Le notizie sulla scena tedesca sono numerose, tuttavia non si trovano esposte in maniera unitaria e con un discorso storico/storiografico compiuto, in quanto è sempre stata privilegiata la scena scandinava; tuttavia anche la Germania ha avuto la sua importanza nello sviluppo del Black Metal, oltreché esser stata il grembo di alcuni tra i capolavori del genere.
Non sarà facile dunque, data la frammentarietà di informazioni, adoperarsi nel redigere una guida esaustiva; inoltre sono numerosissime le band del sottobosco, perciò qualcuna rimarrà inevitabilmente esclusa. Tuttavia, proveremo, con mano sicura, a tracciare le linee guida per orientarsi in questo splendido panorama, occupandoci prevalentemente dei full-length rilasciati dai gruppi che, poste le nostre conoscenze, riteniamo esser stati, o essere tutt’ora, i più rilevanti.
I CAPOSTIPITI DEL BLACK METAL TEUTONICO.A nostro avviso possiamo ascrivere questi complessi come le principali scintille di innesco del movimento Black germanico, a cui in seguito se ne aggiunsero altri estremamente validi:
Absurd,
Lunar Aurora,
Falkenbach,
Nagelfar e
Bethlehem.
Dovete pensare che in terra teutonica i primi album del genere, o quantomeno i più importanti, per darne l’avvio, generalmente sono rinvenibili nel fondamentale anno
1996 (al contrario della scena scandinava che, di lì a poco, si sarebbe avviata verso il suo tramonto).
A tal proposito dobbiamo volgere lo sguardo nella direzione degli
Absurd di
“Facta Loquuntur”, dei
Lunar Aurora di
“Weltengänger”, e dei
Falkenbach di
“…en their medh riki fara…”. Ma, ad onor del vero, appare doveroso nominare anche i fondamentali
Bethlehem, veri e propri precursori, se non tra gli ideatori insieme ad altre band come gli
Strid, del movimento
DSBM.
I Bethlehem già nel 1994 esordirono con il difficilmente catalogabile
“Dark Metal” e, nel 1996, rilasciarono lo sbalorditivo
“Dictius Te Necare”.
Oltre a questi nomi più blasonati vorremmo citare i
Tha-Norr, di cui tra l’altro abbiamo redatto tempo addietro una monografia.
Adesso vedremo di trattare un po’ più nel dettaglio gli ensamble appena menzionati, ed in seguito ci soffermeremo su altre importanti formazioni, formatesi in anni più prossimi ai tempi ultimi e che ne hanno raccolto l’eredità.
Absurdhttps://www.metal-archives.com/images/1/4/1/4/1414.jpg?1344
Il gruppo è stato fondato nel 1992 a Sondershausen (Turingia) dal cantante/chitarrista
Sebastian Schauseil e dal batterista
Hendrik Möbus, a cui si aggiunse in seguito il bassista
Andreas Kirchner. Il gruppo venne messo sotto contratto dalla
Nebelfee Klangwerke, casa discografica presieduta da
Ronald Möbus, fratello di Hendrik. I tre ragazzi incisero un promo e una demo nello stesso anno (
"God’s Death" e
"Death form the Forest"). In seguito la band perse tutti i suoi membri originari a causa dell’assassinio dell’allora quindicenne
Sandro Beyer e, attualmente, presenta una formazione del tutto differente. Ora il gruppo è formato da
Ronal Möbus (voce e basso),
Unhold (chitarra) e
Sven Zimper (batteria). Ad oggi, sotto tale moniker, risultano pubblicati sei album in studio.
Gli
Absurd presentavano uno stile poggiante le sue fondamenta su un Black metal contraddistinto da notevoli influenze Folk e Viking; mentre i temi della loro musica risultano avere attinenza con nazismo, antisemitismo e paganesimo; e sono altresì da annoverarsi tra le prime, se non la prima, infausta formazione
NSBM.
Gli
Absurd divennero noti nell’underground a causa di un raccapricciante evento avvenuto il 29 aprile 1993; a quel tempo i musicisti avevano circa 17 anni.
Si tratta dell'omicidio di
Sandro Beyer, un ragazzino di 15 anni, privo di amicizie ed estremamente solo, che rimase affascinato dal carisma degli Absurd. Egli tentò di aggregarsi alla loro compagnia con insistenza, sebbene i tre ragazzi non lo volessero con sé e lo schernissero quotidianamente.
Beyer assisteva di frequente alle prove del gruppo e ai rituali occulti che essi tenevano in una cava di pietre. Il quindicenne un giorno commise l’errore di vociferare in giro le attività sataniste e l’ideologie naziste dei ragazzi, oltreché raccontare della relazione tra
Schauseil e la madre di uno studente.
Un giorno,
Beyer ingannato dalla fidanzata di
Hendrik Möbus che gli disse di incontrarsi in un bosco alle 8:00 di sera, si trovò di fronte a tutti i membri della band, i quali lo strangolarono con un cavo elettrico e lo seppellirono.
Dopo l’assassinio, i tre ragazzi furono arrestati; tuttavia, nonostante ciò, continuarono a scrivere musica dal carcere cambiando il loro nome in
"In Ketten",
"In catene". Composero alcuni brani e incisero l'EP
"Thuringian Pagan Madness", raffigurante in copertina la tomba di
Sandro Beyer. Gli Absurd vennero rilasciati molto presto, nel 1998 (dunque non solo in Italia la giustizia risulta inefficiente), in quanto minorenni al momento dell’omicidio.
Mentre
Kirchner e
Schauseil tornarono a una vita regolare,
Möbus ha perseverato nel commettere piccoli crimini che lo hanno condotto, nuovamente, più volte agli arresti.
Da segnalare sulla figura di Möbus, e degli Absurd in generale, che gli australiani
Abyssic Hate hanno dedicato a lui un loro album: il capolavoro
"Suicidal Emotions" (2000), e che numerose band hanno eseguito cover degli Absurd, tra cui gli
Anti con la loro riproposizione di
"Mourning Soul", nel gioiello del DSBM
"The Insignificance of Life" (2006).
Venendo all’aspetto prettamente musicale, l’esordio degli Absurd, preceduto da varie releases minori quali demo live ed EP, di cui il primo
"God’s Death" risale al lontano 1992, è il già citato
"Facta Loquuntur" (
No Colours Records) uscito nel 1996, che rappresenta, come già accennato, se non la prima, sicuramente tra le primissime opere Black Metal sorte in suolo teutonico.
Si tratta di un Black Metal molto acerbo e dal tasso tecnico piuttosto basso, ancora pregno del retaggio del Black della prima ondata di
Bathory,
Venom e
Celtic Frost, dove si inseriscono alcuni frangenti folcloristici che si ripercuotono anche nelle voci, richiamanti appunto la già citata band di
Quorthon dell’epopea Epic/Viking. Un disco seminale, piuttosto breve, 36 minuti, contraddistinto da un’attitudine intransigente estesa ai massimi livelli. Non un album imprescindibile e neanche un capolavoro, bensì fondamentale per innescare il movimento della fiamma nera germanica; questo in parte grazie anche al fatto che quando uscì, i componenti della band erano ancora in carcere per l’omicidio di Beyer, ricalcando dunque un po’ la storia, seppure in modalità completamente diverse, del
Conte norvegese, favorendone così l’alimentazione del loro mito; in quanto, come è ormai risaputo, per via di una legge non scritta, sia che se ne parli bene, o male, tutto ciò non è altro che pubblicità.
“Werwolfthron” (
Nebelfee Klangwerke), il secondo lavoro, esce invece nel 2002, senza
Möbus - il quale continuerà a commettere crimini, più o meno gravi -, e qui la band svilupperà con maggiore accuratezza la propria proposta, dando progressivamente sempre più spazio al lato Pagan/Folk della sua vena, pur presentando sempre la miscela primordiale e bastarda di Black Metal a cavallo tra prima e seconda ondata. E stessa cosa, più o meno avverrà con il terzo platter pubblicato, con la medesima label, l’anno seguente:
“Totenlieder”. In cui trova sempre più respiro la già più volte citata componente Pagan /Folk; altresì in una versione più amalgamata con l’anima seminale del gruppo, denotando dunque una notevole crescita stilistica. A nostro avviso, questo è realmente un ottimo album e, probabilmente, uno dei migliori rilasciato dagli Absurd, insieme al successivo
"Blutgericht" (2005). Dove, in quest'ultimo, tutto appare molto più integrato e in veste più professionale, contraddistinto da una venatura Thrash Metal slayeriana di impatto davvero notevole.
Fermiamo qui la rassegna dei lavori degli Absurd (dei quali tra l'altro ci siamo adoperati a realizzare una monografia che vi invitiamo a ricercare nel nostro portale); i quali rilasceranno solo un altro full length di alto livello nel 2008:
"Der fünfzehnjährige Krieg", per poi andare incontro a scioglimenti vari e annesse riformazioni, oltre che al rilascio di uscite minori come EP, split, compilation, ecc.ecc.
Da segnalare rimane che
Hendrik Möbus, ormai in rotta di chiusura con il fratello da molti anni, dopo una vita giudiziaria piena di peripezie, darà vita ad un’altra versione degli Absurd nel 2017, che tuttavia noi non prenderemo in esame in questa specifica sede.
Un gruppo per cui chi vi scrive non ha la minima simpatia, ma che tuttavia non avvremmo potuto non approfondire, essendo il nostro scopo la comprensione, e la strutturazione di una ricostruzione del percorso evolutivo della scena; ed inoltre, godano o meno di simpatie, gli
Absurd hanno rilasciato dischi assai validi.
Lunar Aurora I
Lunar Aurora si costituirono a Rosenheim nel 1994. La line-up era soggetta a varie mutazioni, tuttavia il nucleo che teneva in piedi il progetto era costituito da
Benjamin “Aran” König, e
Andreas “Whyrhd” Bauer.
La band, prima di sciogliersi definitivamente nel 2012, ha pubblicato nove album, oltre a due demo e alcuni contributi a split e compilation. I
Lunar Aurora, come molte altre formazioni del genere, scrivevano testi prevalentemente in lingua madre, benché non disdegnassero anche la lingua inglese.
I
Lunar Aurora rappresentano uno degli apici assoluti, se non l’apice per eccellenza, del Black Metal teutonico, e sono tranquillamente collocabili tra le alture di un possibile olimpo nero.
Un gruppo che fin da subito si differenziò dal Black degli anni ‘90 non appiattendosi sui soliti cliché satanici, bensì proponendo temi estremamente introspettivi e profondi, dove i musicisti presero le distanze da qualsiasi forma idolatrica di culto - satanismo compreso.
Una band che ha un suono collocabile tra il Black atmosferico, il melodico, con elementi pacati di Industrial, e tutto ciò veicolato all’Interno di un suono raw, potente e quantomai espressivo: un connubio dicotomico costante tra brutalità, melodie atmosferiche, furia iconoclasta e poesia, per una proposta originale e superba.
Non è possibile comprendere la scena teutonica e il Black Metal in generale se non si presti attenzione alla musica ei Lunar Aurora; in quanto moltissime sono le formazioni che da essa sono state influenzate.
Il primo full-length lo rilasciarono – dopo un paio di demo – nel 1996,
“Weltengänger”, tramite la
Voices Productions, includendo anche la presenza del tastierista
Biil e del drummer
Nathaniel.
Un album meraviglioso che metteva in mostra come i Lunar Aurora, fin dagli albori, rappresentassero il lato melodico, dai sentori cosmici ed estremamente atmosferico, del Black Metal teutonico, benché declinato con una durezza da far impallidire anche i maestri del
True Black Metal. Indubbiamente una proposta che guarda nella direzione di band norvegesi come
Limbonic Art ed
Emperor. Ribadiamo che la dicotomia melodia/violenza sonora, data dalla contrapposizione dualistica del massiccio utilizzo di tastiere, che vanno quasi a scontrarsi con i tremolo crudi e dilanianti del Black primigenio, sono il trademark di riferimento di questi talentuosi musicisti, ed è sotto questo profilo che dobbiamo comprenderne la grandezza. Tastiere, synth ed elettronica creano qui un costrutto organico massiccio, poderoso e mai stucchevole. Le tastiere sono possenti, quasi grezze, e questo diventerà un altro degli aspetti distintivi dello stile di casa Lunar Aurora. Anziché addolcire la proposta, come di solito avviene, tali elementi quasi la induriscono, conferendogli un sentore apocalittico e al contempo poetico, dotato di una capacità di fascinazione unica. Basta la sola
"Into the Secrets of the Moon", o
"Schwarze Rosen", per spazzare via la maggior parte del Black Metal attuale.
Nel 1998 invece entrerà in formazione il fratello di Aran,
Constantin “Sindar” König, il quale prenderà posto alle tastiere, e rimarrà presente nella band fino al loro penultimo album, “
Andacht” (2007). Arruolato il fratello,
Aran,
Whyrhd e
Nathaniel daranno vita al grandissimo
“Seelenfeuer” (1998), rilasciato sempre sotto l’egida della
Voices Productions.
L’album prosegue nella direzione di
"Weltengänger", tuttavia mostrando una tecnica più elevata, un certo ancoramento al Thrash/Death e, in generale, dinamiche Black più dure, dove l’asse tremolo blast beat è spesso preponderante; mentre l’utilizzo delle tastiere diviene paradossalmente più raffinato e soffice - pur mantenendo la sua forte presenza in rilevo, al di là delle retrovie, come vuole il marchio indelebile dei
Lunar Aurora.
Questo specifico affinamento, a cui ci siamo adesso riferiti, è da attribuirsi all’ingresso di
Sindar, il quale mostra un senso estetico del bello, in termini di armonia, raramente riscontrabile altrove.
L’album è cruento e incorpora al suo interno anche vaghe sonorità Industrial e nel complesso risulta micidiale, e rappresentò indubbiamente una consolidazione della già ottima proposta dei tedeschi.
Il sound generale risultava sempre grezzo come agli esordi, con una produzione lievemente confusa, ma altresì potente e roboante, la quale seguirà i Lunar Aurora per tutta l'intera carriera; ricca di varie sfumature stilistiche che, come vedremo, si affineranno e al contempo amalgameranno con sempre nuovi elementi, rendendo ogni opera ben identificabile all'interno del loro stilema di acciaio, e al contempo differente l'una dall’altra.
Mentre l’anno successivo rilasciarono uno Split con i
Secrets of the Moon (gruppo che tratteremo più avanti) - che vi consigliamo caldamente di recuperare, e sul quale adesso non abbiamo modo di soffermarsi - procedendo spediti nella direzione del terzo platter,
“Of Stargates and Bloodstained Celestial Spheres”, rilasciato tramite
Kettenhund Records nel 1999. È sorprendente notare come la band, a distanza di solo un anno, sia riuscita a sfornare un capolavoro simile. In questo LP, come nel successivo,
Bernhard Klepper, vecchia conoscenza di
Aran, suonò la batteria dopo che
Nathaniel dovette lasciare la band a causa di problemi al ginocchio.
Il lavoro è lungo e articolato, il più complesso che avessero al tempo composto. Si tratta di 13 tracce spalmate su circa 54 minuti di musica.
I Lunar Aurora decisero di muoversi su lidi più sperimentali e melodici, con una componente sinfonica dai contorni orchestrali molto marcata, pur non perdendo di vista la brutalità che contraddistingue il loro sound. Forse non la migliore opera del gruppo, ma un lavoro senza dubbio di qualità elevatissima che, a mio avviso, denota tutt'ora, nonostante il trascorrere del tempo, una capacità di songwriting eccelsa, oltre a molteplici intuizioni destinate a restare indelebilmente impresse nella storia della fiamma nera.
Dopo il cambio di etichetta, a favore della
Ars metalli, avvenuto contemporaneamente alla band tedesca
Nagelfar, la band nel 2000 registrò l’album
“Ars Moriendi”.
