Ronnie James Dio

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Incontrare un personaggio come Ronnie James Dio rappresenta il sogno di una vita per chi, come il sottoscritto, è venuto su a pane ed heavy metal… prima coi Rainbow di Richie Blackmore, poi coi Black Sabbath, dove ha raccolto la pesante eredità di Ozzy Osbourne contribuendo alla realizzazione di quel capolavoro che è “Heaven and hell”, il piccolo uomo dalla grande voce non ha mai perso occasione di lasciare un segno indelebile nella storia del genere che tutti noi amiamo, e quando ha deciso di intraprendere la carriera solista, ha probabilmente raggiunto la sua consacrazione definitiva, con album del calibro di “Holy diver”, “Last in line”, “Sacred heart” o “Dream evil”. Sfortunatamente, fatta eccezione per il solo “Magica”, datato 2000, le sue ultime releases sono ben lontane dallo splendore dell’epoca d’oro: non fa eccezione neanche l’ultimo “Master of the moon”, uscito ormai quasi un anno orsono, ma poco male, perché il buon Ronnie sa ancora come si sta su un palcoscenico, e regala di volta in volta grandi emozioni a chi lo viene a sentire!
L’ex Black Sabbath è oggi headliner del Tradate Iron Fest, e mentre i Candlemass stanno ancora incantando i fans con il loro massiccio doom metal, ci ritroviamo nel backstage per una conferenza stampa nella quale si è parlato davvero di tutto, in un’atmosfera informale e piacevole che ha dimostrato come egli sia soprattutto una grandissima persona, prima ancora che un grandissimo cantante…

Dopo tutti questi anni, dove trovi ancora l’energia per andare avanti?

E’ tutto merito del pubblico! Non puoi comprare il tipo di affetto che ricevo ogni volta da loro, è una storia d’amore con i miei fans, loro rispettano me, io rispetto loro, sanno benissimo che li amo! Probabilmente alcune persone credono che io continui a fare tutto questo per soldi, ma non è affatto vero: è un lavoro duro, e nessuno ti paga così tanti soldi per dare rispetto alle persone… non è una questione di soldi, lo faccio solo per il mio pubblico, mi piace davvero fare questo lavoro, mi mantiene in forma, mi mantiene giovane…

A tuo parere, quale è stato il punto più basso e quello più alto della tua carriera?

Per quanto mi riguarda, il punto più basso della mia carriera è sempre stato quello di non potere fare più parte di una band… ho sempre pensato che sarei rimasto per sempre in una band, quando ero con i Rainbow pensavo che sarei rimasto coi Rainbow, e la stessa cosa quando ero nei Black Sabbath… e questa è una delle ragioni per cui ad un certo punto ho deciso che volevo esercitare un controllo maggiore sulla mia vita: non posso certo essere licenziato dai Dio! Mi è sempre piaciuto essere in una band, fare parte di quelle band, e quindi, quando tutto è finito, mi sono sentito come se avessi ricevuto un colpo in piena faccia, o un pugno nelle costole. E’ stata dura, anche per me, perché probabilmente uno può anche pensare che io sia un duro, ma in realtà sono come tutti gli altri, piango come tutti gli altri!
Il punto più alto è tuttora rappresentato dal periodo di “Heaven and hell”, e questo perché quella band non stava più avendo successo da molto tempo, e quando mi sono unto a lei, insieme l’abbiamo portata di nuovo alla ribalta. Amo quel disco, penso che fosse davvero un grande album, e anche con i ragazzi della band, mi sono trovato bene per molto tempo… sì, penso che quello sia stato, musicalmente parlando, il mio punto più alto…

Qual è la tua personale idea di successo? Quando pensi di avere davvero raggiunto il successo?

Penso di aver avuto successo quando ho raggiunto gli obiettivi che mi pongo nel corso della mia vita, di solito non dico mai: “questo album è stato un successo, questo concerto è stato un successo”, l’unica cosa che voglio è essere membro di questa band, suonare in questa band, il successo non ha nulla a che vedere con l’avere una bella casa, guadagnare tanti soldi, ma più nel fare bene il tuo lavoro, quando qualcuno ti dice che sei bravo a fare quello che fai…

Negli anni ’90 hai realizzato due lavori come “Strange highways” e “Angry machines”, nei quali hai provato a sperimentare sonorità più moderne: che giudizio hai di quel periodo, a riguardarlo adesso?

