Danger Zone: ad un passo dal Paradiso

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Parlare dei Danger Zone senza essere un po’ “nostalgici” e maledire le circostanze che hanno impedito loro di “sfondare” a livello internazionale già alla fine degli anni ottanta (e per referenze immediate, ascoltare “Line Of Fire”, uscito postumo nel 2011!) è, per quelli della mia generazione, un’impresa non trascurabile. Il rischio, però, così facendo, è di sminuire il lavoro svolto dal gruppo bolognese dal momento in cui ha deciso di tornare all’attività, pubblicando due dischi splendidi, “Undying” e il recente “Closer To Heaven”, un gioiellino di class-metal fresco, vitale e peculiare, degno dei grandi interpreti del genere e destinato fatalmente a trovare un’importante collocazione nelle classifiche di gradimento di ogni chic-rocker che possa definirsi tale.
A questo punto, approfittare della disponibilità e della gentilezza di Roberto Priori e Giacomo “Giga” Gigantelli per un doveroso approfondimento è stata una scelta (oltre che molto piacevole!) pressoché “obbligata” …

Ciao ragazzi, grazie per il vostro tempo e bentornati su Metal.it! Il vostro nuovo “Closer To Heaven” è uscito da qualche mese … raccontateci tutto di questo favoloso lavoro, per quanto mi riguarda uno dei dischi dell’anno nel suo settore di competenza!
Giga: Ciao e grazie a te per i complimenti e per questa intervista! Che possiamo dire? Sentivamo che in questa nostra ultima fatica c'era qualcosa di “particolarmente magico” ma sai, fino a che non viene pubblicato e non abbiamo iniziato a ricevere le prime recensioni, non sapevamo quale sarebbe stato il reale riscontro del pubblico. Ovviamente anche tutti i nostri lavori precedenti ci hanno soddisfatto ma si sa che l'ultima parola spetta sempre al pubblico. Se per “Line of Fire” oramai si parla di album di culto addirittura per certi versi venerato da alcuni addetti ai lavori, con “Undying” abbiamo cercato il giusto collegamento tra il passato e il presente. I vari componenti dei Danger Zone negli anni hanno avuto parecchie esperienze musicali diverse e quindi abbiamo cercato di metterci tutto noi stessi per ridare credibilità alla band che si era ritrovata dopo parecchi anni. La critica è stata un po’ discordante perché, forse non capendo appunto questo nostro approccio e concept di “Undying”, l’ha definito in generale (ma non per tutti) un po’ “confusionario” (chi ha osato? N.d.a.) nel senso che non si capiva bene dove volevamo andare a parare. In realtà per noi “Undying” è un disco molto pensato e intenso e forse con il tempo sarà capito e valorizzato di più. Con “Closer to Heaven” invece si può dire che siamo di fronte ai Danger Zone del presente e del futuro e dove ci siamo di nuovo sentiti “liberi” e “fieri” di esprimere la nostra musica.
Mi sembra che il Cd stia diffusamente raccogliendo giudizi alquanto positivi … soddisfatti dei feedback ricevuti finora e di come la Pride & Joy Music sta curando i vostri “interessi”?
Roberto: Infatti! Le recensioni sono state fino a ora molto buone e anche a livello radiofonico abbiamo avuto molti programmi specializzati di tutto il mondo che hanno trasmesso i nostri singoli. Sicuramente vi è stato un ottimo riscontro sin dalla release del primo singolo “Go!“ che ha portato a esaurire la prima tiratura due giorni prima dell'uscita effettiva! L'etichetta Pride & Joy ha fatto un ottimo lavoro e siamo contenti di aver scelto di lavorare con loro per questo disco.
A questo proposito, come siete entrati in contatto con quest’agguerrita label tedesca?
Roberto: Avevamo già lavorato in passato con Birgitt Schwanke (presidente dell’etichetta) solo per quello che riguardava l'ufficio stampa dei due dischi precedenti, e quando abbiamo saputo che aveva fondato una label le abbiamo proposto il nuovo lavoro, visto che era stata molto brava nel suo lavoro in passato ed eravamo sicuri avrebbe fatto bene anche con questa nuova avventura dell’etichetta discografica.
Closer To Heaven” propone il vostro tipico suono declinato attraverso un pizzico di maggiore melodia … scelta “cosciente” o conseguenza “naturale” dello stato d’animo contingente?