Questo forse, assieme al successivo
"Elixir of Sorrow", uscito nel 2004, rappresenta il capolavoro per eccellenza dei tedeschi - anche se è difficile stabilire quale sia il loro zenit, dato i livelli elevatissimi di tutta la loro discografia.
In questi due LP appena menzionati, i tedeschi condensarono e raffinarono tutto ciò che di meglio avevano scritto nei precedenti lavori, aggiungendo elementi atmosferici nuovi, con vari sperimentalismi elettronici inusuali, pur però preservando la durezza complessiva del loro sound, e altresì senza smarrire minimamente l’anima prettamente Black che sempre li ha contraddistinti.
Un percorso glorioso quello dei Lunar Aurora e che mai vedrà cadute di stile, proseguendo con album dal calibro pesante come
"Zyklus" (2004), dove prendeva acnora più forza la componente industriale e certe stratificazioni sonore di matrice elettronica, le quali proseguiranno anche nei lavori successivi (
“Mond”,
“Andacht” e
“Hoagascht”), pur sempre sotto il segno della durezza caratteristica del Black Metal più intransigente ed oscuro.
Nell’autunno del 2012, purtroppo, annunciarono lo scioglimento della band sul loro sito web, non molto tempo dopo aver rilasciato
"Hoagascht" con la
Cold Dimensions, il quale vedeva la sola presenza di
Aran e
Whyrhd (il quale da dopo
“Mond” del 2005 era stato assente dalla band). Concludendo così una carriera egregia, perfetta come poche altre nella storia del Black Metal e del Metal estremo nella sua interezza.
I
Lunar Aurora, come suggerisce già il nome, e come si può evincere da varie interviste, sono stati e sempre saranno qualcosa di più di un semplice progetto di musica estrema… Il loro nucleo è da ricercarsi in una dimensione metafisica, afferrabile esclusivamente grazie a forme mistiche di spiritualità cosmica.
Falkenbach 
I
Falkenbach (in tedesco
“Ruscello dei falchi”) originariamente erano una one man band costituita unicamente dal suo fondatore - per l'esattezza nel 1989 -, il tedesco
Vratyas Vakyas ( traducibile dal sanscrito come
“cercatore errante”). In princpio girarono voci che
Vratyas fosse di origini islandesi, ma in seguito queste dicerie furono smentite.
I
Falkenbach incisero 6 demo tra il 1989 e il 1996; per poi finalmente rilasciare il loro primo full-length, sempre nel 1996:
“…en their medh riki fara…”, grazie al patrocinio della onnipresente
No Colours Records.
I Falkenbach si mostrarono fin da subito come uno dei principali alfieri del Black Metal teutonico di stampo Folk/Pagan/Viking, presentando in questo primo lavoro un Back Metal duro, bensì fortemente innervato dalle suddette componenti, dove trovavano spazio anche anche qualche sporadica clean vocals. Lo stile rimandava sia alla scuola norvegese che svedese, ma con una predilezione per gli innesti tipici dei
Bathory di
"Hammerheart" (1990) e
"Twilight of the Gods" (1991).
Una delle manifestazioni più belle del genere, la cui epicità verrà ripresa da molte altre formazioni germaniche e non. A nostro avviso, uno dei capisaldi di una certa declinazione della fiamma nera.
Nel 1998, invece fu la volta del loro secondo lavoro lungo,
“…magni blandinn ok megintíri…”, segnando tra le varie cose il passaggio alla
Napalm Records.
La proposta rimase la medesima dell’esordio, tuttavia fu perfezionato sia il songwriting che la produzione, risultando questa più professionale, ed inoltre le atmosfere vichinghe dai sentori folcloristici, epici e battaglieri, incrementarono ulteriormente, e questo sarà il prodromo dell’allontanamento definitivo dei Falkenbach dal Black Metal, a favore di un piglio Folk/Epic/Viking che, dal seguente
“Ok nefna tysvar Ty” del 2003, prenderà sempre più campo fino a far quasi perdere ai tedeschi, gradualmente, qualsiasi traccia del Black Metal degli albori.
Fermiamo qui la rassegna di questa grandissima formazione, poiché il percorso intrapreso successivamente agli LP qui da noi trattati, se pur molto interessante, non rientra nell'interesse degli obbiettivi della nostra guida.
Bethlehem 
In Germania, a metà anni ’90, quattro ragazzi dal tragico passato (caratterizzato prevalentemente da suicidi e lutti importanti), contribuirono a porre le fondamenta di un nuovo modo di suonare amalgamante il Black metal, in particolar modo quello del primo
Burzum, con la lentezza del Doom, e che assieme ad altre realtà underground metterà i semi da cui, in futuro, germoglierà il
Depressive Suicidal Black Metal.
I
Bethlehem, assieme ad altre formazioni, tra cui oltre al già menzionato Conte mi sentirei di citare gli
Abruptum, i
Forgotten Woods, i primi demo dei
Manes, e primariamente gli
Strid (seppur con un unico EP rilasciato), sono stati fondamentali per la nascita di questo sottogenere; non solo per l’aspetto prettamente musicale, ma anche, e soprattutto, per le tematiche ruotanti attorno alla morte, e in particolar modo al suicidio.
I ragazzi in questione decisero di far confluire tutto il loro malessere all’interno di una cosa
“molto importante” – come affermato dal leader
Bartsch – che è la musica. E lo fecero costituendo i
Bethlehem, riuscendo così ad arginare, e a dare una valvola di sfogo “innocua”, alle loro ossessioni mortifere.
I tedeschi dopo aver dato alle stampe
“Dark Metal”, nel 1994 - dove il Black assumeva un connotato atmosferico dalle tinte gotiche, che si ibridava al contempo con un sound doomy estremamente funereo, andando così a formare quasi un vero e proprio sottogenere (che loro stessi definirono
Dark metal, per l’appunto) -, nel 1996 si riproposero con
“Dictius Te Necare”, rilasciato sotto l’egida della
Red Stream, Inc.
Questo disco,
“Dedicato a tutte le vittime di suicidio”, vede innanzitutto un cambio di line-up con l’ingresso di
Rainer Landfermann alla voce al posto di
Andreas Classen, il quale in seguito, insieme a
Niklas Kvarforth, darà origine agli
Shining, altro nome di punta della futura scena DSBM.
Per il resto, i membri rimasero gli stessi, ovvero
Klaus Matton alla chitarra, il leader
Jürgen Bartsch al basso (questi due in origine facevano parte della Thrash metal band Morbid Vision) e
Chris Steinhoff alle pelli.
Innanzitutto, vi è da focalizzare l’attenzione sul cambio al microfono, che si rivelerà di importanza capitale. Affermo questo in quanto lo stile di
Landfermann, basato su una sorta di scream stridulo e assai originale, sembrava quasi fondere le classiche tonalità del Black della seconda ondata con quelle di voci iconiche e acute sulla scia di
King Diamond; il tutto elevato all’ennesima potenza con la sguaiatezza del dolore più lancinante. Le sue linee vocali hanno più attinenza con un latrato sofferente, e a tratti rabbioso, piuttosto che con un vero e proprio scream.
La sua prestazione resta uno dei punti di forza del disco; e nonostante di tecnico il suo modo di cantare abbia ben poco – a onor del vero, ho sempre avuto la sensazione che non fosse realmente puntuale nel rispettare i tempi delle battute dettate dagli strumenti –,
Landfermann era sicuramente quanto di più originale fosse possibile reperire in quel periodo, ed un vero e proprio antesignano per le generazioni future della fiamma nera.
Per riconferma di ciò che abbiamo scritto, basti pensare alla voce di
Nattram con i suoi
Silencer…
“Dictius te Necare”, assieme ad un’altra piccola manciata di album, è tra i capitoli più entusiasmanti che siano stati prodotti in ambito estremo.
Un LP solo apparentemente sconclusionato, in grado di sfiorare varie corde che si protendono verso tutte le innervature capillari in cui si era diramato fino ad allora il metal estremo, e non solo. Difatti, questo mantiene al suo interno reminiscenze Heavy di vario tipo, e in particolar modo un rifferama, e un utilizzo di tempi dilatati e cadenzati, pescante a piene mani dai
Black Sabbath.
Dentro questo buco nero vi è melodia, lentezza asfissiante, oscurità, violenza sonora tipicamente Black old-school, ed echi thrash che, sorprendentemente, riescono a rendere orecchiabile e avvincente qualcosa che di per sé non potrebbe mai esserlo.
La disperazione, il dolore, la mania suicida e omicida; quella che secondo il
Freud della seconda teoria delle pulsioni appartiene a
Thanatos, viene qui incanalata con tutta la sua forza da Eros, la pulsione di vita, sottoponendola infine a un processo di sublimazione che la trasmuta in arte.
Perché, signori miei, questa è arte allo stato più puro. E come tutte le grandi opere artistiche ha il pregio dell’autenticità, recante con sé, com’è naturale che sia, il seme dell’innovazione.
Non si deve pensare che le nostre parole siano eccessive, o che i
Bethlehem erano semplicemente dei pazzi inconsapevoli di ciò che stavano creando… Forse non comprendevano la portata che avrebbe avuto il loro “messaggio”, ma indubbiamente erano consapevoli che stavano cercando di salvare le loro vite con la musica.
“Rappresentiamo la vita e la morte. Celebrare soltanto un lato di qualunque cosa – che sia bianco e nero, vita e morte – non è naturale. Abbiamo sempre avuto umorismo nei Bethlehem. Non può esserci sempre e solo aggressività. Prima di tutto, è noioso. In secondo luogo, è irreale. Non è parte del tutto. Le nostre canzoni e i nostri testi malinconici sul suicidio e sulla morte avevano un altro lato, ma la maggior parte delle persone non se ne rende conto. Anche le nostre canzoni erano a favore della vita. Non erano esclusivamente a favore della morte. Odio fare solo una cosa. Questo è probabilmente il motivo per cui abbiamo tanti elementi aggressivi quanti elementi positivi e melodici. C’è una sfumatura malinconica nel nostro repertorio melodico e positivo, questo devo dirlo.”
(Bartsch)“Dictius te Necare”, a parere nostro, rappresenta lo zenit della discografia dei
Bethlehem; e assieme ai componimenti innovativi del successivo e grandioso
“Sardonischer Untergang im Zeichen irreligiöser Darbietung” del 1998 (che si muoverà invece su lidi più atmosferici, avvicinandosi così ancor di più al DSBM attuale), contribuirà ad imprimere una nuova espressione di sofferenza sul volto emaciato del Metal estremo.
A partire invece da
“Schatten aus der Alexander Welt” (2001) i Bethlehem inizieranno a incorporare elementi di vario tipo, tra cui ritmiche industrial, utilizzi estrosi dell’elettronica e sperimentazioni di stampo Rock/Metal, pur sempre però facendo confluire il tutto in una miscela, se non sempre estrema, quantomeno piuttosto angosciante.
La band, fortunatamente, risulta ancora attiva, e nelle ultime due release (
“Bethlehem” del 2016 e
“Lebe dich leer” del 2019) presenta alla voce la grandissima
Onielar dei
Darkened Nocturn Slaughtercult (di cui parleremo in seguito), vedendo anche un parziale ritorno alle sonorità più nere e suicide, pur senza abbandonare le sperimentazioni sonore.
Nagelfar 
I
Nagelfar sono stati fondati nel 1993 dal chitarrista
Zorn e dal batterista
Rykthius von Meilenwald, In seguito conosciuto con il suo nome civile:
Alexander von Meilenwald. La prima formazione stabile risale al 1995, quando il bassista
Sveinn Hackelnberg si unì a loro, e
Jander sostituì il primo cantante Smaug. Questa formazione registrò il primo demo della band,
"Als die Tore sich öffnen" alla fine del 1995, e il secondo demo,
“Jagd”, nell’ottobre 1996.
Dopo aver firmato per la
Kettenhund Records, nel settembre 1997 i Nagelfar registrarono il loro primo album,
“Hünengrab im Herbst”, nello Stage-One-Studio, a Bühne, di
Andy Classen.
Musicalmente, l’album combina influenze del Black metal scandinavo con elementi ritmici derivanti dal Thrash metal teutonico, sporadici sentori Industrial e parti vocali alternanti scream intensi, a passaggi puliti con frequenti cantati epici richiamanti ai
Bathory. Non a caso i testi esplorano tematiche mitologiche, oltreché le profondità dell’animo umano…
I brani si giocano su un’alternanza continua di riffs taglienti, blast beats travolgenti e sezioni più lente e atmosferiche. La struttura delle canzoni risulta complessa, con cambi di ritmo frequenti e un feeling sonoro coinvolgente ed immersivo. L’utilizzo di tastiere, e i numerosi ritagli acustici contribuiscono a creare un’aura mistica di fattura mitologica e, soprattutto, tratteggiano quella particolare dicotomia composta dall’accoppiamento della ferocia sonora, tipica della prima era della fiamma nera, con l’anima più elegante, armonica e in qualche misura legata a contesti musicali più classici.
Vi è da segnalare, inoltre, come già accennato, che l’LP è stato registrato nel settembre 1997 presso i Stage-One Studios con
Andy Classen. Produttore dalla limitata esperienza con il Black metal ma che tuttavia ha contribuito a creare una produzione dal suono potente e definito, all'epoca rara nel genere, rendendo ancora più riuscito e bilanciato il mix di brutalità e melodia, oltre ad esaltare il carattere epico delle composizioni dei Nagelfar. E proprio questo tipo specifico di suono, ottenuto in fase di produzione, risulta essere uno dei tratti distintivi e “avanguardistici” di
“Hünengrab im Herbst”, e che – per gli anni in cui si andava a collocare – facilitò il suo divenire un nuovo standard di riferimento per la scena Black teutonica, e non solo.
Capolavoro assoluto del genere tutto. Un vero amante della fiamma nera non può non conoscerlo.
Nel 1999, invece, rilasciarono il loro secondo capolavoro:
“Srontgorrth (Die Macht erfaßte das Meine wie die Angst das Blut der Anderen)” (
Kettenhund Records)
“Srontgorrth” conduceva il cammino dei
Nagelfar su un percorso più eclettico e articolato, dove la matrice Black primordiale e gli afflati epici del debut venivano coadiuvati da un approccio Progressive dai toni sperimentali ed avanguardistici, con un uso dell’elettronica, in taluni frangenti piuttosto marcato. Un album dove i tedeschi, come degli istrioni, giocano e riplasmano la materia nera… un processo passante da numerose deformazioni, destrutturazioni e riassemblaggi che, presi isolatamente, potrebbero apparire senza senso, ma che nel contesto di insieme in cui si articolano lasciano intravedere il profilo di un’opera complessa, tanto violenta quanto genialmente eclettica e suggestiva.
Forse un album che può aver fatto, e tutt’ora farà, storcere il naso a qualche purista, bensì, che al contempo rivela una genialità che soltanto un intelletto gretto non sarebbe in grado di cogliere.
Una delle vette più alte del Metal nella sua interezza, adeguato a chiunque ami la Grande Musica.
Si ripresentarono poi a distanza di due anni, nel 2001 – dopo aver nel frattempo rilasciato uno split con i
Bluttaufe – , con il loro terzo full-length:
“Virus West”, pubblicato sotto l’egida della
Ars Metalli.
Anche qui i
Nagelfar proponevano un Black metal di altissimo livello che, anche se non raggiunse le medesime vette dei suoi due predecessori, sfiorò comunque sia il capolavoro. Probabilmente non vi è la medesima genialità degli esordi, ma siamo pur sempre di fronte a un disco bellissimo, in cui la matrice nera è più in evidenza, con un orientamento più prossimo ai canoni tradizionali del Black, a discapito della vena sperimentale che qui risulta quasi assente. Si tratta di un disco durissimo e gelido, dove tuttavia non manca un approccio epico, spiccato e coinvolgente, oltre a molteplici strutture complesse, pluristratificate e dai costrutti Progressive, come era consuetudine per questa band.
