Kamelot (Thomas Youngblood, guitars)

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Gruppo:Kamelot

Ricordo ancora quel giorno di primavera del 1995 quando, durante l’ennesima visita al negozio di dischi preferito, mi lasciai sedurre e conquistare dalla bellissima cover di “Eternity”, il debut album dei Kamelot: un maestoso e regale stemma dorato in campo viola, un’allettante promessa per qualsiasi defender che si rispetti… sfortunatamente i contenuti musicali di quell’album erano tutt’altro che regali, ma la band della Florida ne ha fatta di strada da quel giorno di dieci anni fa, e dopo alcuni colpi di assestamento si è messa a produrre dischi di gran classe, tra i migliori che mi sia mai capitato di sentire da alcuni anni a questa parte. “The black halo”, la loro ultima fatica, l’attesissimo seguito del concept mefistofelico iniziato tre anni fa con “Epica”, non fa eccezione. E’ dunque con immenso piacere e anche molta curiosità che mi sono accostato a questa chiacchierata con Thomas Youngblood, leader e principale compositore del gruppo americano.
Arrivato da New York da poche ore, e visibilmente provato dal jet lag, il chitarrista non ha difettato in disponibilità, raccontandomi tutto quello che c’era da sapere su questo straordinario lavoro. Eccovi il resoconto completo!

Allora Thomas, ti dico subito che “The black halo” è un vero masterpiece, decisamente un grande passo avanti rispetto ad “Epica”: vuoi raccontarmi qualcosa del processo creativo che ha portato all’album?

Grazie dei complimenti! Quando abbiamo iniziato a comporre il materiale per “Black halo” non ci siamo fermati troppo a pensare che cosa avevamo fatto con “Epica”, semplicemente sapevamo che la storia avrebbe dovuto essere molto più cupa, più complessa, soprattutto a livello lirico. Sostanzialmente il processo di scrittura è stato identico a quello degli ultimi lavori: sono andato un paio di volte in Norvegia da Roy, e successivamente lui è venuto da me in Florida… sai, sono accadute molte cose dopo “Epica”, pensa a tutto quello che sta succedendo nel mondo, sono cose che in un certo qual modo ci hanno influenzato, e hanno contribuito a rendere “Black halo” più oscuro del suo predecessore. In generale abbiamo voluto che il tutto suonasse più heavy, le chitarre infatti sono più fuori, più presenti di prima.
Le registrazioni ci hanno invece richiesto più tempo del previsto, soprattutto per le voci, che ci hanno portato via il doppio rispetto alle altre volte, questo perché Roy ci ha messo davvero un sacco di impegno, ha voluto fare un lavoro curato in ogni minimo dettaglio, e difatti lo senti, la sua prestazione è incredibile…

Subito dopo l’uscita di “Epica” avete dichiarato che la seconda parte del concept sarebbe stata pronta a breve, in realtà abbiamo dovuto attendere un bel po’…

E’ vero, e difatti la storia era fondamentalmente già pronta, solo che poi sono successe alcune cose che ci hanno ritardato: io e Glenn, il bassista, abbiamo entrambi avuto un figlio, e ci siamo quindi presi sei mesi di pausa per stare con le nostre famiglie, mentre Roy, subito dopo un concerto in Spagna, si è beccato questa sorta di strano virus, che gli ha colpito tutti i nervi ottici, ed è dovuto stare in ospedale per alcuni mesi…

Ma dai? Non sapevo assolutamente nulla di questa vicenda…

Sì, in effetti è una cosa di cui non avevamo mai parlato fino ad ora, puoi fare un bello scoop (ride)! Tutte queste cose ci hanno ovviamente ritardato, ma penso che ne sia valsa la pena…

Altroché, te l’ho già detto che avete fatto un capolavoro! Senti, quali pensi potranno essere le reazioni dei fans di fronte ad un disco che non suona esattamente come la cosa più diretta che abbiate mai fatto?

Beh, penso che i nostri fans siano un po’ diversi rispetto ai soliti heavy metal fans, penso che si aspettino già un qualcosa di diverso e particolare da noi, sanno che ci piace provare sempre qualcosa di nuovo ad ogni album… certo, si può dire che “Fourth legacy” e “Karma”fossero un po’ più diretti , ma questo è un concept, e quando fai un disco di questo tipo provi sempre soluzioni differenti, hai anche lo sviluppo della storia di cui tenere conto… e comunque è possibile che con il prossimo album torneremo a sonorità più tipicamente heavy metal. Ad ogni modo ci sarà senz’altro qualcuno che si aspetta da noi sempre le stesse cose, ma sono convinto che alla maggioranza dei fans il nuovo album piacerà!