Giga: Direi conseguenza naturale, se per naturale s’intende che abbiamo scritto quello che ci veniva in maniera molto spontanea. I Danger Zone hanno sempre avuto un occhio di riguardo per la melodia, ma in particolare abbiamo sempre cercato di scrivere delle buone canzoni, secondo ovviamente il nostro giudizio, partendo dal presupposto che un buon brano Hard Rock, per essere “ricordato”, deve avere principalmente un bel riff di chitarra e il miglior ritornello possibile. Per “Closer to Heaven” abbiamo utilizzato questo stesso sistema usato in passato ma, per quanto mi riguarda, sono stato particolarmente soddisfatto del risultato ottenuto sulle melodie vocali proprio perché è arrivato in maniera molto spontanea e sincera. E' stato un periodo particolarmente prolifico e per buttare giù le idee principali c’è voluto meno tempo di quello che avremmo pensato e anzi alla fine abbiamo addirittura scritto più materiale di quello effettivamente finito sull'album.
Come mai avete scelto questo titolo? Avevate già la consapevolezza che si sarebbe trattato di un albo molto “vicino al Paradiso” del class-metal internazionale :)?
Giga: Volevamo trovare un nome che non fosse per forza un titolo di una canzone presente nell'album ma che rappresentasse al meglio questa nuova freschezza compositiva e positività generale. Roberto ha suggerito questa frase del testo di “Go!” e ci è sembrato il titolo migliore in assoluto tra tutti quelli presi in considerazione. Poi quando abbiamo dato al noto Cover Artist francese Stan W Decker l'idea del concept per la copertina del disco, ci siamo resi conto che era davvero il titolo migliore che avremmo potuto trovare.
Come nasce un pezzo dei Danger Zone? Da intuizioni singole o da jam collettive?
Giga: In passato passavamo molto tempo insieme in sala prove e quindi le canzoni venivano forse maggiormente da jam collettive. Ora, con situazioni lavorative diverse e vivendo anche in città diverse (almeno nel mio caso), preferiamo affidarci di più alle ispirazioni che ci arrivano singolarmente. Di solito comunque partiamo dall'ottima e collaudata collaborazione tra me e Roberto ... per quanto riguarda le prime idee e poi per la stesura del primo arrangiamento Roberto è un mago. Quando poi abbiamo un provino sufficientemente valido, o che ci sembra tale, lo sottoponiamo a Paolo (Palmieri N.d.a.) che suggerisce il migliore drumming possibile e alla fine tutti gli altri danno la loro opinione e contributo finale e si ritocca il tutto per arrivare al brano completo che viene registrato in versione demo al PriStudio. Il tutto è poi sottoposto a Jody Gray a New York che ascoltando le rough vocals e valutando le prime idee del testo, scrive le liriche finali e definitive. Jody è oramai parte integrante della band fin dai tempi di “Line of fire” e non riusciremmo più ad andare sotto lo standard, per noi altissimo, raggiunto con lui. Posso sicuramente dire che alla fine il suono Danger Zone finale è un lavoro di squadra, altrimenti sarebbe un disco solista!
Nell’album si segnala la presenza di ospiti importanti alle tastiere … vi va di ragguagliarci sul loro coinvolgimento?
Roberto: Quando feci sentire i provini a Michele Luppi alla fine del 2014, lui mi disse che gli sarebbe piaciuto suonare le tastiere in qualche pezzo, poi nel 2015 lui è entrato nei Whitesnake e quindi c'era il rischio che non potesse più farlo, ma le tempistiche sono cascate a puntino ... noi abbiamo registrato da Giugno e quindi nella sua pausa dal tour a Settembre 2015 siamo riusciti a lavorare con Michele. Il risultato ci è piaciuto tanto che a quel punto abbiamo pensato di provare a coinvolgere un altro bravissimo tastierista, Pier Mazzini, per cercare di inserire le tastiere anche nei rimanenti pezzi. Il lavoro che ha fatto è stato fantastico, è riuscito a entrare immediatamente nel sound della band senza snaturarlo, ma solo arricchendolo! Fortunatamente alla fine è entrato a far parte della band e quindi ora in organico siamo in sei, scelta necessaria con il nuovo repertorio.
Questione live … bilancio attuale e prospettive future ...
Roberto: Fortunatamente stiamo suonando abbastanza, stiamo facendo parecchi festival e fino a metà settembre saremo in giro, i concerti stanno andando bene e ci divertiamo un casino, il che è la cosa più importante ... speriamo di riuscire a fare altrettanto anche in inverno, anche se di locali al chiuso che fanno Hard Rock "inedito" non ce ne sono tantissimi ... questo è un vecchio problema ...
Come vedete, pur essendo un vostro fedele estimatore, finora ho cercato di evitare le domande riguardanti il vostro un po’ “travagliato” passato, per evitare di trasmettere ogni eventuale senso di “nostalgico” … una cosa però ve la chiedo … non pensate di essere in “credito con il destino”? Avete qualche rimpianto? C’è stata qualche scelta fatta che, se magari ponderata meglio, avrebbe potuto portare a un diverso risultato?