Composto da sole sette tracce, della durata di oltre un’ora totale, pur procedendo su una via più diretta e tendenzialmente iconoclasta, necessita di svariati ascolti per essere assimilato. Indubbiamentem con questo LP i
Nagelfar non inventarono niente, ma la bellezza di
“Virus West” è innegabile, e dovessimo assegnargli un voto, comunque non si potrebbe scendere al di sotto del nove.
Purtroppo, dopo questo album, i
Nagelfar a breve si scioglieranno, facendo in tempo a rilasciare – in maniera indipendente – soltanto un altro EP nel 2003:
“Ragnarök”. Un EP di livello, degno del marchio
Nagelfar che, tuttavia, si muoveva in una direzione molto diversa da quanto fatto precedentemente, presentando una produzione raw ricalcante fedelmente il suono del primo
True Norwegian Black Metal, e la stessa cosa può dirsi per il songwriting, caratterizzato da forti contorni atmosferici.
Da segnalare che attualmente l’EP, probabilmente per via del fatto di non aver avuto il patrocinio di alcuna casa discografica, risulta irreperibile.
Tha-Norr
I
Tha-Norr si formarono in Germania tra le località di Celle e Lower Saxony, per volontà di
Hendrik Poppe (basso)
Marko Sklenarz (voce) e
Felix Alesis (batteria).
I
Tha-Norr registrarono la loro prima demo cassetta
“Assault on Aerie” al Dark Knight Studio, e fu pubblicata nel 1994. L’anno seguente, 1995, rilasciarono il loro primo full-length:
“Wolfenzeitalter”, che però non vedrà la presenza di
Felix, divenendo così i Tha-Norr un duo.
Ovviamente, dopo tutta la nostra argomentazione sulle origini del Black e, su come sia il 1996 l'anno cruciale per la terra tedesca - e il 1994 con i
Bethlehem - è facile comprendere come mai il debut in questione sia da ritenersi importante.
L’album si apre con la canzone
“Tears for All those Who Died”, il cui testo è stato scritto dal batterista degli
Absurd Hendrik “Jarl Flagg Nidhoegg” Möbus, dopo aver già compiuto l’omicidio, insieme agli altri membri del gruppo (con la complicità della sua fidanzata), del povero Sandro Beyer (1993). Vi è da segnalare che molto probabilmente è stato scritto dal carcere. Dato che lui e i suoi compari verranno rilasciati "solo" nel 1998 con l'attenuante di essere stati ancora minorenni al momento dell’omicidio...
Fin dalla traccia citata si mette in evidenza come il sound dei Tha-Norr sia terribilmente angosciante, reso ancora più malsano da un uso esasperato dell’overdubbing sulle linee vocali. Un full-length profondamente ancorato alla
"Unholy Trinity" dei
Darkthrone, ma non solo…
Nel corso del platter trovano spazio synth, strumenti a fiato suggestivi e raffinati, dai sentori folcloristici e pagani, come nella magica
“Wolfenzeitalter”. Così come possiamo rinvenire sparute clean vocals, mutuate dall’epopea Epic/Viking dei
Bathory, in sovraincisioni quali quelle contenute in
"The Fortress Will Fall"; dove inoltre si inseriscono calde strutture Post-Black dagli squisiti sentori Hard-Rock, in piena antitesi con il sound gelido che contraddistingue tutta l’opera. Non è assente persino un frangente dove i giovani tedeschi si spingono in direzioni Avantgarde - ci riferiamo qui alla strumentale
"Fegefeuer"; la quale si muove tra Electro Music stile
Kraftwerk e
Tangerine Dream, e Dark ambient dal tocco soffice.
È un album dal sound durissimo, con effetti crunchy abusati a tutto campo, scream lancinante, filtrato, e come già accennato, amplificato da un overdubbing spietato che sovrappone le linee vocali in maniera estremamente perfida e inquietante… Anche dopo aver chiuso lo stereo continuerete a sentirle nelle vostre orecchie.
I riottosi blacksters spaziavano su dinamiche frequentemente cadenzate o mediamente veloci, dilaniate dai classici tremolo inferociti, distorti ai limiti dell’incomprensibilità, ricordando un po’ le
Les Légions Noires, e gli americani
Black Funeral. I quali, per inciso, insieme ai
Mütiilation - formazione di punta delle già citate legioni nere - esordivano nel medesimo anno con il primo lungo
"Vampyr - Throne of the Beast"; mentre i francesi con
"Vampires of Black Imperial Blood". Anche se, nel caso di questi ultimi, essi avevano già svariati demo ed EP alle spalle, di cui i primi rilasciati nel 1992; che al contrario dei Black Funeral, insieme ai demo di Vlad Tepes e Belkètre, potevano essere serviti da spunto; in quanto ampiamente rilevanti nel panorama underground più crudo della prima metà dei '90.
"Wolfenzeitalter" è un disco lungo e di non facile assimilazione; dove molteplici sono i momenti Doom putrescenti e malsani, che tuttavia, talvolta, e ce lo dimostra
“Weltschmerz”, palesano la loro origine classica e sabbathiana.
Non vi sono molte parole per descrivervelo, dovete ascoltarlo…
Intransigente, permeato di oscurità, occultismo, nostalgia per il mondo pagano e desiderio di rivalsa.
Una pietra portatrice di un gelo siderale in grado di sgretolare sangue e ossa, tanta è la malvagità che sprigiona.
Qui dentro vi è racchiusa la quintessenza del male… Ed è giusto che esista; meglio che che resti collocata in
“Wolfenzeitalter” piuttosto che altrove.
ALTRE FORMAZIONI IMPORTANTI O DEGNE DI NOTAVale la pena spendere alcune parole anche su formazioni venute leggermente dopo i padri fondatori della scena teutonica, sia per amor di completezza che per la qualità intrinseca dei loro lavori… In particolar modo, noi non possiamo prescindere dal nome dei
Nargaroth se parliamo di Black Metal tedesco. E a nostro avviso, una delle migliori band della seconda generazione della seconda ondata. Inoltre, passeremo al vaglio
Moonblood,
Nachtfalke,
Dunkelgrafen,
Morrigan,
Bilskirnir,
Odal,
Horn,
Darkened Nocturn Slaughtercult,
Aeba,
Zorn,
Negator,
Agrypnie,
Nocte Obducta,
Secrets of the Moon,
Dark Fortress,
Dies Ater,
Agathodaimon,
Black Messiah e
Dorn; e sicuramente ve ne sarebbero molti altri da trattare, tuttavia, noi ci limiteremo per buona parte a questi nomi; apponendo giusto in conclusione qualche piccola integrazione.
OLD-SCHOOL BLACK METAL – II° GENERAZIONE Sotto questa categoria tratteremo le formazioni della seconda generazione che si proponevano (o si propongono) di riprodurre il suono ortodosso della primigenia fiamma nera. Anche se alcuni di questi nomi, come verrà specificato, inseriranno in seguito, o in alcuni lavori, sfumature d’altra varietà cromatica (per esempio i Nargaroth)
NargarothI
Nargaroth sono una one man Black metal band originaria di Eilenburg, Germania, fondata nel 1996 da
René Wagner, in arte
Ash (precedentemente
Kanwulf)
Dopo due anni dalla formazione venne pubblicato il primo demo,
“Herbstleyd” che darà il nome anche al primo vero full-length che uscirà solo nel 1999, dopo aver rilasciato un altro demo (
“Orke”), tramite la
fondamentale etichetta No Colours Records.
“Herbstleyd” mostrava fin subito come il progetto Nargaroth fosse ancorato alla tradizione più primeva del Black, sia livello compositivo che come produzione, lo-fi e selvaggia, seppur non incomprensibile.
“Herbstleyd” è un lavoro che presenta una costante alternanza, per oltre un’ora (caratteristica tipica del gruppo quella di fare LP molto lunghi), di partiture veloci sul filo di tremolo affilati come rasoi e blast beat, dove in vari momenti invece si rallenta, e la diade basso/chitarra assume toni estremamente corposi e sferraglianti, somigliando quasi ai cingoli di un carrarmato in movimento; che appunto, si alternano a suite atmosferiche e dai contorni ambient, con tanto di ululati, soffi di vento, ecc.ecc., che tanto sono debitori alle fasi più atmosferiche del
Conte e dei
Bathory.
Un lavoro egregio dove non mancano anche influenze provenienti da
Satyricon ed
Enslaved, e da tutto il primo Black Metal; un LP che ha avuto il merito di tenere alta la bandiera della fiamma nera che di lì a poco sarebbe andata incontro a un periodo qualitativamente inferiore rispetto agli anni d’oro, ovvero quelli della prima metà dei ’90.
Nel 2001 rilasciarono, invece, il loro secondo lavoro lungo in studio, il quale rappresenta una delle opere più iconiche del Black Metal teutonico nella sua interezza, quantomeno per quanto riguarda il corso della seconda generazione della seconda ondata della fiamma nera, ci stiamo riferendo a
“Black Metal ist Krieg (A Dedication Monument)”, patrocinato nuovamente dalla
No Colours Records. Un album anch’esso devoto alla tradizione del Black della prima ora, dove
Ash condensava l’attitudine di varie realtà della tradizione della fiamma nera, riplasmandole a suo piacimento. In particolare, sono gli elementi di
Mayhem,
Burzum e
Darkthrone, assumenti una veste rilevante in un costrutto lungo che alterna momenti nichilistici ad altri sospensivi, monotonamente ossessivi e dilatati, con una poetica decadente e disperata che si spinge in territori Depressive, riuscendo, realmente, a scuotere dalle fondamenta chi vi presti ascolto.
“Black Metal ist Krieg (A Dedication Monument)” rappresenta il vero manifesto del Black Metal degli anni 2000, volto a ridare rilievo e grandezza all’arte oscura che in quegli anni andava inesorabilmente scemando, quantomeno nei suoi picchi qualitativi.
Si tratta di un LP che si pone su un piano trascendente rispetto al mero aspetto musicale, sintetizzando e condensando al suo interno anche tutta quella che rappresenta la filosofia del genere e il suo retaggio culturale. Un LP profondo anche dal punto di vista tematico, oltreché toccante. In particolar modo risulta degno di rilievo citare le liriche di
Ash in
”The Day Burzum Killed Mayhem”. Qui veniva trattato l’evento dell’omicidio di
Euronymous da parte di
Burzum, ponendo il focus sullo sconvolgimento e la disperazione provocata in
Ash; questo poiché, in qualche misura, egli aveva plasmato il proprio
Io sulla parziale identificazione con un ipostatizzazione del Black Metal, ma soprattutto con i suoi due alfieri principali, ovvero
Burzum e i
Mayhem (e quindi anche Euronymous); dunque è stato come se fosse avvenuto un omicidio al suo interno, di cui egli stesso era sia vittima che carnefice. Inoltre, veniva trattato dell’aspetto tragico che tale evento ha avuto per tutto il movimento: non solo la perdita di un grande artista – e in parte anche di Burzum, poiché incarcerato e limitato nelle sue capacità artistiche –, bensì anche in quanto quello fu un evento che divise tutto il Black Metal in due fazioni, privandolo della primigenia unità, e dunque contribuendo al depauperamento della sua forza.
“Black Metal ist Krieg (A Dedication Monument)” rappresenta un vero e proprio condensato di tutto quello che è stato il Black Metal, di quello che avrebbe dovuto essere nel 2001, e un modello di riferimento ancora attuale delle caratteristiche che dovrebbe incarnare una band che voglia dedicarsi al culto della fiamma nera.
Due anni dopo, nel 2003, sarà la volta di
“Geliebte des Regens” – con
Ash affiancato dal drummer
Hiver – rilasciato ancora una volta tramite la
No Colours Records.
Si tratta di un album dove è la componente atmosferica a predominare, con numerose strutture burzumiane dove un certo tipo di accordi Post-Black dal mood estremamente Depressive risultano la costante… tantissimi droni sospensivi e uno scream lacerato dal dolore che investe ogni angolo emotivo del platter.
Non che i primi due album dei Nargaroth non avessero esplorato questa dimensione, anzi, al contrario; tuttavia qui tale componente non appare alternata, nella stessa misura e proporzione, alle classiche strutture veloci e iconoclaste dei suoi predecessori.
Un’attitudine - quella dei primi lavori - che ritornerà con più veemenza invece nel successivo e blasfemo
"Prosatanica Shooting Angels". Album che recupera, appunto, la matrice stilistica dei primi due LP, dunque con ampia alternanza di momenti atmosferici ad altri più selvaggi e brutali, declinati sotto il segno di un’impostazione forse tra le più sacrileghe e oscure mai dispiegate dal gruppo. Un album che ad alcuni sommelier – come direbbero i nostri amici e colleghi addetti al Black – fece un po’ storcere la bocca, per una produzione probabilmente ancora più raw dei primi tre lavori… tuttavia, signori… il Black Metal è questo.
Un percorso che pur con le dovute ricalibrazioni, e con una fermezza esecutiva maggiore, proseguirà indisturbato anche nel successivo
"Semper Fidelis" del 2007, in cui, tra l’altro,
Ash abbandona totalmente lo pseudonimo di
Kanwulf. Lo stile
Nargaroth mostrerà invece nuovi venti dal seguente
"Jahreszeiten" (2009), dove alla solita miscela di Black atmosferico e distruttivo si aggiungerà una matrice Folk piuttosto spiccata, pur sempre all’insegna di suoni raw ed estremamente minimali.
Un album che a livello tematico, oltre alle solite introspezioni esistenziali di
“Prosatanica Shooting Angels” e
“Semper Fidelis”, introduceva riflessioni sulla ciclicità delle stagioni e delle emozioni umane.
Per avere tra le mani un nuovo lavoro lungo si dovette attendere ben altri otto anni, ovvero il 2017, quando verrà rilasciato il settimo full-length a nome
Nargaroth:
“Era of Threnody” (
Inter Arma Productions).
Un album che è stato fortemente criticato perché si allontanò in misura piuttosto evidente dal classico sound dei Nargaroth, presentando una produzione più pulita e “moderna”, e nell'insieme un approccio al Black metal includente numerose partiture melodiche, strutture calde dagli afflati Post-Black/Hard Rock, un cantato più misurato e basato su un'interpretazione che, pur mantenendo lo scream tipicamente Black, si destreggiava su linee vocali maggiormente melodiche; configurandosi, dunque, come un album integrante strutture malvage, pathos tragico, sperimentazioni, inserti folcloristici, strumenti acustici e un insieme di ecletticismi che si disinteressavano del desiderio che da sempre ha contraddistinto il gruppo, ovvero quello di non uscire dalle coordinate della fiamma nera tradizionale. Dirigendosi, al contrario, in piena libertà, verso i sentieri più variopinti della
Grande Musica; i quali non hanno simboli o colori di appartenenza, propri a uno specifico indirizzo musicale.
Al momento, questa risulta l’ultima uscita ufficiale di rilievo rilasciata dal tedesco, e, ad avviso di chi vi scrive, per quanto non propriamente ortodossa, tra le più belle da loro composte in tutto l’arco della carriera.
Dunkelgrafen
I
Dunkelgrafen sono stati un gruppo Black metal tedesco della Sassonia fondato nel 1995. La band prese in prestito il nome dalle leggende che circondano una fantomatica Contessa Oscura e suo marito, i quali vivevano, all’inizio del XIX secolo nel castello di Eishausen, vicino a Hildburghausen.
I primi tre album sono stati pubblicati dall’etichetta
Last Episode. Il primo risale al 1998:
“Im Schatten der Ewigkeit”, disco criticatissimo da molti recensori italiani, come il resto della carriera della band, che invece a nostro avviso, ed anche per parte della critica tedesca, rappresenta un disco che sfiora il capolavoro.