Mah, penso che come qualsiasi altro, ad un certo punto hai bisogno di reinventare te stesso. Non ho mai cercato di diventare un qualcosa che non ero, ma il fatto è che i musicisti della band a quel tempo provarono a suonare un po’ più “moderni”, anche se non credo fosse quello che la gente voleva da Dio: penso che quando iniziai la mia carriera solista, ma credo ancora da prima, dai Rainbow ai Sabbath, beh, penso che i fans si siano sempre aspettati che io scrivessi canzoni a tematiche fantasy, cose diverse da quelle di tutti i giorni. Penso che fosse questo quello che la gente si aspettava dai Dio, per cui, quando abbiamo fatto un paio di album che non erano… beh, diciamo che non erano proprio punk, ma comunque affrontavano tematiche sociali… beh, dopo aver fatto quei dischi ho capito che non avrei mai potuto cambiare la società, che la musica non può cambiare la società…
Erano tempi confusi quelli, i musicisti avevano quello da offrire, e così l’ho accettato, ho provato a fare una cosa diversa, ma devo dire che questo non mi ha dato una grande soddisfazione…
In seguito abbiamo fatto “Magica”, e l’abbiamo fatto principalmente perché volevamo dire ancora una volta ai nostri fans: “Questo è Dio, questo è quello che sappiamo fare!”

Cosa ne pensi delle canzoni di “Master of the moon”? Che cosa ne dici della loro resa dal vivo?

Non credo che suoneremo molti brani da quel disco, il problema è che abbiamo così tante canzoni tra cui scegliere dopo una carriera così incredibilmente lunga, e ci sono dei pezzi che devono assolutamente essere eseguiti: dobbiamo fare “Holy diver”, dobbiamo fare “Heaven and hell”, “Don’t talk to strangers”, “Stand up and shout”, e di questo passo non rimane molto spazio per provare altre cose. Andremo comunque a pescare qualcosa da “Master of the moon”, che è un disco che mi ha dato una grande soddisfazione, un grande disco davvero, anche se probabilmente molti fans pensano che non ci siano abbastanza canzoni veloci, che ci siano troppi mid tempos… questo per me non è affatto un male, perché rappresenta in pieno quello che volevo fare, sono canzoni che mi sono sgorgate direttamente dal cuore, dalla mente, per cui non devo scusarmi per averle scritte… sai, di solito quando scrivi un pezzo veloce, tipo “Stand up and shout”, pensi che serva metterne anche uno un po’ più lento, per compensare, però a volte accade che tu sia nel mood di scrivere un album basato solo sui mid tempos, come in quest’ultimo caso, e di conseguenza non ti fermi troppo a pensare se sia giusto o meno, o a che cosa ne penseranno i fans, lo fai e basta! Ci sono molti che vorrebbero che ogni mio nuovo disco fosse come “Holy diver”, che vorrebbero ascoltare un’altra “Rainbow in the dark”, ma che senso può avere? Io ho già scritto “Rainbow in the dark” ed è proprio questo che la rende così speciale: ce n’è una e basta!
Davvero “Master of the moon” è un grande album, Craig ci ha suonato sopra alla grande, ma penso che tutti abbiano dato il meglio, inoltre ha la produzione più heavy che abbiamo avuto. Sì, penso che sia proprio un bel disco, e penso che i fans siano contenti quando di ascoltarne qualche pezzo dal vivo, anche se non abbiamo mai l’opportunità di farne molti, e questo è un peccato.


Hai lavorato con due grandi bands come Rainbow e Black Sabbath: quale di queste due esperienze credi ti sia stata più utile per la tua carriera?

