consapevole espressione e maturazione del genere. L’accostamento ai Black Sabbath per quel che riguarda queste prime manifestazioni di Doom Metal è d’obbligo: tutte queste band della prima metà degli anni Ottanta pagano infatti un forte dazio alla musica di Iommi e compagni della quale cercano di interpretare la componente più oscura, combinandola con la nascente scena Heavy ma con una sostanziale differenza: mentre quest’ ultima preferisce l’impiego di tempi sostenuti e spesso portati a livelli estremi per il periodo (come nella primordiale scena Thrash degli esordi), la corrente Doom si caratterizza per una spiccata predilezione per tempi lenti e cadenzati, scelta già abbracciata dagli stessi Black Sabbath e qui portata alla decisiva consacrazione. La conseguenza spesso caratteristica di questa scelta è una dilatazione dei tempi delle canzoni e relativo allungamento della durata delle stesse che sfociano spesso in episodi di ben al di sopra della media, attorno ai 6/7 minuti per arrivare ad episodi estremi di album della durata standard di 45/50 minuti composti di una sola canzone (esempio può essere considerato l’album Jerusalem degli allucinati Sleep di Matt Pike, 1999). Questo aspetto assolutamente non trascurabile della musica Doom permette alle band di creare atmosfere e sonorità uniche e ossessive, spesso incentrate sull’uso (e abuso) circolare e ripetitivo di uno stesso riff, di una stessa ritmica per produrre quell’effetto ipnotico e affascinante tanto caro a questa musica e che in seguito diverrà il punto di forza di correnti estreme, come nel caso del Drone Doom (di cui si parlerà più avanti).
All’interno di questa scena l’arrivo dei Candlemass, creatura del bassista Leif Edling sorti dalle ceneri dei Nemesis verso la metà degli anni Ottanta, può essere considerato una sorta di “rivoluzione copernicana” del Doom Metal, sia per la mastodontica portata della proposta della band svedese che per la relativa influenza che la stessa avrà in seguito sullo sviluppo dell’intero movimento.
Con i Candlemass si inaugura un nuovo modo di intendere questa musica, finalmente caratterizzata individualmente, senza più riferimenti ad altri generi quali l’Hard Rock, l’influenza del quale tende a farsi meno pressante e addirittura a scomparire. L’esordio Epicus Doomicus Metallicus pone da subito in chiaro tali intenzioni, mostrando come sia possibile fare del Doom un genere a sé stante, dove l’influenza maggiore è sicuramente quella dell’Heavy Metal più classico al quale vengono accostati i tratti salienti del Doom degli esordi. I successivi Nightfall (1987), Ancient Dreams (1988), e Tales Of Creation (1989) non fanno che confermare le premesse poste dai Candlemass col disco d’esordio i quali, grazie all’ingresso in formazione del singer Messiah Marcolin (ex Mercy), riescono a stabilire degli standard ancora più elevati che permettono alla band di assicurarsi il titolo di Doom band più conosciuta nella storia del metal. Inutile dire che i dischi citati sono dei classici del genere e costituiscono un punto di riferimento essenziale per gran parte delle doom metal band venute in seguito.
La lezione impartita da questi grandi maestri nel corso degli anni ’80 viene in seguito ripresa e in parte riadattata da nuove formazioni che cominciano la propria attività discografica sul finire della stessa decade, facendo in particolare riferimento a band quali Cathedral (dell’ex- Napalm Death, Lee Dorrian), i texani Solitude Aeturnus, i The Obsessed (dell’ex Saint Vitus, Scott “Wino” Weinrich) e gli svedesi Count Raven. Tra i gruppi di minor portata, per quel che riguarda fama e diffusione, meritano di essere almeno citati i While Heaven Wept, gli italiani Thunderstorm e Paul Chain, e i Memento Mori di Messiah Marcolin, senza contare una fitta scena underground caratterizzata da band di indiscusso valore e l’attività di numerose etichette quali la Hellhound Records o la Rise Above dello stesso Dorrian, le quali hanno firmato numerosi interessanti capitoli discografici della scena Doom moderna.