Si tratta di un Black Metal estremamente crudo, come da trademark della primeva scena teutonica. Un album pieno di dissonanze, temolo devastanti e blast beats potentissimi, e che al contempo lascia ampio spazio a una dimensione atmosferica di sottofondo. Il suono è crudo, frastornante, talvolta con qualche piccolo sbilanciamento, ma di una evocatività e potenza espressiva annichilente. A questo contribuisce la prestazione sopra le righe di
Dunkelgraf, con uno scream sgraziato e al contempo estremamente muscolare, coadiuvato, in alcuni frangenti, dal growl brutale e dilaniante di
Iskariot.
I
Dunkelgrafen con il loro esordio lasciarono il segno. Un marchio nero aberrante in grado ancora oggi di incutere timore… Poiché quel che più di ogni altra cosa contraddistingue
"Im Schatten der Ewigkeit" è quell’alone di oscurità horrorifica, abbinata ad alcune soluzioni ricercate e melodiche, che non può lasciare indifferenti.
Inoltre, vi è da segnalare che in ambito underground godette di una certa notorietà.. Aggiungiamo poi che, come potete vedere, il 1998 è una data risalente se non agli albori, quantomeno ai primi anni del Black vero e proprio del suolo teutonico.
Dopodiché, purtroppo, i
Dunkelgrafen non riusciranno più a replicarsi; al contrario daranno alle stampe album di basso lignaggio; tanto da rendere difficilmente spiegabile come ciò sia potuto avvenire, dopo uno scintillante esordio come
"Im Schatten der Ewigkeit".
Dopo quattro registrazioni lunghe in studio, e una registrazione live, i Dunkelgrafen si sciolsero nel 2005. Alcuni membri però risultano ancora attivi in altri progetti Black metal: il batterista
Athanassius, per esempio, è al microfono con i
Silberbach e il cantante
Dunkelgraf suona il basso negli
Infernal Regency. Mentre il chitarrista
Lord Asgaqlun, che se ne andò nel 1998, ha proseguito su progetti paralleli, in parte portati avanti contemporaneamente ai
Dunkelgrafen (
Vilkates e
Andras, e anche
Camulos).
Allo stato attuale, non siamo certi se il gruppo sia attivo o sia ancora sciolto.
Darkened Nocturn Slaughtercult
I
Darkened Nocturn Slaughtercult sono un gruppo Black metal tedesco-polacco formatosi nel 1997 tra le località di Dormagen e North Rhine-Westphalia. Vi è da segnalare, tra le varie cose, che il complesso capitanato da una donna (probabilmente una delle prime Black Metal band al femminile), per la precisione dalla cantante e chitarrista
Onielar (che nel 2016 entrerà anche a far parte dei
Bethlehem).
Dopo un demo e uno Split con i Pyre, rilasceranno nel 2001, in maniera indipendente, il primo full-length:
”Follow the Calls for Battle”.
”Follow the Calls for Battle” è un album di Black metal tradizionale, molto crudo nei suoni e al contempo dotato di un buon tasso tecnico che mostrava fin da subito una delle caratteristiche distintive dei
Darkened Nocturn Slaughtercult, ovvero la capacità di coniugare la durezza e il gelo nordico – con una discreta attitudine lo-fi – e una tecnica più elevata della media che si ripercuote su un uso serrato dei cambi di ritmo e su partiture più intricate, dalla dinamica terremotante di matrice Thrash/Death in cui si avverte perfettamente l’influsso teutonico, oltreché, quello svedese e alcune strutturazioni serrate al fulmicotone richiamanti ai primi
Immortal.
Un album molto breve, di soli 31 minuti, quasi integralmente improntato sulla velocità, dove comunque sia si insinuano melodie sinistre dissonanti assai ricercate, e sporadici frangenti più rallentati e suggestivi. Sono le linee di chitarra a fare da padrone del disco che risulta, pur se non innovativo, di grande personalità e forte impatto. Un impatto ottenuto anche grazie alla prestazione della
Onielar , la quale sfoggia uno scream sgraziato potentissimo ed evocativo, inoltrandosi, talvolta, perfino in inquietanti urla Depressive burzumiane che niente hanno da invidiare ai singer più nerboruti.
Un album di livello davvero elevato che apriva le porte per l’evoluzione stilistica sempre più sublime che prenderà corpo nei due LP successivi, ovvero
“Nocturnal March“ (2004) e
“Hora Nocturna” (2006).
“Nocturnal March” si manteneva più o meno sui medesimi stilemi del debut, tuttavia con l’accentuazione delle atmosfere guerresche, dai toni particolarmente epici, con tanto di campionamenti e momenti ritmici dove sia le percussioni, che i suddetti campionamenti, sostenuti da trame solenni e corali di sottofondo, richiamano motivi camerateschi; ed è la marcia impavida e marziale dei soldati diretti verso la battaglia ad emergere con prepotenza. Probabilmente, rispetto all’esordio, le dinamiche Thrash/Death risultano più mitigate, e la tecnica dei
Darkened Nocturn Slaughtercult venne limata a favore di un’essenzialità più tipicamente Black metal.
Questa scarnificazione del songwriting, già di per sé piuttosto crudo, come lo era quello dell’esordio, si ripercuoteva anche sul suono complessivo dell’opera, e quindi della produzione in studio, la quale avvicinava la band al sound delle prime release norvegesi del
True Norwegian Black Metal.
Con il seguente
"Hora Nocturna", proseguirono sulle coordinate sonore tracciate con "Nocturnal March", ovvero su un suono scarno e sempre più vicino ai classici, e proprio ai fondatori
Darkthrone e alla loro
Unholy Trinity si deve guardare. Questo aspetto si avverte con forza anche nel songwriting, dove l’essenzialità resta un elemento preponderante, pur senza rinunciare alle ottime doti tecniche di cui i
Darkened Nocturn Slaughtercult sono sempre stati dotati; affiancandovi, inoltre, alle tipiche partiture nichiliste a colpi di tremolo, blast beats e cambi di ritmo devastanti e avvincenti (seppur più esigui restano, e resteranno, sempre presenti nella musica dei tedeschi), contorni atmosferici minimali, dati perlopiù dall’utilizzo di droni atti a suscitare effetti sospensivi. Mentre invece le atmosfere guerresche e vichinghe – che mai erano state troppo preponderanti – vengono rimosse, a favore di un’oscurità che non conosceva al tempo, e neanche in seguito conoscerà, eguali all’interno della discografia del gruppo. Un oscurità inquietante, a tratti mistica che pervade tutti i 41 minuti di
"Hora Nocturna".
Un’opera notturna nel vero senso della parola, angosciante, poetica, sognante, satanica fino al punto limite in cui chicchessia, avvolto in tale illusione, pretenda di dischiuderne il senso.
Probabilmente rappresenta lo zenit assoluto dei
Darkened Nocturn Slaughtercult, e uno dei punti più neri della sacra fiamma teutonica.
I
Darkened Nocturn Slaughtercult si ripresentarono nel 2009 con il loro quarto full-length, rilasciato, finalmente, per la prima volta, tramite una label, la
War Anthem Records, dal titolo:
“Saldorian Spell”, il quale niente aggiunge, o quasi, al precedente
"Hora Nocturna", e che , altresì, pur nella bontà della sua musica, segna a nostro avviso un piccolo passo indietro rispetto ai fasti raggiunti con i primi tre album.
"Saldorian Spell" resta comunque un disco di buon livello e dai forti tratti depressivi; il quale si limita a ricalcare – senza inserirvi troppi elementi personali, di cui la band di
Onielar sarebbe ricca – gli stilemi della fiamma nera norvegese, ricordando anche un po’ proposte selvagge (validissime) come le reinterpretazioni del True Norwegian Black Metal proposte da band come
Vlad Tepes,
Mütiilation,
Judas Iscariot, ecc.ecc.
Fermiamo qui la rassegna dei
Darkened Nocturn Slaughtercult (che ricordiamo, abbiamo approfondito abbondantemente in una monografia a loro interamente dedicata), i quali continueranno sulle coordinate da noi sopraesposte, con altri due full-length:
"Necrovision" del 2013, album a nostro avviso superiore
"Saldorian Spell"; concludendo poi, per il momento, la loro produzione discografica con
"Mardom", rilasciato nel 2019, entrambi con l’etichetta
War Anthem Records.
Dopo questa lucente perla nera la band è entrata in un lungo periodo di inattività forzata, a causa di un cancro al seno che purtroppo ha colpito la
Onielar, costringendola a cicli di chemioterapia e invasivi interventi chirurgici.
Fortunatamente, sembrerebbe che la mitica Onielar si sia ripresa, anche se non abbiamo notizie certe, se non che recentemente risulti aver suonato in alcuni festival e che sembrerebbe averne altri in programma; inoltre, dalle foto che abbiamo avuto modo di visionare, sembrerebbe proprio in ottima forma, seppur “coperta” dal suo caratteristico look da palcoscenico.
Zorn
Gli
Zorn sono una band Black metal del distretto Rhein-Neckar nel Baden-Württemberg, formatasi nel 2000 e dopo poco dal demo di esordio, pubblicato nel 2001, rilasciarono, nel medesimo anno, tramite il patrocinio della
Last Episode, il loro primo full-length:
”Schwarz Metall”.
Non vi è molto da dire su questo album di esordio, qui i tedeschi seguono la via del True Norwegian Black Metal della prima metà degli anni ’90, quello più intransigente di
Darkthrone,
Immortal e
Gorgoroth, con la durezza stilistica di alcune soluzioni tipicamente teutoniche. Si tratta di un monolite di 30 minuti, dove il gruppo, sostanzialmente, non espone niente di nuovo, al contrario, risulta più ancorato che mai agli stilemi tradizionali. Indubbiamente non un’opera imprescindibile, tuttavia suonata con una convinzione e potenza davvero con pochi eguali.
Il discorso intavolato dagli
Zorn invece diviene sicuramente più interessante con il secondo full-length, pubblicato nel 2003 tramite la
Neon Knights:
“Menschenfeind”.
Qui la vena artistica dei tedeschi confluisce in un costrutto di insieme più articolato, dove non è più la velocità ad oltranza la protagonista indiscussa del loro stile, bensì questa si alterna frequentemente con strutture molto lente, quasi atmosferiche, le quali evocano una sensazione claustrofobica e opprimente, con un alone oscuro che diviene quasi palpabile. Un album realmente molto suggestivo, e dai tratti estremamente neri e depressivi.
“Inquietante” è la parola giusta con cui descriverlo: un incubo che diviene musica.
Si tratta di un LP poco conosciuto e indubbiamente sottovalutato anche dai cosiddetti esperti. Benché non vi sia dubbio che rappresenti un’opera minore e ininfluente per il corso del Black, rappresenta uno dei migliori lavori della seconda generazione della seconda ondata della fiamma nera; e questo è ancora più vero se ci riferiamo a quella tedesca.
Due anni dopo invece rilasciarono il loro terzo LP,
“Todesschwadron” (preceduto un anno prima da uno Split con i “Grålysning”), il quale non fece che riconfermare la buona tenuta della proposta del gruppo, che pur non essendo particolarmente originale, rappresenta un’ottima testimonianza del lascito di una tradizione oscura che tramite gli
Zorn, e altri gruppi simili, continua a tramandarsi su livelli qualitativi elevati.
Fermiamo qui la rassegna degli album degli
Zorn, i quali pubblicheranno altri tre full-length, oltre ad altre releases minori. L’ultimo LP, allo stato attuale, risale al 2014:
“Gegen alles”.
Negator 
I
Negator si sono fondati nel febbraio 2003 per volontà di
Nachtgarm.
Nel febbraio 2004, invece, pubblicarono l’album di debutto”
"Old Black”, tramite la
Remedy Records.
“Old Black”, come d’altronde già il titolo rivela, è un classicismo disco Black metal vecchia scuola dalla produzione relativamente più moderna, senza tuttavia perdere il feeling primitivo che contraddistingueva le uscite della prima metà degli anni ‘90.
I punti di riferimento dei
Negator sono senza dubbio i primi
Darkthrone, gli
Immortal e i
Gorgoroth. Infatti, qui si limitavano a ricalcarne le gesta stilistiche. Presentando un sound estremamente duro e gelido, improntato prevalentemente sulla velocità, ma dove comunque sia non erano assenti cambi di ritmo, momenti più cadenzati e vari inserti Thrash/Death furiosi che, per certi aspetti, sono riconducibili alla scuola svedese dei
Marduk.
I tedeschi non inventavano certo niente di nuovo, ma la loro abilità, l’incredibile perizia, e l’elevato grado di ispirazione compositiva, sono talmente convincenti da lasciare profonde tracce del loro passaggio.
E più o meno sulla stessa falsariga, ma con ancor più perizia, che si muoverà il successivo
“Die eisernen Verse” uscito l’anno dopo, e per il cui seguito si dovrà attendere circa altri 5 anni:
“Panzer Metal”.
Con questo terzo full-length i Negator raggiunsero il loro apice, sviluppando maggiormente quell’innervazione epica della loro arte che nelle opere precedenti risultava solo abbozzata, e rafforzando inoltre il feeling, sempre in una direzione molto brutale, tipico della scuola svedese; nuovamente con predilezione per i
Marduk (d'altronde il titolo parla chiaro). Presentando strutture più complesse, strutturate e con un certo retrogusto melodico capace di far subito breccia sull’ascoltatore.
“Panzer metal” è un album suggestivo, oscuro e al contempo dotato di una certa gamma di sfumature, tra cui una nota Depressive che in certi tratti lo rende estremamente angosciante.
Dopo circa tre anni, dopo essere passati alla
Viva a Hate Records, rilasciarono
“Gates to the Pantheon”, dove si scorgeva una leggera diminuzione delle tonalità epiche a favore di un riallineamento su coordinate durissime, benché ampiamente contaminate dal Death metal, con tanto di growl estremamente baritonale che di tanto in tanto emerge sul resto, profilando un’opera dal taglio Blackened death devastante, e con molti passaggi entusiasmanti.
Dovranno passare altri sei anni per un nuovo lavoro dei
Negator,
“Vnitas Pvritas Existentia” che niente aggiunse alla storia artistica della band.
Mentre il 12 marzo 2021 il gruppo annunciò il proprio scioglimento. Il motivo addotto sembrerebbe essere stato il ritiro dalla scena musicale del cantante
Nachtgarm.
FRANGE PROGRESSIVE/POST/AVANTGARDE Del BLACK METAL TEUTONICO Agrypnie
Gli
Agrypnie sono una band tedesca fondata nel 2004 a Groß-Gerau, nell’Assia, da
Torsten Hirsch, noto come
der Unhold, già membro dei
Nocte Obducta. Dopo l’uscita dal progetto precedente, Torsten decise di dare vita a un’esperienza musicale che unisse liriche profonde e sonorità evocative.
Il gruppo, dopo uno Split demo nel 2005, rilasciò – grazie al patrocinio della
Supreme Chaos Records – l’anno seguente il suo primo full-length:
“F51.4” (2006). Un debutto che evidenziava una forte componente sperimentale; dove per l’esattezza Black metal atmosferico, costrutti Progressive, partiture Dissonant e strutture Post -black estremamente pregne di pathos, con varie liriche che, oltre al classico scream, lasciano trasparire un’interpretazione calda davvero originale che ben si sposa con le tematiche esistenziali – dolore, metamorfosi e senso della vita – e personali qui trattate. Tutto convogliato in un magma sonoro coeso e organico, nell’insieme estremamente violento: sia per quanto pertiene l’atto puro dell’espressione artistica, che per quel che riguarda la potenza sonora nuda e cruda. Un disco che non può non colpire immediatamente al cuore.