Penso che alla fine siano stati i Black Sabbath quelli che mi hanno dato maggior piacere, e la ragione era perché era più semplice stare con loro. Coi Rainbow era più complicato, credo a causa del genio di Richie, poiché le canzoni avrebbero potuto senza dubbio essere più lineari, ma era come se lui volesse per forza imprimervi la sua genialità, e alla lunga il tutto appariva un po’ troppo “musicale”… non che questo fosse negativo, ma non era facile per me, perché dovevo sempre cercare di fare cose semplici e dirette all’interno delle strutture elaborate create da Richie. E’ stata un’ esperienza molto utile da cui ho imparato molto, ma coi Sabbath è stato diverso. I Sabbath erano tutti, erano più un insieme, e poi Tony è il più grande creatore di riff che abbia mai conosciuto: era semplice, tutti avrebbero potuto suonare quei riffs, e per me questo è stato un cambiamento decisivo, è stato molto bello potere iniziare a scrivere le canzoni in una maniera più semplice.
Richie è uno dei più grandi chitarristi che io abbia mai visto, i suoi assoli sono magnifici, i suoi riffs incredibili, mentre Tony, pur non avendo la tecnica di Richie, aveva un suono molto migliore, perché lui suonava tutta la chitarra, mentre Richie suonava più che altro le corde in basso, Tony suonava tutto, la sua mano copriva tutto lo strumento (mima il gesto del suonare), e il suo suono era così pieno… Richie era invece più classico nell’impostazione, però è impossibile per me dire chi dei due fosse migliore, non potrei mai dirti “Tony era più bravo di Richie o Richie era più bravo di Tony”, perché non sarebbe vero! Sarebbe un po’ come paragonare una telecamera ad un registratore, sono due cose diverse! Penso che, ognuno a modo loro, fossero entrambi dei geni: Tony ha creato l’heavy metal, senza di lui l’heavy metal non sarebbe mai esistito, mentre Richie ha scritto cose splendide come musicista.


Di tutti i dischi che hai registrato con queste due bands, quali sono i tuoi preferiti?

Il mio album preferito coi Rainbow è il primo… non “Rainbow’s Rising” ma il primo, e proprio perché è stato il primo! E’ stata la nostra opportunità di far valere quello che eravamo, e penso che ci siamo riusciti bene! In genere mi piace fare le cose per la prima volta perché non sai mai che cosa aspettarti, e quindi, se vanno bene è bellissimo! Le canzoni di quell’album poi mi piacciono molto di più, sul secondo ci sono pezzi come “Stargazer” o “Light the black”, che erano più esercizi strumentali, specialmente quest’ultima sembrava un solo project di Richie e Cozy (Powell, il batterista, purtroppo prematuramente scomparso)! Sul primo album ci sono invece canzoni che amo tantissimo, come “Man on the silver mountain” o “Catch the rainbow”…
Per quanto riguarda i Black Sabbath sicuramente “Heaven and hell”, nessun dubbio!


Per una persona con una carriera come la tua, sarà inevitabile pensare spesso al passato: che importanza hanno i ricordi per te?

Non mi ricordo mai delle cose brutte, ma solo di quelle belle. E’ il mio modo di essere, il mio stile di vita, cerco sempre di andare avanti e di non guardarmi mai alle spalle! Quando registro un album, quando questo è finito non lo ascolto più, non sento il bisogno di farlo perché è pronto, è finito, basta! Mi piace guardare solo al futuro, penso che il passato sia buono solo per coloro che pensano di non potere combinare più niente nel loro futuro!
I miei ricordi riguardano soprattutto tutte le persone meravigliose con cui ho suonato: tutti i complimenti che ho ricevuto, per me come persona, come individuo, sono dovuti soprattutto alle persone che mi hanno fatto arrivare fino a qui. Non avrei mai potuto essere quello che sono ora senza Tony, Geezer, Craig, Rudy, senza le persone che sono sedute lì (indica i ragazzi della sua band), senza Richie, senza Cozy… non ho mai fatto musica da solo, mai, ho sempre utilizzato il grande talento di chi mi stava attorno, non sono mai stato così stupido da sprecarlo e da pensare che avrei potuto fare tutto senza l’aiuto di nessuno, per cui credo che tutti i complimenti vadano a loro, non solo a me…
Questi sono i bei ricordi: tutte le persone che hanno suonato con te! Certo, a volte è dura quando senti dire delle brutte cose a tuo riguardo, ma in genere cerco di non pensarci, di guardare altrove, perché in genere vengono da persone stupide che non mi conoscono affatto. Chi mi conosce bene sa che tengo molto di più agli altri di quanto non tenga a me stesso.
Ora la mia speranza è quella di creare altri bei ricordi nel tempo che verrà, credo che sia questo l’importante!