Mi è piaciuto molto il vostro modo di utilizzare l’orchestra, lo trovo molto originale ed evocativo, distante dal solito metal sinfonico che va tanto di moda adesso… come avete ottenuto questo risultato? Vi siete avvalsi ancora dell’apporto di Miro? Come ve la caverete dal vivo, visto che non avete un tastierista in formazione?

Sicuramente dal vivo le chitarre avranno un ruolo maggiore, anche se le tastiere verranno suonate da un guest, come accadde per “Epica”. Sul disco tutte le parti orchestrali sono state scritte da me e da Khan, Miro ci ha dato una mano più in fase di arrangiamento e per gli aspetti più puramente tecnici. Ci siamo effettivamente discostati dal tipico heavy metal sinfonico, di quello ne senti tanto in giro, i Rhapsody per carità lo fanno bene, ma a noi non piace così, volevamo fare una cosa più tipica, più particolare…

Senti, che cosa mi dici della presenza di Shagrath dei Dimmu Borgir nel brano “The March of Mephisto”? Personalmente apprezzo moltissimo l’atmosfera così particolare di questo pezzo, è un qualcosa di veramente originale… Come vi è venuta l’idea di una collaborazione del genere?

Abbiamo sempre usato dei guest musicians nei nostri dischi precedenti, nel caso di Shagrath avevamo bisogno di qualcuno che impersonasse Mephisto nella storia, e lui è stato ovviamente il primo a cui abbiamo pensato (ride)! Inoltre è stata una cosa facilitata dal fatto che anche lui, come Roy, è norvegese, per cui da un punto di vista organizzativo è stato tutto molto semplice…

Si conoscevano già da prima?

No, non si conoscevano personalmente, ma essendo entrambi molto conosciuti in Norvegia (e in particolare Shagrath è davvero molto famoso nel suo paese), per via di internet, dei fans in comune e così via, Roy non ha avuto difficoltà a contattarlo, lui ci ha detto che era libero e la cosa si è fatta. Penso che sia stata una collaborazione molto proficua, abbiamo anche fatto un video per la canzone, nel quale compare anche lui, sarà veramente bello! è un pezzo molto particolare, abbiamo cercato di mischiare il black metal con il tipico nostro sound, senza nello stesso tempo mettercene troppo, dato che non facciamo black metal (ride)… è un pezzo ben riuscito e riflette molto bene le caratteristiche del personaggio…

Un altro elemento che mi ha colpito molto è la presenza di un cantato in lingua italiana…

Originariamente le liriche di “Un assassinio molto silenzioso” erano state scritte da Khan in inglese, ma quando Cinzia Rizzo è venuta in studio a cantarle (tra l’altro, se ti ricordi, Cinzia aveva già cantato con noi sul brano “Nights of Arabia”) ci siamo accorti che la musica aveva un feeling davvero particolare, e che avrebbe reso meglio con un cantato in lingua italiana, così abbiamo tradotto il tutto, modificando qualcosa qua e là per adattarlo alla metrica…

Restiamo sui testi: che cosa mi puoi dire in generale sul contenuto di questa seconda parte del concept?

E’ fondamentalmente la seconda parte della storia del protagonista e del suo patto col diavolo, è la parte più tragica, infatti alla fine lui muore di crepacuore, nel tentativo vano di ritrovare il suo amore perduto… in uno dei pezzi, “The Haunting”, viene introdotto un nuovo personaggio, Margherita, interpretata da Simone Simons, ma lui non può dimenticare il suo vero amore, Helena, che si era tolta la vita alla fine di “Epica”… insomma, questo è un po’ il contenuto di “Black Halo”, è un qualcosa di romantico e tragico nello stesso tempo, alla fine infatti lui muore, ma abbiamo voluto ugualmente inserire un elemento di speranza, rappresentato da “Serenade”, il brano conclusivo, che suona un po’ come un nuovo inizio…

Avete scritto una storia incentrata attorno ad un patto col diavolo: che cos’e veramente il male per te?