Dopodiché, due anni dopo fecero uscire, con la medesima label, la loro seconda opera lunga,
“Exit” (2008). Generalmente questo viene considerato un lavoro più maturo e strutturato, ed in effetti si tratta dell’apice della complessità mai raggiunto, al tempo, dal gruppo.
Un album dalla strutture progressive e dilatate, cosa che si ripercuote anche nella durata (oltre un’ora di musica ).
I binari su cui qui si muovevano i tedeschi sono gli stessi del debut, ma con una predilezione per le contaminazioni di matrice Post-black. Dove si ritrovano fusi elementi struggenti dell’Hard Rock, progressioni chitarristiche Heavy, sinfonie, riffing taglienti dal piglio Speed /Thrash e molto altro. Per un platter anche questo ampiamente emotivo, passionale, e di una forza espressiva di rara intensità e bellezza.
Stessa cosa può essere affermata per il terzo lavoro
“16[485]” (2010), dove tuttavia si evidenzia una maggiore attenzione per le atmosfere e le trame melodiche, e nell’insieme una maturità e consapevolezza stilistica maggiore. Un album clamoroso quanto ad intensità, poetica e senso estetico.
Fermiamo qui la nostra rassegna su questa grandissima band che, dopo questi tre lavori, darà luce ad altri quattro full - length – di cui l’ultimo
“Erg” nel 2024 – che noi di
metal.it non possiamo far altro che consigliarvi di recuperare.
Nocte Obducta 
I
Nocte Obducta, formati nel 1993 a Mainz, Germania, si sono distinti come una delle band più innovative nel panorama Black metal europeo. La loro musica combina il Black tradizionale con influenze progressive, atmosferiche e talvolta sperimentali, rendendoli un punto di riferimento per chi cerca profondità e complessità nel genere.
Originariamente conosciuti come
Desîhra, cambiarono nome nel 1995 e pubblicarono il loro primo demo nel 1998, per poi l’anno successivo – coadiuvati dalla
Grind Syndicate Media – esordire con
“Lethe (Gottverreckte) Finsternis” (1999), con il quale iniziarono a definire i tratti fondamentali del loro stile con una maturità e pluristratificazione sonora realmente sorprendente per un debut; anche se, in minima parte, l’eterogeneità della loro vena artistica in qualche punto sfugge dalla visione organica che contraddistingue le opere immortali, mancando così di un soffio il raggiungimento di tale status.
In ogni caso, qui i
Nocte Obducta condensavano la furia del Black metal primordiale con numerosi influssi melodici e atmosferici, inoltrandosi perfino in territori sinfonici, pur senza mai perdere la violenza che contraddistingue lo spirito della fiamma nera. A ciò perviene in aiuto anche un forte substrato Thrash – dalle frequenti aperture Speed –, il quale, tra l’altro, risulta funzionale a conferire un certo piglio catchy alle composizioni, sgravando così l’ascolto da qualunque possibile pesantezza, indotta dalle articolate strutture Progressive di cui è contraddistinto il disco.
Proseguiranno l’anno seguente con
“Taverne (In Schatten schäbiger Spelunken)”, dove venivano mantenute le linee guida dell’esordio, bensì sotto il segno positivo di una maggiore capacità di sintesi. Capacità che consentì di eliminare quella lieve sensazione di disorganicità strutturale da noi segnalata qui sopra, in merito al loro esordio. Un album che realmente, come pochi altri nel genere, è stato capace di sintetizzare costrutti propriamente Black, Thrash metal, strutture sinfoniche e Progressive sullo stile degli Emperor; frangenti atmosferici con influssi del primo Conte e degli Ulver, con una disinvoltura disarmante. Una sintesi, come il suo predecessore, tra modernità e Old school garantita, da un lato, da costruzionI che cercano di innovare pur restando all’interno di perimetri ortodossi, e dall’altro, da una produzione – vero e proprio trademark del gruppo – cruda e impostata sui parametri dei gloriosi primi anni ’90.
Un must del Black metal tedesco, da molti considerato il miglior lavoro della band.
Una attività devota al male che proseguirà spedita anche nel seguente
“Schwarzmetall (Ein primitives Zwischenspiel)”, rilasciato a solo un anno di distanza.
Faccia attenzione il lettore a non credere che non sia possibile pubblicare tre album di qualità nel giro di soli due tre anni… i
Nocte Obducta sono fatti di una sostanza diversa dalla maggior parte delle altre formazioni.
Questo lavoro, tuttavia, segnò una svolta significativa nella loro discografia, evidenziando un ritorno alle radici del True Norwegian Black Metal più grezzo e diretto, pur senza rinunciare agli intarsi melodici; benchè in assenza della vena sperimentale, e sotto il segno di una produzione ancora più raw, e di un minimalismo compositivo capace di dar luogo a situazioni, tanto melodiche, quanto primitive, sulla scia dei primi Darkthrone e Gorgoroth (con alcuni echi del conte in un certo uso scarno dei droni sospensivi). Un album dai suoni davvero ridotti all'osso, crudi come pochi altri, ma che nonostante ciò risultava capace di preservare taluni frangenti sinfonici, insieme a pluristratificazioni sonore dai sentori sacrali, e talvolta folcloristici, conferenti a questa opera un fascino occulto, proprio solo a ciò che è realmente prezioso.
Ad avviso di chi vi scrive – ma è da precisare che qui si tratta di questioni di lana caprina, come direbbe il nostro
Maestro Dope – i
Nocte Obducta raggiunsero il loro apice compositivo con il quarto lavoro, pubblicato anch’esso a un solo anno di distanza, ovvero nel 2002:
“Galgendämmerung (Von Nebel, Blut und Totgeburten)”. Dove questo ritorno alle radici più pure e intransigenti del Black metal, con la tendenza al minimalismo monocromatico, si ricongiungeva con la vena sperimentale (qui più pacata e modulata) melodica e atmosferica dei primi due dischi, dando luogo anche a taluni frangenti limitrofi a un Doom dalle dissonanze sofisticate, sinistre e intriganti che, unite ad un certo uso di droni e synth, contribuivano a tratteggiare un’opera contraddistinta da paesaggi mistici e avvolgenti, dal forte potere suggestivo; dove riesce a trovare spazio perfino una vena Prog rock che potrebbe richiamare ai
Taake del secondo capitolo della trilogia.
Interrompiamo qui la nostra trattazione su questa splendida band, non perché il resto della loro discografia non sia di qualità, bensì poiché riteniamo di aver già indicato di essa le caratteristiche salienti, e tutto ciò che vi è di necessario da sapere per approfondire il loro ampio – ed eclettico – repertorio (oltre ai quattro dischi da noi trattati il gruppo ne ha realizzati ben altri otto!).
Secrets Of The Moon
I
Secrets of the Moon sono stati una band molto importante per lo sviluppo della scena estrema del panorama teutonico. Si sono formati a Osnabrück nel 1995 e sono stati attivi fino al 2022. Nel corso della loro carriera hanno esplorato vari stili musicali, evolvendo dal Black metal delle origini a sonorità più vicine al Gothic rock e al Doom metal, cadendo dunque fuori dal genere qui da noi trattato; benché non per questo essi risultino album inferiori, anzi, vi invitiamo caldamente ad approfondire tutta la loro discografia. Tuttavia, da parte nostra, in questa sede, noi ci limiteremo a ciò che resta in ambito Black, o quantomeno ad esso molto limitrofo.
“Stronghold of the Inviolables”, rilasciato nel 2001 tramite la
Lupus Lounge, è l’album più tradizionale mai inciso dal gruppo, trattandosi di vero e proprio Black metal malvagio, dove riffs taglienti e glaciali si associano alle tipiche atmosfere oscure e prive di speranza, ormai tanto care al genere.
Un album in puro stile old-school dai suoni estremamente crudi, in cui si avverte anche quella tendenza agli intrecci sonori ereditati dal Thrash/Death che contraddistinguono una certa frangia della scuola teutonica; la quale, seppur con una forma particolare, va ad intersecarsi con una matrice sinfonica molto interessante. Da notare anche le peculiarità atipiche dell’impianto ritmico… ponetevi attenzione, poiché le ritroverete nei lavori seguenti sviluppate in misura e forme diverse; ma la direzione era già tracciata.
Si ripresentarono un anno dopo con
“Carved in Stigmata Wounds” (2004), dove si iniziava ad intravedere un certo cambiamento sotto il segno di una maggiore complessità compositiva, con l'inclusione di passaggi lenti e influenze Doom molti suggestive.
Un album che si articola su più stratificazioni, presentando numerosissime influenze fluenti, oltre a ciò da noi menzionato, da partiture Thrash/Death dal retrogusto Hardcore, a frangenti intricati pieni di incastri dove si gioca molto su un certo utilizzo delle dissonanze – sulla scia di ciò che avviene nei nostri tempi, 2025 – che potrebbe parzialmente richiamare a quanto, nel medesimo periodo, inizieranno a costruire i
Deathspell Omega. Un album indubbiamente estremo, ancorato al Black, ma di assai difficile categorizzazione, incorporando le più disparate sfumature musicali toccanti, oltre a ciò su cui ci siamo già soffermati, momenti Post black struggenti con echi Post-rock, Prog Rock/Heavy… e molto altro.
Dato tutto ciò, ci sembra lecito collocarlo tra le opere Progressive / Avantgarde… Ed anche la sua durata lascia pensare a ciò (ben 72 minuti ricchi di suite che si intrecciano costantemente tra loro).
Due anni dopo, si ripresentarono con
“Antithesis” (2006), evidenziando un'ulteriore evoluzione stilistica, incorporante elementi sempre sperimentali ma in una direzione più Dissonant /Doom e con un groove accentuato (non casuale la presenza alla produzione, di
Markus Stock di
Empyrium e
The Vision Bleak). Percorso che proseguirà anche con il seguente
“Privilegivm” (2009), sondando ancora più in profondità le correnti abissali dello Sludge e dello Stoner, fattore, quest’ultimo, che riesce in qualche misura a stemperare la difficoltà dell’ascolto dell’opera, grazie a situazioni relativamente easy listening. Un album estremamente oscuro che inaugurava un percorso ancora più difficile da catalogare ma che, proprio in virtù di tale approccio nero, nerissimo, vale la pena di trattare nella nostra guida. Direzione stilistica che proseguì con il successivo
"Seven Bells" del 2012, con un approccio, se possibile, ancora più oscuro, benché contraddistinto da toni meditativi e atmosfere ritualistiche.
Con
“Seven Bells” chiudiamo la nostra rassegna su questa splendida band, tra le più geniali di tutto il panorama estremo e purtroppo dai più incompresa.
Vi segnaliamo che, dopo i dischi da noi trattati, ne sono seguiti altri due:
“Sun" (2015) e
"Black House" (2020), dove tuttavia i
Secrets of the Moon si allontanarono ulteriormente dal Black metal, abbracciando sonorità più vicine al Gothic rock e al Dark metal, con influenze di band come
The Cure,
Tiamat,
Katatonia, ecc.ecc.
Dark Fortress
I
Dark Fortress si sono costituiti nel 1994 a Landshut, in Baviera, e sono una Black metal band di davvero difficile catalogazione, dato l’elevato tasso di ecletticità della loro musica, la quale incorpora al suo interno moltissime sfumature, come adesso andremo a specificare.
Il loro album di debutto giunge nel 2001, e fu rilasciato sotto l’egida della
Red Stream, Inc., :
“Tales from Eternal Dusk” (2001). Si tratta di un lavoro dalle sonorità oscure e complesse e tra i migliori del gruppo, presentando già gli elementi estrosi che contraddistingueranno tutta la loro discografia. Qui abbiamo un impianto classicamente Black su cui si inseriscono strutture Progressive, ariose dal retaggio classicamente Heavy – talvolta Speed/Thrash – e con un afflato epico di notevole impatto e suggestività. Il tipico gelo siderale della fiamma nera coesiste con un pathos evocativo che, in taluni tratti, diviene struggente, riprendendo anche elementi chitarristici dall’Hard Rock, in una miscela di assoluto valore: proprio perché i tedeschi riescono a infondere tutti questi elementi alla loro arte, oltreché con una classe invidiabile, senza perdere l’attitudine iconoclasta che
deve contraddistinguere il genere.
Un percorso avviato egregiamente che proseguì, e si consolidò su linee di vetta ancora più elevate, con il seguente
“Profane Genocidal Creations”, pubblicato nel 2003.
Qui non vi è molto da segnalare rispetto all’esordio, se non che i
Dark Fortress continuarono a raffinare il loro sound, arricchendolo di dinamiche e arrangiamenti più elaborati, componendo così un lavoro tanto lungo (68 minuti) quanto bello, emozionante e raffinato come pochi altri nel genere.
Il 2004 ha segnato un importante punto di svolta per loro, con il disco
“Stab Wounds”. Opera profondamente nera e compatta, dove risultano meno divagazioni stilistiche, concentrandosi prevalentemente su tempi medi e assai dissonanti – senza comunque disdegnare incursioni in territori veloci, frangenti di matrice Speed/Thrash con i intrecci complessi – e su atmosfere oscure e avvolgenti che di frequente portano con sé un certo retrogusto ai limiti del DSBM. Un album di altissima levatura…
Fermiamo qui la rassegna sui
Dark Fortress, consigliandovi di recuperare gli altri album da loro realizzati, e che dal seguente
“Eidolon” - lavoro angosciante, depressivo e nerissimo - vedeva la presenza di un nuovo cantante:
Florian Magnus Maier. Inoltre, resta da segnalare che il gruppo, purtroppo, si è sciolto recentemente, ovvero nel 2023.
SYMPHONIC BLACK METAL E FRANGE PIÙ MELODICHEDies Ater
I
Dies Ater sono una band tedesca fondata a Berlino nell’autunno del 1994 da
Nuntius Tristis (voce e chitarra). Per completare la formazione, si unirono
Impurus (batteria),
Obskur (basso) e
Torgrim (chitarra).
Nel 1996, la band registrò il demo
“Rabenflug”, che includeva quattro tracce:
“Filius Tenebrae”, “A Mourner’s Dream”, “Rabenflug” ed “Engelsnacht”. Nonostante le difficoltà incontrate durante le sessioni di registrazione, il demo ricevette riscontri positivi da parte di fan e riviste specializzate. Questo successo iniziale portò a numerosi concerti insieme a band come
Nagelfar,
Ablaze My Sorrow e
Cryogenic, oltre ad offerte da diverse etichette discografiche.
Alla fine, i
Dies Ater firmarono un contratto con l’etichetta inglese
Mordgrimm Records, unendosi a un roster che includeva già
Covenant e
Osculum Infame. Nell’inverno del 1998, entrarono nei Spiderhouse Studios con il produttore
Harris Johns per registrare il loro album di debutto:
“Reign of Tempests”, pubblicato nel 1999.
Un album sorprendente per intensità e potenza, il quale si muoveva su una forma di Black Metal piuttosto tradizionale benché con forti tratti sinfonici, riconducibile a band come
Emperor e
Limbonic Art. Sicuramente non un lavoro innovativo ma carico di personalità e con una tracklist perfetta, riuscendo a coniugare malvagità, raffinatezza sonora e costrutti armonici in maniera davvero notevole.
Dopo alcune difficoltà finanziarie con la Mordgrimm Records, la band passò alla fondamentale etichetta tedesca
Last Episode. Così, nel maggio del 2000, registrarono il loro secondo album,
“Through Weird Woods”, presso i Blue House Studios con il produttore
Jens Bachmann. L’album evidenziava un tentativo di evoluzione del sound e nella struttura compositiva dei
Dies Ater, i quali si prodigano qui in dinamiche più melodiche con utilizzo di clean vocals e, in generale, con un’attitudine sinfonica più sviluppata. Sicuramente un bel disco ma, a nostro avviso, un passo indietro rispetto all’esordio. Purtroppo paga un po’ il dazio dell’alleggerimento del sound.