E se dovessi scegliere il tuo più bel ricordo in assoluto?

Se dovessi scegliere un solo ricordo? Suonare al Los Angeles Coliseum davanti a 120.000 persone coi Black Sabbath, quella è una cosa che non scorderò per tutta la vita! Fu il nostro primo show in America, era il tour di “Heaven and hell”… c’erano 120.000 persone che gridavano “Dio, Dio, Sabbath, Sabbath”… fu veramente speciale, il ricordo migliore che ho!

Ma per ogni decisione che uno prende nella sua vita, perde per forza qualcosa: che cosa senti di aver perso tu nella tua?

Non ho mai perso niente! Non sono Faust, non ho bisogno di vendere la mia anima al diavolo! Mi considero una persona veramente fortunata, ma non mi è mai mancata la determinazione, ho sempre tenuto duro, ho sempre avuto obiettivi molto alti e ho sempre avuto persone attorno a me che mi hanno aiutato a vederli, a raggiungerli! Non sono perfetto, essere perfetti è impossibile, ma tentare di essere perfetti… beh, questa penso sia la cose migliore che tu possa fare!

Quindi non hai mai sbagliato a scegliere?

Ma certo che ho fatto delle scelte sbagliate nella mia vita, è quello che mi rende un essere umano! Se non avessi mai sbagliato allora sarei veramente “Dio”… forse il nome è lo stesso ma la realtà è diversa (ride)!ù

Cambiamo argomento: che cosa ne pensi dell’attuale situazione internazionale, soprattutto alla luce di tutto quello che il tuo paese sta passando, e di tutto quello di cui è accusato?

Penso proprio che il mondo sia fottuto, lo penso veramente! Penso che abbiamo perso tutto il rispetto gli uni per gli altri, penso che le decisioni che vengono prese, lo sono da un gruppo di persone che non dovrebbe essere al potere, e non mi riferisco solo a George Bush, lui è solo uno dei tanti… voglio dire, diamo tutti contro a lui perché comanda una delle nazioni più ricche del mondo, ma questo non vuol dire che questa nazione debba rimanere potente ancora per molto! Penso che il vero problema sia che la gente ha la tendenza a dire: “Boh, lo farà qualcun altro”, e così non prende mai una decisione, mentre invece io credo che uniti si potrebbe avere la possibilità di cambiare le cose. La verità è che il potere corrompe, e noi sembriamo sempre troppo spaventati per attaccarlo.
Un altro grosso problema è che non abbiamo nessuna cura dei nostri figli, guarda le cose spaventose che accadono in Iraq, in India, nei paesi sovrappopolati, e sembra che non facciamo mai niente in proposito, siamo sempre troppo occupati ad avere i soldi per comprare la macchina, per fare benzina, ma queste non sono le cose importanti, le cose importanti sono domandarsi: “Chi verrà dopo di noi?”, perché il nostro tempo in questo mondo è così breve… siamo come mosche, come degli insetti che quando li prendi e li schiacci sono morti, e io non voglio certo fare questa fine, non voglio che nessuno mi prenda e mi schiacci!
Io credo che se ad esempio, le persone in questa stanza si mettessero insieme, potessero avere la stessa attitudine di fronte a questi problemi, allora si potrebbe avere una possibilità… purtroppo però non accadrà niente, perché tra poco io andrò sul palco a cantare e poi tornerò a casa, voi andrete a casa vostra, non ci vedremo più per molti anni, e se voi poi mi rincontraste e mi faceste la stessa domanda, probabilmente le cose non sarebbero cambiate per niente! No, non cambierà mai niente, dipende solo da noi potere cambiare e spero che prima o poi qualcosa accada, ma, come dicevo prima, siamo fottuti…

Non sembra molto diverso da quello che, se pure in forma simbolica, dici in “Killing the dragon”…