Penso che ci siano diversi livelli di male: uccidere gente innocente in nome di Dio o del petrolio ad esempio, oppure il desiderio smodato di denaro, di averne sempre di più del necessario, ci pensi quando vedi qualcuno che ha così tanti soldi e non li divide con nessuno, ecco, penso che tutto questo costituisca peccato, una forma di male, insomma…

E tu venderesti mai la tua anima al diavolo?

No, innanzitutto perché io non credo nel diavolo in senso letterale, ma anche se ci credessi… beh, alla fine nella storia viene sconfitto, per cui che utilità ci sarebbe ad allearsi con lui (ride)?
Ad ogni modo sono convinto, e qui si ritorna a “Karma”, che il modo in cui tu tratti te stesso, gli altri, il mondo che ti sta attorno, si ripercuota su te stesso e sul tuo modo di vivere…

Guardando la copertina del disco, ho notato che questa è la prima volta che non usate il viola, neanche in minima parte: come mai questa predilezione per questo colore? Che cosa è successo per convincervi a cambiare?

Mah, all’inizio abbiamo iniziato ad usarlo per via del fatto che richiamava un senso di nobiltà, di regalità, poi via via l’abbiamo sempre più sfumato e messo insieme ad altri colori… avremmo dovuto fare così anche con “Black Halo”, ma poi lavorando con Photo Shop ci siamo accorti che mischiando il viola con il rosso (che è il colore dominante della cover), la definizione non era un granché, e l’abbiamo lasciato del tutto perdere… sai, nessuno della band ha mai parlato di questa cosa, ma penso che costituisca un ottimo contrasto con “Epica”, rende molto bene l’idea della maggiore cupezza di questa seconda parte…

Beh, comunque mi piace molto, anche se non c’è più il viola…

Sì, è molto bella, poi la versione definitiva sarà su digipack, per cui l’immagine è più grande di così, le ragazze saranno due, ce ne sarà una anche sul retro… penso che sia il miglior artwork che abbiamo mai avuto, anche il booklet sarà qualcosa di molto particolare, l’ha realizzato questo ragazzo svedese davvero molto bravo, che ha illustrato ogni canzone con una immagine diversa…

Guardando indietro al vostro passato, avete impiegato un po’ più di tempo rispetto ad altre bands per farvi conoscere adeguatamente: se non vado errato il vostro primo successo commerciale è stato “The fourth legacy”, che è appunto il vostro quarto disco… come mai secondo te?

Beh, quando uscì “Eternity” penso che quello fu il punto di più basso di tutto l’heavy metal… voglio dire, non per colpa del disco, ma per il fatto che nessuno aveva più voglia di ascoltare quella musica! Quando uscimmo con “Fourth Legacy” fu esattamente il contrario, il genere era ripartito e stava guadagnando consensi sempre maggiori: oggi posso dire che il 1999 è stato il vero inizio per la band, è stato il punto di partenza per arrivare fin dove siamo adesso, ma c’è anche da dire che in quei cinque anni tra il nostro primo e quarto disco abbiamo lavorato molto, ed è anche e soprattutto grazie a questo lavoro che siamo arrivati dove siamo ora…

E come giudichi oggi i vostri primi tre dischi?

Penso che in ognuno di essi ci siano delle buone canzoni, ma in generale sono stati viziati tutti da alcuni problemi: con “Eternity” eravamo ancora piuttosto inesperti, per cui le canzoni, pur buone, non sono uscite come avremmo voluto. Con “Dominion” ci sono stati vari problemi a livello di line up, in generale la situazione era tesa e penso che il feeling del disco ne abbia risentito. “Siege Perilous” è invece un disco di transizione: Roy è entrato nella band che il lavoro di registrazione era in pratica già concluso, ed ha avuto solo tre settimane di tempo per imparare tutte le sue parti e registrarle!
Tutto questo per dire che siamo molto più attaccati al materiale più recente, perché è quello in cui abbiamo iniziato ad essere una vera band… anche dal vivo, durante il tour, nell’ora e mezza che avremo a nostra disposizione suoneremo quasi solamente brani dagli ultimi quattro dischi. Magari recupereremo qualcosa di più datato, ma non lo so, anche perché Roy preferisce giustamente cantare il materiale che più sente suo, che più ha contribuito a creare.

A questo punto non ci resta altro che attendere il 30 marzo…

Intervista a cura di Luca Franceschini

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