Nel 2003, i
Dies Ater pubblicarono il loro terzo album,
“Chanting Evil”. Le registrazioni si svolsero presso gli MSP Studios di Berlino con
Martin Slechta, mentre il mastering fu affidato nuovamente a
Harris Johns presso i Spiderhouse Studios. L’album uscì sotto l’etichetta
Neon Knights, fondata dall’ex leader di Last Episode,
K. Jakob.
L’album appare caratterizzato da un suono più massiccio e brutale rispetto a
“Through Weird Woods”, ricongiungendosi con la durezza delle composizioni del primo album, pur senza perdere gli sviluppi melodici/sinfonici implementati nel predecessore. Un LP ben bilanciato in queste due sue componenti e che, a nostro avviso, risulta probabilmente il loro miglior lavoro, o quantomeno quello che sintetizza al meglio il loro approccio alla materia oscura (anche se chi vi scrive preferisce l’esordio).
Nel giugno del 2003, il bassista
Obskur lasciò la band.
Torgrim, precedentemente chitarrista solista, passò al basso, e la posizione di chitarrista fu occupata da
Andy degli
Apokrypha.
Nel novembre del 2004, i
Dies Ater pubblicarono l’EP
“Out of the Dark”, mentre nel maggio del 2006, entrarono nuovamente negli Stage-One Studios per registrare il loro quarto album,
“Odium’s Spring” che fu pubblicato nel 2007 tramite l’etichetta
Twilight Vertrieb , il quale non fece che riconfermare la validità della proposta dei tedeschi. Così come la decisione di proseguire sul sentiero della via dura, vedendo qui gli elementi sinfonici, e soprattutto quelli melodici, un calo drastico a favore di una forma di Black metal più tradizionale, dai suoni glaciali molto duri, sulla scia di quello che è l’approccio generale alla fiamma nera della scuola tedesca.
Nel 2009, i
Dies Ater annunciarono il loro scioglimento esibendosi in un concerto d’addio al Dark7Side Club di Berlino, nell’aprile dello stesso anno. Tuttavia, dopo alcuni mesi, i membri decisero di riunirsi per esibizioni dal vivo, senza il chitarrista
Ebonizer, e fu
Torgrim a prendere il ruolo di chitarrista, e
J.T. degli
Ahnengrab si unì come nuovo bassista.
Rilasceranno NEL 2012
“Hunger for Life", l’ultimo loro lavoro, sotto l’egida della
Obscure Abhorrence Records, dove veniva mantenuta la linea dura, unita a una serie di situazioni epiche molto forti, le quali fluivano anche da un certo utilizzo delle vocals, oltreché da peculiari atmosfere caratteristiche.
Dopodiché, nel 2014, i
Dies Ater annunciarono la loro definitiva separazione attraverso la pagina ufficiale di Facebook.
Agathodaimon
Gli
Agathodaimon sono una band formatasi a Magonza nel 1995. Il nome “Agathodaimon” deriva dal greco e significa “demone benevolo”. Si sono costituiti per volontà del chitarrista
Sathonys (Martin Wickler) e del batterista
Matthias Rodig nel settembre 1995. Successivamente si unirono il bassista
Marko Thomas, il tastierista e vocalist
Vlad Dracul, e il chitarrista
Hyperion. Con questa formazione hanno registrato il demo
“Carpe Noctem” nell’aprile 1996, e nel 1997, con il supporto finanziario della
Century Media, hanno registrato il secondo demo
“Near Dark”, attirando l’attenzione della
Nuclear Blast, con cui di lì a poco firmarono un contratto. Rilasciando poi, nel 1998, il loro debut album,
“Blacken the Angel”, che vedeva la partecipazione di musicisti esterni tra cui
Akaias (voce) e
Marcel “Vampallens” (tastiere), poiché Vlad dovette lasciare la Germania a causa di problemi di immigrazione, non essendogli neanche stato permesso di rientrare in seguito.
“Blacken the Angel” non è un album perfetto, in quanto nella sua complessità strutturale risulta in alcuni momenti leggermente disorganico, non riuscendo dunque a contenere perfettamente la sua eterogeneità stilistica; tuttavia resta una discreta manifestazione di Symphonic Black metal contraddistinta da sezioni dure e taglienti, incardinate su strutture progressive, dove varie melodie si intersecano tra loro creando paesaggi onirici piuttosto suggestivi, pur mantenendo il feeling gelido tipico del Black. Indubbio, risulta il retaggio che un LP così portava con sé dei primi
Dimmu Borgir e
Cradle of Filth. Non un capolavoro, bensì un buon disco e soprattutto, dal punto di vista cronologico, piuttosto importante per quel che riguarda lo sviluppo della variante sinfonica della fiamma nera teutonica.
L’anno seguente, nel 1999, la band registrò in Romania – per poter includere
Vlad nel processo artistico, in quanto ancora espulso dalla Germania –
“Higher Art of Rebellion”. L’album proseguiva sulla falsariga del precedente, non discostandosi molto da quanto abbiamo già riferito; dunque non perderemo ulteriore tempo nella sua descrizione, risultando forse suonato con una consapevolezza maggiore ma, altresì, trascinandosi dietro ancora una certa sensazione di disomogeneità in taluni frangenti. Sensazione di disomogeneità che invece verrà sopperita con il seguente e maggiormente conciso
“Chapter III”, il quale risulta essere sicuramente più solido e deciso nella linea principale portata avanti dal suo discorso sonoro, anche se, chi vi scrive, non gradisce particolarmente la svolta eccessivamente melodica e dai toni gotici che, in alcuni registri smielati delle clean vocals, assume tonalità che poco hanno a che vedere con il Black metal.
Chiudiamo qui la rassegna sugli Agathodaimon, i quali rilasceranno altri quattro album, di cui l’ultimo,
“The Seven” (
Napalm Records), nel 2022. Segnaliamo che la band risulta ancora attiva nonostante una pausa di circa sei anni (2014-2020).
Indubbiamente non si tratta di una formazione imprescindibile per il Black metal, e neanche di una tra le più geniali; tuttavia una testimonianza in tal senso, se si vuole avere una panoramica adeguata sulla scena teutonica, e sulle declinazioni sinfoniche di questa, era doverosa farla, fosse anche per essere stati gli
Agathodaimon tra i primi della loro terra a proporla.
Black Messiah 
I
Black Messiah sono una band fondata nel 1992 a Gelsenkirchen. Inizialmente, il gruppo si ispirava al Black metal della prima ondata, omaggiando band come
Venom,
Celtic Frost e
Bathory.
Nel 1995, pubblicarono il demo
“Southside Golgotha”, seguito nel 1998 dal loro album di debutto:
“Sceptre of Black Knowledge”, rilasciato sotto l’egida della
Last Episode.
In questo lavoro iniziarono a sviluppare il sound che li ha contraddistinti per l'intera carriera, ovvero un Black metal tipicamente ascrivibile alla seconda ondata, benché fortemente innervato da elementi più melodici, merito anche dell’introduzione di strumenti come il violino e il mandolino, probabile retaggio della formazione classica del frontman
Zagan.
Il debut dei
Black Messiah risulta un album di Black metal sinfonico solido e ben congegnato, mostrando una maturità stilistica già piuttosto marcata, dove è possibile ravvisare come punti di riferimento realtà come
Dimmu Borgir,
Emperor,
Arcturus,
Cradle of Filth, e qualcosa proveniente dalla scuola greca, soprattutto per alcuni sporadici innesti Folk, e un certo utilizzo degli strumenti classici.
Dovranno passare ben sette anni prima che possa vedere la luce il loro secondo LP,
"Oath of a Warrior", rilasciato tramite la
Einheit Produktionen.
Questo album segnò l’inizio di una transizione – consolidata ulteriormente con
“Of Myths and Legends” (2006) – verso uno stile che incorporava ancora più influenze folcloristiche dell’esordio, insieme ad alcuni echi Viking metal, pur mantenendo un’attitudine devota alla nera fiamma sinfonica/melodica; per un lavoro che nell’insieme, pur non innovando niente, risulta tutt'ora di ottima fattura.
Come appena accennato, il seguente
“Of Myths and Legends” (2006) proseguiva sulla medesima direzione di “Oath of a Warrior” (2005) e il substrato Folk/Viking divenne davvero marcato, somigliando perfino ad alcune composizioni dei migliori
Moonsorrow: la matrice nera finiva, inoltre, per confondersi con uno stile Death metal (Gothenburg sound) con raffinatezze armoniche ricordanti alcune composizioni di
Dawn,
Dissection e
Unanimated.
Un lavoro indubbiamente molto valido – meritevole di essere recuperato – che tuttavia iniziava ad uscire dai cardini del Black vero e proprio.
Per quanto ci riguarda interrompiamo qui la nostra trattazione dedicata ai
Black Messiah che, comunque sia, risulta una band meritevole di essere approfondita.
Dorn 
I
Dorn sono una band fondata nel 1998 da
Roberto Liebig, ex tastierista del gruppo Pagan metal Riger. Inizialmente concepito come progetto solista,
Liebig ha registrato l'album di debutto
"Falschheit" nel 2000, suonando tutti gli strumenti.
“Falschheit” è l’opera che ha gettato le fondamenta del sound del progetto, presentando una miscela di Black metal dai tratti sinfonici dal forte accento gotico, sula scia di
Dimmu Borgir,
Cradle of Filth e
Arcturus, con molte influenze Death doom melodiche accostabili a realtà come
Paradise Lost,
My Dying Bride e
Anathema, ravvisabili, per esempio, anche nell’utilizzo del Growl e in svariate atmosfere pregne di pathos. Niente di innovativo, tuttavia un prodotto valido per la categoria nella quale ambiva a collocarsi.
Nel 2001, invece, è la volta del secondo album,
"Brennende Kälte", più o meno in linea con il debut, seguito da
"Schatten der Vergangenheit" nel 2002, dove invece la band iniziò ad implementare nel proprio sound strutture dal sapore Folk (che potrebbero vagamente ricordare i
Moonsorrow o gli
Einherjer), con svariate clean vocals e costrutti che di frequente confluivano in passaggi cadenzati. Un prodotto a nostro avviso non entusiasmante, cadendo un po’ troppo al di fuori di quello che è il vero spirito del Black metal; pur comunque risultando, nel suo insieme, gradevole.
Chiudiamo qui la rassegna sugli album dei
Dorn, giusto segnalandovi che, più o meno sulla medesima scia degli LP da noi trattati, ne hanno rilasciati altri due:
"Suriel" (2004), e
"Spiegel der Unendlichkeit" (2007). Dopodiché, dopo un lungo silenzio, nel 2015 la band sembrerebbe aver annunciato il proprio scioglimento.
AebaLa band è stata fondata nel 1992 da
Isegrim e
Schattensturm, inizialmente con il nome
Eternal Suffer, per poi cambiare due anni dopo in
Aeba. Nome che deriva dalla combinazione delle prime lettere degli arcidemoni Astaroth, Eurynome, Bael, e Amducias.
Dopo un demo rilasciato nel 1995, e un altro nel 1997, finalmente nel 1999 rilasciarono
“Flammenmanifest”, sotto l’egida della label
Last Episode.
“Flammenmanifest” rappresenta una delle pagine più “incantevoli” e affascinanti del Black Metal teutonico.
Si tratta di un album contraddistinto da una dualità tra melodia ed efferatezza sonora, coniugata talmente alla perfezione da collocarlo ipoteticamente ai vertici qualitativi della fiamma nera, in grado tranquillamente di competere con i dischi più blasonati di quel periodo.
Gli Aeba si muovono tendenzialmente su coordinate estremamente dure e seminali, dove troviamo tutti i classici crismi distruttivi del genere; a cui, tuttavia, si abbinano un gusto melodico notevole, che fluisce oltreché dalle tastiere, anche da riffs dal retaggio Thrash/Death, ricordanti per certi aspetti alcune realtà più raffinate di matrice svedese (
Dissection,
Lord Belial, ecc.ecc.) pur restando comunque sia, ed è bene ribadirlo, in terreni caustici e violenti.
A nostro avviso
“Flammenmanifest” pur non avendo inventato alcunché, resta uno degli apici raggiunti dalla scena teutonica, e quasi un must per chiunque voglia approfondirla. Bensì, la loro versione migliore doveva ancora giungere, e la raggiunsero due anni dopo con
“Rebellion - Edens Asche”.
La seconda release degli
Aeba nacque sotto il segno dell’uscita dal gruppo di
Nidhögg, e non trovandovi un sostituto verrà rimpiazzato da un’oculato utilizzo della drum machine.
“Rebellion – Edens Asche” manteneva l’aspetto duro della musica dei tedeschi già presente nell’esordio, con i medesimi retaggi Thrash/Death estremamente melodici, ma con l’aggiunta di vari altri elementi. Innanzitutto è da segnalare un cambio di strutturazione dei brani, i quali assumevano connotati più Progressive (non casualmente la durata complessiva è assai maggiore, ben 66 minuti). Inoltre, si evidenziava un forte incremento dell’utilizzo di soluzioni estremamente armoniche, toccanti, in alcuni frangenti, anche lidi sinfonici alternantesi a dimensioni atmosferiche. Tutto il lavoro appare ricercato, denso di spunti interessanti e inusuali per un disco estremo.
“Rebellion – Edens Asche” è denso di melodie, atmosfere magiche, ricavate anche da un uso magistrale di synth e tastiere, oltrechè dotato di un estro fuori dal comune. Un album vivace, pulsante e mai pacchiano, e neanche in antitesi con quelli che sono i principi dell’anima nera che fin dagli albori contraddistingueva gli
Aeba.
Un LP da avere a tutti i costi…
Mentre dal seguente
"Shemhamforash - Des Hasses Antlitz" (
Twilight) del 2004, gli
Aeba opteranno per un sound sempre melodico, ma più ancorato all'old-school e tendenzialmente più seminale; aspetto che si ripercuote anche sulla scelta di una produzione cruda, e su molteplici soluzioni stilistiche rimandanti nuovamente alla scuola svedese, bensì a quella più propriamente Black di
Dark Funeral e
Marduk (dei frangenti più armonici). Un'opera di livello altissimo in grado di riconfermare la grande caratura degli
Aeba.
Chiudiamo qui la nostra rassegna sugli
Aeba, i quali dopo gli album da noi trattati rilasciarono altri due full-lenght di alta qualità. Attualmente non siamo sicuri se la band sia sciolta o ancora in attività.
PAGAN/FOLK/VIKING/EPICMoonblood 
I
Moonblood rappresentano il lato Epic del Black Metal teutonico, ed essendo stati attivi fin dal 1994 è quindi doveroso soffermarsi anche su di loro; i quali in molti ambienti dell’underground tedesco sono considerati un vero e proprio gruppo di culto. Lo stesso
Ash dei
Nargaroth ha dichiarato parole di immensa stima nei loro confronti dicendo di essersi ispirato molto a loro.
I
Moonblood si formarono a Schneeberg in Sassonia, nel 1994, dalle ceneri dei Purulent Obduction. Formazione formata nel 1991 e che nel '93 cambiò nome in Demoniac; costituiti al tempo da
Occulta Mors, il conte
Damien Nightsky,
Lord Asmoday e
Blacksoul.
Dopo una disputa interna, il conte Damien Nightsky e Lord Asmoday fondarono la band Andras, mentre
Occulta Mors e Blacksoul ribattezzarono la band in
Moonblood.
Dopo un numero infinito di demo rilasciati tra il ’94 e il ’96, arrivano finalmente nel ’97 al traguardo del primo full-length:
“Blut & Krieg”, sotto l’egida della
Majestic Union.