Roberto: Credo che a un certo punto bisogna farsene una ragione e non piangersi addosso, noi ci siamo andati abbastanza vicini ma quello che stato è stato, e non si può cambiare. Abbiamo fatto tutto ciò che era possibile, forse anche di più, quindi non abbiamo rimpianti, quello no. Col senno di poi ti posso dire che se avessimo optato per rimanere in Europa e lavorare per un deal europeo sarebbe stato forse più facile ma noi non ne volevamo sapere, il nostro cuore era a Los Angeles. Dopo aver suonato al Whiskey a Go-Go la prima volta nel 1988, giurammo a noi stessi che saremmo andati a vivere lì ad ogni costo, e così è stato. Poi la scena musicale è cambiata, non dipendeva da noi, quindi ci siamo dovuti arrendere.
E’ opinione comune che il grunge sia stato il “killer” di un certo tipo di fare musica. Ritenete che la sua “esplosione” sia stata dettata da esclusive questioni di trend e di business o che dietro al fenomeno ci fosse anche l’oggettiva "implosione" dell’hard n’ heavy “ ottantiano”?
Roberto: Sicuramente quel genere stava diventando uno stereotipo, molte bands stavano ancora facendo dischi fantastici pur durante l'esplosione del Grunge (vedi i Winger con “Pull” o tanti altri), ma in generale vi erano poche idee nuove e quindi è partita la “rivoluzione”.
Dagli esordi a oggi com’è cambiato il vostro approccio alla musica, sia come “addetti ai lavori” e sia come semplici ascoltatori?
Giga: Per quanto mi riguarda posso dirti che la musica mi ha aiutato tantissimo in diversi momenti bui della mia vita. Quello che ho fatto in passato con gli Spitfire (la band non si è mai ufficialmente sciolta) fa parte della mia storia e del mio DNA e anche suonare nel tributo ai KISS (Juliet Kiss) mi è servito tantissimo per divertirmi e capire cosa volevo effettivamente dalla musica. Da ragazzino ascoltavo sempre e solo rock e metal (e continuo a farlo) ma maturando si arriva a un punto dove senti il bisogno di ampliare i tuoi orizzonti. Come musicista sono felicissimo di far parte di una band come i Danger Zone perché sono tutti musicisti straordinari e quindi sono stimolato a dare sempre il meglio di me.
Prendendo spunto dalla risposta precedente, avete mai pensato a cosa sarebbe stata la vostra esistenza senza una passione totalizzante come questa?
Giga: No, non saprei proprio immaginarmi una vita diversa da questa. La musica in generale ma in particolare quella creata da noi stessi, permette di esplorare tutte le situazioni che desideri in maniera “artistica” e che vuol dire “niente limiti”. Ecco, ci si sente “liberi” e cosi voglio arrivare alla fine dei miei giorni.
La tecnologia e la Rete hanno reso il mondo della musica (e non solo …) più “vicino” e “agevole”, determinando, però, probabilmente, un po’ di confusione e una forma di fruizione maggiormente “superficiale” … quali solo le vs. valutazioni in merito?
Roberto: Il problema è globale, non solo musicale. La gente va nei musei e poi sta attaccata al telefonino senza guardare le opere che ha davanti, così come Spotify ti da accesso a un catalogo sterminato di canzoni a cui difficilmente ti affezionerai perché è tutto mordi e fuggi. Che peccato, io ringrazio di aver vissuto la fase dell'ascolto in camera, chiuso nel mio mondo, a fissare la copertina senza nessuno che mi chiamava in chat ogni tre secondi. Se vuoi capire il lavoro che c'è DENTRO un disco devi ascoltarlo veramente, non mentre stai facendo altre tre cose in multi-tasking.
In conclusione, nel rinnovare complimenti e ringraziamenti, vi chiedo un saluto “speciale” per i nostri lettori e di suggerir loro il nome di una band “emergente” di valore e quello del gruppo che ritenete più “criminalmente” sottovalutato …
Roberto: A tutti i lettori di Metal.it un grazie di cuore da parte di tutti noi per il supporto che ci state dando, speriamo di potervi vedere in qualche nostro prossimo show! Di gruppi emergenti ce ne sono diversi, anche in Italia, che fanno musica di qualità e che spesso non sono adeguatamente considerati e citarne uno solo non è facile, mentre per quello che riguarda le band del passato, ti posso dire che per me i Winger sono stati molto sottovalutati per via della fine dell'Hair Metal … loro sono sempre stati dei musicisti fantastici e anche nei tempi recenti, con dischi come “Karma”, continuano a mantenere alti livelli musicali e stilistici.
Intervista a cura di Marco Aimasso

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