Sì, “Killing the dragon” parla esattamente di questo, parla del fatto che le persone ad un certo punto devono attaccare. Se il re è un cattivo re, se tratta male la sua gente, come si dice nel testo della canzone… il drago rappresenta il sacrificio, il compromesso che noi facciamo, preferiamo dare al drago i nostri figli, diciamo “Prendi pure il bambino ma lasciami tranquillo”! Oggi questo potrebbe essere rappresentato dalla tecnologia, che sta prendendo il sopravvento sul mondo, viviamo in un mondo digitale, penso davvero che stiamo diventando dei servi nell’illusione di diventare signori di questa tecnologia, seduti lì, grassi, senza fare nulla, a volte sembra che siamo come tanti maiali mandati al massacro!
E in “Killing the dragon” si dice esattamente questo, che per ogni generazione c’è un drago da uccidere, e il drago rappresenta tutto ciò che cerca di distruggere l’umanità…

Una semplice curiosità: da dove diavolo salta fuori il nome “Dio”?

Non ho pensato affatto a questo nome perché avesse significato letterale, non doveva certo significare “Dio”. Il mio vero nome, come tutti sapete, è Padovano, che per voi è certamente facile da pronunciare, ma che è terribilmente complicato in America, dove infatti nessuno lo capiva mai quando lo dicevo (ride)! Così ho deciso di prendere un nome più corto, più semplice, una volta ho letto un libro in cui si parlava di questo mafioso, Jonny Dio, e così ho pensato “Ah, Dio, questo è un nome corto!” E non sapevo che avesse quel significato, l’ho scelto perché sono fiero delle mie origini italiane, non avrei mai potuto chiamarmi Smith o qualcos’altro del genere!

Prima hai parlato di tecnologia: che cosa ha cambiato, secondo te, nel modo di registrare un disco?

Oggi registrare un disco è diventato molto più facile, con tutta la tecnologia digitale che c’è in giro. Oggi uno va in studio, suona una nota, poi ne suona un’altra, incolla tutto insieme e poff, il gioco è fatto! Un tempo invece dovevi essere bravo a fare quello che facevi, perché se facevi degli errori questi si sentivano! Questo è quello che mi piaceva di quegli anni, che dovevi essere bravo davvero per fare un disco! Oggi chiunque può fare un disco in casa sua, con gli amici, e poi può andare in giro a venderlo: questo è il più grande cambiamento che la tecnologia ha portato nella musica.
Un’altra grande differenza è che allora le case discografiche ti supportavano davvero, non ti dicevano: “Ok, hai fatto un disco con noi, non hai avuto successo, sei licenziato!”. No, ti dicevano, “Ok, non hai avuto successo, ma noi crediamo in te, crediamo nella tua musica, per cui ti daremo un’altra possibilità” e poi un’altra, e poi ancora un’altra… senza questa mentalità molte bands che oggi sono così famose non sarebbero mai esistite. Questa è la grande ingiustizia di oggi, che le giovani bands non hanno la possibilità di crescere, di migliorare, perché gli viene data una sola possibilità. Anche se col primo disco vendi 10 milioni di copie e con il secondo solo un milione, sei fuori comunque, e questo è veramente spiacevole, è la cosa peggiore!

Con tutto quello che hai fatto e che hai visto, non ti è mai venuto in mente di poter scrivere un libro sulla tua vita?

In realtà l’ho praticamente già scritto e prima o poi verrà anche pubblicato, il problema è quando riuscirò a trovare il tempo pera farlo! Rudy ha già finito il suo, è la vera storia di quello che accadde con Randy Rhoads e Ozzy, verrà pubblicato in settembre e sarà un grande libro, io l’ho già letto e lo trovo molto vero… Rudy potrebbe anche essere il primo a dirvi quanto sia difficile il processo di scrittura, perché è un lavoro molto personale, occorre mettere la musica da parte e concentrarsi completamente su quello! Quando riuscirò a fermarmi per tre mesi allora forse troverò il tempo per finirlo, ma preferisco prima fare musica, e poi mettermi a scrivere!

Intervista a cura di Luca Franceschini

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