Un album che mostrava una band ancora acerba, la quale si muoveva su una forma di Back Metal dai suoni raw, caratterizzato da una dimensione atmosferica piuttosto marcata, richiamante assai da vicino il
Burzum di
"Hvis lyset tar oss" (1994) e
“Filosofem“ (1996), tant’è che la traccia di apertura sembra quasi un omaggio al conte, tanto ne richiama lo stile. A tutto ciò si affianca la componente nera più selvaggia esprimentesi prevalentemente su strutture cadenzate ed evocative, di tanto in tanto spezzate dalle tipiche sfuriate del Black più intransigente.
Il seguente
“Taste Our German Steel!” (
End All Life Productions), uscito nel 2000, procedeva più o meno sulle medesime coordinate di
“Blut & Krieg”, presentando una registrazione rozza e forse una struttura più veloce del precedente, e mostrandosi estremamente ancorato alla
Unholy Trinity dei
Darkthrone - in particolar modo per le armonie desolanti e depressive presenti nelle retrovie, e in generale nel sound complessivo. Un po’ sulla scia di quel che, nei medesimi anni, facevano band come gli statunitensi
Judas Iscariot.
Molto interessante risulta perfino un certo uso dei piatti (probabilmente fin troppo in evidenza), e vi è, inoltre, da segnalare l’inserimento sporadico di alcune melodie intriganti di stampo prettamente Epic.
Purtroppo, la band non ha rilasciato altri album dopo questo, solo molti split, compilation e altre uscite secondarie. Resta da segnalare lo split del 2000 con i
Deathspell Omega.
Poco dopo lo scioglimento di questo grandissimo progetto,
Occulta Mors formerà i
Nachtfalke, oltre ad essere rimasto attivo in svariati altri progetti.
Nacthfalke
Occulta Mors, come già accennato, dopo la cessazione dell’attività con i Moonblood, si dedicherà ai
Nacthfalke (moniker traducibile come
"falco della notte") sotto forma di one man band.
Dopo aver rilasciato due demo, un EP e un paio di Split tra il ’97 e il 2000 (quando ancora erano operativi anche i Moonblood),
Occultat Mors nel 2002 rilascerà il primo vero full-length del suo progetto:
“Hail Victory Teutonia”, pubblicato sotto l’egida della
Christhunt Productions. Si trattava di un album piuttosto complesso, in quanto dalla non comune durata, ben 78 minuti.
Occulta Mors proponeva un Black Metal fortemente pervaso da sentori Folk/Viking che riallacciano il discorso con i
Bathory di
“Blood Fire Death” (1988),
“Hammerheart” (1990) e
“Twilight of the Gods”[/I (1991).
Un album fortemente innervato di toni epici, dove possiamo rilevare ben amalgamate le tipiche grammatiche iconoclaste del Black – che prendono particolarmente il sopravvento nella seconda metà del disco – a le sonorità più mitigate e a tratti poetiche e folcloristiche appena menzionate. Un lavoro denso di sfaccettature e che forse vede qua e là qualche piccola indecisione nel songwriting, benché, in ogni caso, si tratti di un lavoro dal potenziale altissimo… suggestivo e in grado di immergere l’ascoltatore in un mondo scomparso… accompagnandolo mano nella mano tra tremolo dilanianti, ricami acustici… scream, clean vocals… e molto molto altro. A nostro avviso un album assai importante per il panorama teutonico.
Nel medesimo anno, [I]Occulta Mors rilascerà il secondo capitolo dei suoi
Nacthfalke,
“Doomed to Die”, sempre tramite la
Christhunt Productions.
Questo è un album indubbiamente più facile rispetto al debut, fosse anche soltanto per l’esigua durata 35 (minuti anziché 78). Qui il musicista tedesco si muoveva con ancor più decisione su lidi Folk/Viking ispirati ai
Bathory, tuttavia, a nostro avviso, perdendo quell’eterogeneità e quelle soluzioni stilistiche poetiche, e geniali, che rendevano
"Hail Victory Teutonia" unico nel suo genere. Inoltre, è proprio la qualità complessiva, compresa la cura del suono del prodotto, oltreché la regressione del songwriting, che rendono
“Doomed to Die” un LP di esiguo spessore.
In ogni caso le coordinate su cui si muoverà il gruppo sono state tracciate, e tali proseguiranno anche nel successivo
"Land Of Frost" del 2003, dove tra l'altro rialzeranno con forza la testa.
Rispetto ai lavori precedenti, questo album manteneva l'approccio Viking metal, ma con una produzione più raffinata e una maggiore enfasi su composizioni atmosferiche e melodiche, riuscendo a creare paesaggi immersivi realmente affascinanti, ma, al contempo, facendo coesistere al suo interno una matrice più dura: probabilmente la più violenta fino ad allora proposta dai
Nachtfalke.
"Land of Frost" è generalmente considerato uno degli zenit della discografia dei
Nachtfalke, apprezzato per la sua capacità di combinare aggressività e melodia, offrendo sì un suono ancorato ai Bathory, come il precedente
"Doomed to Die", ma con un tocco più personale e distintivo.
Chiudiamo qui la nostra rassega sui
Nachtfalke, invitandovi ad approfondire in autonomia il resto della loro valida discografia; segnalandovi, inoltre, che la band risulta ancora attiva, nonostante abbiano passato un lungo periodo di inattività/scioglimento.
Morrigan
I
Morrigan sono stati fondati nel 2000 da ex membri dei Mayhemic Truth. La loro musica si caratterizza per un mix di violenza, melodia e influenze epiche di matrice vichinga, ispirandosi fortemente ai primi lavori dei
Bathory, soprattutto alle sonorità di
“Blood Fire Death” e
“Hammerheart”.
I testi della band ruotano principalmente attorno a tematiche mitologiche celtiche e germaniche, che erano già presenti nei lavori precedenti con i Mayhemic Truth; dando ampio spazio a situazioni di guerra, elemento che si ripercuote con forza, ovviamente, anche nella loro musica.
Il primo album dei
Morrigan arrivò nel 2001,
“Plague, Waste and Death" (2001), pubblicato tramite la
Barbarian Wrath.
Qui i tedeschi introducevano il loro stile caratteristico, aggressivo e ricco di riferimenti mitologici, dove si avvertiva ancora con prepotenza la matrice Thrash/Death del loro background musicale, la quale andava a fondersi, oltreché con il Black classicamente inteso, con gli elementi melodici ed epici a cui abbiamo fatto riferimento poco sopra; i quali si muovono in una direzione che spazia tra il guerresco, il sontuoso e il pathos tragico, creando un clima generale di alta tensione e di elevato potere artistico ed espressivo; dove brutalità e senso del bello, pur con ancora qualche piccola incertezza, coesistevano armonicamente, dando luogo a un costrutto organico avvincente.
L’anno dopo segue
“Enter the Sea of Flames” (2002). Qui si rafforza il focus sulle tematiche oscure e mitologiche, con un sound ancora più orientato verso lidi Epic/Viking ricordanti realmente da vicino quanto fatto dai Bathory più melodici (
“Hammerheart” (1990) , “ Twilight of the Gods” (1991) e “Blood on Ice” (1996)) a discapito della componente più dura e propriamente Black. Senza dubbio un bel disco, ma a nostro avviso un passo indietro, in quanto eccessivamente derivativo; visto e considerato che si parla di una grande formazione, la quale non ha certo bisogno di rimanere sul sentiero delle imitazioni.
Non a caso i Morrigan si riscattarono con l’ottimo
“Celts” del 2003, il quale segnò anche il cambio di etichetta (
Horns of Cernunos), e dove alle forti derive celtiche si riaffiancavano con forza i costrutti tipicamente Black, profilando un lavoro strutturalmente complesso e articolato – della durata di circa 66 minuti – in cui violenza, sentimenti epici, guerreschi e atmosfere sacrali, coesistono in un costrutto organico realmente avvincente. Risultando dunque questo uno dei migliori lavori dei tedeschi, oltre che tra i più cupi, per via di un alone tragico e depressivo permeante l'intera opera.
Sulla medesima scia proseguiva
“Headcult”, rilasciato nel 2005 tramite la
Undercover Records, dove la componente melodica risultava ancor più accentuata assumendo, talvolta, coloriture Post Black; vedendo inoltre un ampio utilizzo di campionamenti, sia di scene di guerra che di situazioni ritualistiche. Importanti sono da menzionare, altresì, i sentori da cerimoniale sacro, con un ampio utilizzo delle clean vocals che favorisce l’aura eterea che avvolge tutto il disco. Inutile segnalare che in tale contesto i
Bathory risultano nuovamente il faro a cui guardare.
Senza mai tirare il fiato, i
Morrigan si ripresentarono nuovamente, a distanza di un anno, con il nuovo
“Welcome to Samhain”(2006). Un lavoro che metteva in secondo piano parte delle loro sonorità di matrice Pagan/Viking, restando maggiormente fedele alle radici del
True Norwegian Black Metal; il quale, inoltre, appare capillarmente innervato da un impianto Thrash/Death che rende, ancora tutt'oggi, il disco di notevole impatto.
Un ottimo LP, e probabilmente uno dei più oscuri, inquietanti e potenti mai realizzati dai
Morrigan.
Fermiamo qui la nostra rassegna sui Morrigan, in quanto continueranno più o meno sulle medesime coordinate, alternando lavori più duri ad altri più vicini ai Bathory.
Ci limitiamo a segnalarvi che la band è ancora attiva, ed oltre ai dischi da noi trattati in questo scorcio di guida al Black teutonico, ne ha rilasciati altri tre, di cui l’ultimo nel 2022, dal titolo
“Anwynn”, sotto l’egida della gloriosa
Werewolf Records.
Bilskirnir
“Nella mitologia norrena,
Bilskírnir (“lampo di luce” in norreno) è la principale sala del palazzo dove dimora Thor, il dio del tuono, in cui Thor vive con sua moglie Sif e i loro figli Þrúðr e Móði, insieme ai loro servitori Þjálfi e Röskva.”
[Fonte Wikipedia]
Bilskirnir è una one man band fondata dal musicista
Widar nel 1996 come progetto solista.
Inizialmente i Bilskirnir acquisirono notorietà per la prima volta nella scena NSBM tedesca nel 1998, quando la band apparve nella fanzine Black Metal Almanach, limitrofa all'ambiente degli
Absurd.
Non a caso, anche Widar condivideva parte dei valori della band di
Möbus: nazionalismo spinto alle sue estreme conseguenze, anticristianesimo e culto dell’antica religione norrena. Non per niente, proprio
Hendrik Möbus fu coinvolto nella produzione del secondo Demo:
“…bis Germanien erwacht” (2000), avendo inoltre scritto le liriche della canzone
“Der Rabengott”.
Dopo un altro demo, un EP e una compilation, finalmente nel 2002 venne rilasciato il primo lungo targato
Bilskirnir:
“In Flames of Purification” (2002), rilasciato sotto l’egida della
Millenium Metal Music.
Il debut di
Widar è un album non molto originale e ancora un po’ confuso. Vi si avverte ancora con forza la derivazione stilistica dagli Absurd, e inoltre si cercava di mescolare più sfumature, riuscendovi a nostro avviso un po’ maldestramente. Inoltre, non risulta facile comprendere la direzione del disco, il quale alterna momenti cadenzati e strutture dilatate, ad altri più tipicamente iconoclastici; la vena Pagan ancora non si avverte con forza; mentre invece vi è un senso di oppressione molto accentuato che arriva a toccare lidi depressivi notevoli, questo anche grazie alla prestazione del singer, il quale sfodera uno scream – somigliante quasi a un rantolo – realmente straziante.
Purtroppo, sia la sua lunghezza, che la produzione realmente troppo raw, che le incertezze in fase di songwriting, non consentono di godere a pieno del disco.
Le cose invece iniziarono ad assumere una piega positiva con il secondo lavoro uscito nel 2003, tramite la
Nykta Records:
“Atavismus des Glaubens”.
Innanzitutto, vi è da riferire che è un’opera estremamente succinta, di soli 34 minuti, inoltre presenta coordinate stilistiche più marcate, non trovandovisi più quel senso di disorientamento dell’esordio.
Sempre molto in rilievo, se si pone attenzione alle sue composizioni, risulta l’influsso degli Absurd; bensì iniziava anche ad emergere con più audacia il lato Pagan/Folk della loro proposta, su costrutti più decisi, orientati prevalentemente su mid tempo, dove comunque sia si preserva l’attitudine senza compromessi del Black più selvaggio, con una produzione che definire cruda sarebbe utilizzare un eufemismo. Inoltre, tutta l'opera è avvolta da un’aura nera depressiva davvero angosciante, che non potrà non suscitarvi qualche effetto.
Forse non un disco imprescindibile, bensì un’ottima manifestazione di un modo particolarmente cruento di declinare il lato Pagan / Folk dell’arte oscura, propriamente caratteristico della terra Germanica.
È invece a nostro avviso con il successivo
"Wotansvolk", uscito soltanto nel 2007 – dunque ormai privo di reale importanza storica – che i
Bilskirnir raggiunsero la maturità artistica. Le atmosfere depressive restarono presenti, bensì ampiamente mitigate, si rimaneva su ritmi tendenzialmente cadenzati, prendendo sempre più corpo le melodie del guitarwork, l’aspetto epico e al contempo nostalgico, così come il lato prettamente Pagan/Folk trovava finalmente la sua adeguata dimensione; grazie a un songwriting più integrato, gerarchicamente ordinato e di livello. Anche la produzione, pur rispettando i cardini del suono analogico, e il codice non scritto del vero disco Black delle origini, appariva più comprensibile, permettendo di godere al meglio di tutti gli splendidi ricami melodici intersecantesi tra loro… delle progressioni epiche, dei solos scaldati al calor bianco… e tanto altro che non saremo noi a svelarvi. Davvero un album emozionante che ogni amante del Black dovrebbe possedere.
Chiudiamo qui la nostra trattazione sui Bilskirnir, essendo attualmente questa (2025) la loro ultima release di rilievo.
Odal
Gli
Odal sono una band formatasi nella zona della Turingia nel 1999.
Formazione di cui attualmente l’unico membro stabile risulta essere il membro fondatore
Taaken.
Gli
Odal dopo aver rilasciato un demo nel 2000, e due EP subito dopo, tagliarono il traguardo del primo full-length nel 2002 :
"Sturmes Brut", pubblicato sotto l’egida della
Darkland Records.
"Sturmes Brut" è un album che risultava ancora pesantemente ancorato ai cardini del True Norwegian Black Metal e che, salvo in alcuni frangenti, prevalentemente collocabili nella seconda metà del platter, non presentava molte delle atmosfere Pagan/Folk che caratterizzeranno i lavori futuri, ma che tuttavia lasciava già intravedere quello che è lo sfondo concettuale a cui, tutt'ora si ispirano gli
Odal: paganesimo, sangue, dolore, rabbia, natura.
L’album nel complesso risulta molto derivativo e poco originale, tuttavia ben suonato, e inoltre un manifesto che, per il tempo e la zona geografica a cui facciamo riferimento, poteva avere ancora una certa rilevanza. Altresì, la qualità di insieme è medio alta, quindi un ascolto può valere la pena di essere speso.
Tre anni dopo, invece, rilasciarono il loro terzo lavoro lungo
“…wilde Kraft” (2005), sotto l’egida della
Christhunt Productions.
Gli
Odal proseguirono più o meno sulla falsariga del debut, bensì consolidando e raffinando la proposta e, inoltre, dando maggior preminenza alle strutture melodiche e al lato epico della loro arte. Sfumatura epica che in taluni punti diviene realmente forte; questo grazie sia ad alcune aperture più vicine al Metal classico del guitarwork, che all’interpretazione vocale solenne e protesa verso l’alto di
Taaken.
Tuttavia non si deve pensare a una proposta policromatica, poiché in termini sonori, seppur sono presenti le articolazioni più melodiose a cui abbiamo fatto riferimento, queste risultano pur sempre ammantate da un alone monocromatico estremamente gelido, esattamente in pieno accordo con la tradizione nordica dei primi anni ’90. Tutto ciò, fatta eccezione per la splendida
"Ausklang (Das Siegeslied)", dove, al contrario, troviamo incantevoli violini e strumenti a fiato (crediamo si tratti di flauti) creanti ricami pregevoli di natura Folk, estremamente caldi e avvolgenti. Così come risultano protesi verso la medesima direzione passionale, i delicati e sublimi giri di chitarra acustica di
“Die Rast unter der Eiche”,
Indubbiamente,
“...wilde Kraft” segnava un passo avanti nel percorso di evoluzione artistica del gruppo, e un disco che pur non essendo storicamente rilevante - come del resto l’intera discografia degli
Odal - resta di notevole spessore artistico, e che noi di di
metal.it vi consigliamo senz’altro di fare vostro.
A distanza di circa tre anni, dunque nel 2008, gli
Odal rilasciarono l’opera della loro maturità artistica:
“Zornes Heimat” (
Christhunt Productions)
In questo terzo lavoro in studio i tedeschi portavano a pieno compimento il processo di sviluppo proprio alla componente epica e pagana già abbozzata nei primi due album, senza discostarsi da questi (soprattutto da
“...wilde Kraft”); bensì perfezionando la loro tecnica, la produzione e rendendo la predisposizione epica della loro arte oscura ancora più suggestiva, e ben amalgamata con il contesto di insieme.
“Zornes Heimat” è un album poetico, avvolgente, suonato con perizia e dotato di una potenza espressiva collocabile indubbiamente al sopra della media del genere.
Siamo convinti che, se ci state leggendo, questo sarà un disco di vostro gradimento.
Chiudiamo così la nostra rassegna sugli
Odal, i quali risultano ancora attivi, avendo pubblicato in seguito a
“Zornes Heimat” altri due full-length, di cui l’ultimo nel 2021 (
“Welten Mutter”); dove perfezionarono ulteriormente la loro arte oscura, rendendola sempre più pregna di pathos. Oltre ad aver rilasciato anche altre uscite minori quali EP, Split, ecc.ecc.
Horn
Sempre rimanendo in ambito Black/Folk, in suolo teutonico, è doveroso trattare degli
Horn.
Gli
Horn sono una one man Black Metal band formatasi nel 2002 Paderborn, per volontà del polistrumentista
Nerrath.
Dopo aver rilasciato un paio di demo, uno nel 2003 e un altro nel 2004,
Nerrath giunse nel 2005 a pubblicare, in maniera indipendente, il primo full-length del suo progetto:
“Jahreszeiten”.
"Jahreszeite" è un’opera chiaramente ispirata ai Bathory dell’era
"Blood Fire Death"/"Hammerheart"/"Twilight of the Gods" (1988/'90/'91), e indubbiamente dal
Burzum di
"Filosofem" (1996).
Qui venivano alternati momenti atmosferici dai contorni Ambient, a parti propriamente Black, ed altre dalla profonda impronta Folk/Viking, dove, indubbiamente, perfino l’influsso di band come i
Moonsorrow - bensì anche di
Kampfar,
Einherjer ed
Helheim - giocava la sua parte. Tutto ciò, rigorosamente veicolato tramite un impianto estremamente lo-fi e vecchia maniera.
L’esordio di casa
Nerrath non è sicuramente un prodotto imprescindibile, bensì, egualmente un disco meritevole di ascolto; il quale servirà da apripista al seguente, e bellissimo,
“Die Kraft der Szenarien”.
“Die Kraft der Szenarien” usciva a soltanto un anno di distanza dall’esordio, questa volta non in via indipendente, bensì coadiuvato dalla
Black Blood Records. Le coordinate restavano le medesime del suo predecessore, altresì tracciate con una consapevolezza maggiore, una capacità di songwriting più solida e, in generale, contraddistinte da un potere evocativo e da strutture avvolgenti in grado di collocarlo, a nostro avviso, ben più in alto del primo lavoro - non poco, a ciò aiutano delle dinamiche affini ai
Primordial davvero ben realizzate.
“Se Kraft der Szenarien” non è un capolavoro,, e non possiede niente che possa vantare qualsivoglia carattere di novità; ma indubbiamente una delle espressioni più alte del genere, quantomeno per quanto riguarda la scena teutonica.
Coinvolgente, immersivo (grazie alle ricchissime e ispirate strutture ambient) e con una poetica antica tutta da scoprire.
A distanza di due anni, nel 2008 dunque, venne invece rilasciato il terzo full-length di
Horn,
“Naturkraft”(
Black Blood Records), che forse rappresenta uno dei punti più alti della lunga discografia del progetto.
Si tratta di un disco piuttosto lungo (oltre un’ora di musica) dove
Nerrath concede meno spazio alle atmosfere e ai campionamenti ambient, per puntare prevalentemente sulla matrice Black, senza tuttavia trascurare l’impianto Pagan/Folk che contraddistingue da sempre la matrice stilistica del progetto. Solo che qui prendeva una via oscura, benché fortemente rinvenibile soprattutto in alcuni tempi medi contraddistinti da riffs e linee vocali ritmate incalzanti che richiamano un po’ ai norvegesi
Einherjer, ma su ambiti più affini alla nera fiamma.
Terminiamo qui la rassegna su
Horn, invitandovi ad approfondire questo gruppo, il quale pubblicherà ancora moltissimi album, di cui l’ultimo – il decimo – nel 2024: l’ottimo
“Daudswiärk” (
Northern Silence Productions).
SCENA DEPRESSIVE/DSBM Wigrid
Wigrid è un progetto black metal fondato da
Ulfhednir nel 1998 a Saarbrücken, sotto la forma di one man band.
Il nome deriva dal campo Vígríðr, dove, secondo la mitologia norrena, si combatterà la battaglia di Ragnarok.
Pubblicarono il primo demo,
“Ort der Einsamkeit” nel 1999, a cui ne seguirono altri due. Nel 2002 rilasciarono il primo full-length:
“Hoffnungstod” (
No Colours Records), rappresentante uno dei primi platter Depressive/DSBM nati in sede teutonica. Un album dalle strutture cadenzate, con numerosi sentori melodici Post-Black, contraddistinto da un utilizzo delicato e poetico delle tastiere e degli strumenti acustici . A nostro avviso, non un album fondamentale per il genere e non all’altezza dei capolavori di
Shining,
Silencer,
Abyssic Hate e di altre realtà che circolavano nei medesimi anni. In ogni caso, importante e valido. Soprattutto se pensiamo che il genere ufficialmente prendeva piede con lavori come
“Within Deep Dark Chambers” e
“Suicidal Emotions” entrambi usciti nel 2000.
Nel 2005, invece, diedero alle stampe il loro secondo lavoro:
“Die Asche eines Lebens”, sempre con la medesima label. Un LP che si muoveva sulle medesime coordinate del debutto, bensì affinando le qualità espressive e strumentali, per un lavoro a nostro avviso davvero molto interessante.
Dopodiché,
Ulfhednir si prese una lunga pausa dagli
Wigrid, veicolando la sua vena creativa in altri progetti.
Fece il suo ritorno nel 2014, pubblicando uno split album assieme ai
Sunshine and Lollipops, sotto l’egida della
Bleeding Heart Nihilist Production.
Dopo un paio di compilation si ripresentò poi nel 2019 con il tanto atteso terzo full-length:
"Entfremdungsmoment", rilasciato sempre tramite la
Bleeding Heart Nihilist Productions, che più o meno si attestava sulle coordinate stilistiche dei suoi due predecessori, riconfermando quanto di buono fatto dal gruppo. Risultando tuttavia, a nostro avviso, fin troppo influenzato dai primi lavori del
Conte norvegese.
Nyktalgia
I
Nyktalgia si sono formati nel 2001. Il nome
“Nyktalgia” sembrerebbe derivare dalla combinazione delle parole greche
“nyx” (notte) e
“algia” (dolore), riflettendo il tema della malinconia notturna, il quale risulta un punto nevralgico della loro musica. Pur avendo all’attivo soltanto due full-length sono da ascriversi tra le band DSBM più importanti, se ci riferiamo al novero di quelle venute subito dopo la prima ondata (
Bethlehem,
Shining,
Silencer,
Abyssic Hate, ecc.ecc), e sicuramente uno dei vertici qualitativi della scena tedesca, e del genere tutto.
La formazione originale comprendeva
Skjeld (chitarra),
Malfeitor (basso e chitarra),
Winterheart (batteria) e
Rune (voce), quest’ultimo noto per aver collaborato anche con altre realtà della scena Black metal, come gli
Sterbend.
Nel 2004 pubblicarono il loro omonimo album di debutto:
“Nyktalgia”, sotto l’egida della
No Colours Records.
“Nyktalgia” presenta il tipico suono grezzo e atmosferico, proprio del migliore DSBM. I tedeschi qui sfoderano uno stile caratterizzato da strutture dilatate, create da riffs melanconici, a volte dalle tendenze Post - black e situazioni oscure e avvolgenti, dai tratti inquietanti e al contempo affascinanti, come le pericolose malie che sorgono dagli stati di fascinazione occulta. L’aura opprimente, lo scream lancinante di
Skjeld, e la forza suggestiva del guitarwork di
Malfeitor consegnarono un album che, pur nella sua derivatività stilistica (
Silencer in primis, ma anche
Shining), era destinato ad arricchire il genere di una cromia tutta particolare, e a dar luogo a numerosi proseliti.
Una direzione stilistica che i
Nyktalgia rinforzeranno con il successivo, e ultimo LP,
“Peisithanatos”, uscito nel 2008.
“Peisithanatos” perseguiva la stessa linea musicale del debutto, benché con una produzione leggermente più raffinata. Il titolo dell’album fa riferimento a un termine greco antico che significa
“colui che spinge alla morte”, in linea con i temi esistenzialisti e nichilisti propri, fin dagli albori, al DSBM.
Un LP che si discostava di poco dal precedente, se non per una maggiore abilità esecutiva e un’attenzione al groove leggermente maggiore che, in taluni frangenti, appare leggermente più spiccata e vicina a suoni moderni; benché si tratta solo di alcuni momenti. Un album anche questo incredibilmente oscuro e ammantato da una poetica decadente irresistibile. Da avere a ogni costo.
Dopo questo secondo album, purtroppo, le attività dei
Nyktalgia sono diminuite, entrando in seguito in una sorta di pausa indefinita, senza alcun tipo di annuncio ufficiale di scioglimento; contribuendo questo, forse, a mantenere uno status iconico, di culto leggendario, tra gli appassionati delle frange suicide del Black.
Sterbend
Sempre
Winterheart (membro di numerosi altri progetti), nel 2000, dunque un anno prima di formare i Nyktalgia, fonderà gli
Sterbend, altra band destinata a durare un soffio, ma che comunque sia, con il suo unico full-length uscito nel 2006,
“Dwelling Lifeless”, scrisse una delle pagine più belle e inquietanti del DSBM.
“Dwelling Lifeless” è il classico disco DSBM – a partire dalla copertina raffigurante un uomo impiccato ad un albero in mezzo a una valle desolata – dalle atmosfere estremamente dilatate, lente e angoscianti, dove la matrice burzumiana è fortissima – che nonostante la sua lunghissima durata (74 minuti), grazie all’inserto di molteplici ripartenze incalzanti, ottenute con mid tempo sostenuti, e qualche sporadica sfuriata fulminea, riesce a non tediare mai l’ascoltatore. Effetto che viene ottenuto anche grazie all’inserimento di un ampio repertorio di hooks a dir poco avvincente.
Un CD contraddistinto da una dimensione atmosferica fortissima, ricavata da un ampio uso di campionamenti che contribuiscono, insieme allo scream lancinante - tanto
Typhon appare afflitto da disperazione - a profilare uno squarcio emotivo da far accapponare la pelle. Typhon è un cantante che probabilmente non possiede granché in termini di originalità, ricalcando ampiamente lo stile, oltreché del Conte, del maestro del genere
Nattramn, ma che, altresì, dimostra una capacità interpretativa talmente elevata da farsi perdonare qualsiasi cosa, oltre a rendere, questo unico LP degli Sterbend, un vero e proprio gioiello nero: raramente la vena suicida è stata, e sarà, così forte nell’orizzonte del Black Metal.
Purtroppo la band dopo questo fantastico esordio si scioglierà nel 2008, in concomitanza con la morte – avvenuta a causa delle ferite subite in seguito a una caduta da una rampa di scale – del chitarrista e bassista
Asmodaios.
Anti
La band tedesca
Anti è un progetto devoto anch'esso al DSBM, noto per le sue atmosfere cupe e introspettive, tipiche del genere. Attivo a partire dai primi anni 2000, e formato per volontà di
Anti e
A.Krieg.
Gli
Anti pubblicarono il loro album di debutto,
“The Insignificance of Life”, nel 2006 sotto l’etichetta
W.T.C. Productions.
Quest’album rappresenta, tutt'ora, un’interpretazione ipnotica e minimalista del DSBM, caratterizzata da un mix di chitarre in stile tremolo, batteria monotona e voci angoscianti. Nonostante l'inusitata - per il genere - brevità dei brani, il disco è diventato un vero e proprio altare oscuro a cui le generazioni seguenti si sono dovute inchinare. Un LP di culto che è riuscito, come nessun altro nel genere, a coniugare le strutture dure, monocromatiche e incisive tipiche del Black dei primi anni ’90 (I
mmortal,
Darkthrone,
Gorgoroth) con le linee melanconicamente disperate e pregne di atmosfera del DSBM, risultando escluse le oramai, purtroppo, onnipresenti derive Post-Black del genere.
Non vi è altro da segnalare su questo disco, se non che ascoltarlo è un dovere, essendo se non l’apice del DSBM tutto (per chi ci scrive lo è insieme a
"Suici.De.pression" dei
Thy Light ), quantomeno uno degli zenit più "luminosi". Inoltre, giova rammentare al lettore, quanto abbiamo affermato in merito alla presenza nella tracklist della cover di
“Mourning Soul” degli
Absurd.
Si dovranno aspettare ben 15 anni per avere un seguito del glorioso “Insignificance of Life”, ovvero l’omonimo
“Anti”, rilasciato nel 2021 in maniera indipendente.
Questo è un lavoro indubbiamente meno conciso e “adrenalinico” rispetto al debut, presentando talune strutture più tendenti al Post-Black, varie partiture atmosferiche e un uso delle melodie più marcato. Fattori che se da un lato attenuarono l’intensità della proposta dei tedeschi, dall’altro ne aumentarono il potere suggestivo e il pathos drammatico di insieme; questo grazie anche a una prestazione lirica di
Krieg che vedeva la sua massima partecipazione emotiva. Il difetto, casomai, sarebbe da ravvisarsi non tanto nel “cambio” – che promuovere o meno rientrerebbe nella sfera dei gusti personali – quanto in un songwriting che non sempre risulta all’altezza del potenziale del gruppo. Ma si tratta di lievi cali qualitativi, il disco nell’insieme risulta ben congegnato, e su livelli artistici collocabili tra le linee di vetta del genere.
Al momento non si hanno molte notizie a riguardo, e
"Anti" risulta essere, allo stato attuale, il loro ultimo lavoro in studio.
Terminiamo qui la nostra rassegna dedicata al Black metal teutonico, certi di non aver potuto trattare tutte le formazioni di tale scena, e forse di averne trascurata – involontariamente – perfino qualcuna di estremamente valida. Tuttavia, siamo anche convinti che non rientri nello scopo di una Guida trattare ogni singolo gruppo della terra che abbiamo preso in esame, bensì che lo scopo sia quello di orientare il lettore verso quei nomi che hanno fatto da fulcro propulsivo di tale fucina oscura; e di segnalare come tali eredità siano state raccolte, ed eventualmente sviluppate, dalle generazioni che ne sono succedute.