PAIN (Peter Tägtgren)

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Noto ai più come il leader incontrastato dei death metallers svedesi Hypocrisy, Peter Tägtgren si è saputo ritagliare, nel corso degli anni, una discreta fama come produttore (Dark Funeral, Celtic Frost, Dimmu Borgir e Therion sono solo alcune delle sue produzioni). Non tutti, però, lo conoscono anche come cantante, compositore e musicista tuttofare nei Pain, una one man band caratterizzata da un sound orientato al gothic, ad un certo tipo di heavy metal classico e di industrial e comunque sensibilmente diverso da quello degli Hypocrisy. Proprio dei Pain e del nuovo, eccellente album “Psalms Of Extinction”, abbiamo parlato faccia a faccia col loquace Peter, che non si è fatto pregare per snocciolare informazioni ed aneddoti riguardanti la propria esperienza e le proprie ispirazioni.

Peter, 5 album con i Pain non sono pochi, se consideriamo che il tutto era partito come progetto parallelo...
“In effetti ormai sono passati 10 anni da quando ho iniziato. All’epoca, si trattava più che altro del mio desiderio di provare a creare qualcosa di diverso dagli Hypocrisy, volevo scrivere musica nuova, che avesse meno growling, fosse più melodica e più classicamente heavy metal. Per me è sempre stato un processo di sperimentazione e di apprendimento, è per questo che continuo ancora oggi a fare dischi col nome Pain.”

Ti posso chiedere cosa ne sarà degli Hypocrisy nel prossimo futuro?
“Attualmente ci stiamo prendendo un periodo di pausa, in fondo abbiamo fatto ben cinque tour di fila (tre americani e due europei) negli ultimi tempi, quindi dovevamo prenderci una vacanza! Horgh (batterista, nda) parteciperà ad alcuni festival con gli Immortal e io nel frattempo mi concentrerò sui Pain. Quando sarà il momento giusto di riprendere l’attività con gli Hypocrisy lo faremo. Sicuramente non è finita, avevamo solo bisogno di ricaricare le batterie, per così dire.”

Ascoltando “Psalms of Extinction” emerge non solo una grande varietà musicale, ma anche un buon lavoro vocale da parte tua.
“Sì, anche perché non ho alcuna intenzione di suonare la stessa musica degli Hypocrisy con i Pain. Gli Hypocrisy hanno una loro identità e intendo mantenerla, sia che si tratti di death metal, black metal o doom, in ogni caso quella band rappresenta il mio lato artistico più brutale. I Pain, come ho detto prima, sono un progetto molto più sperimentale, che mi impegna in maniera decisamente diversa, sia come produttore in studio che come compositore. I fans degli Hypocrisy non dovrebbero andare a comprare un album dei Pain pensando di sentire la stessa musica, ne resterebbero delusi.”

Sappiamo che utilizzi delle tecniche abbastanza inusuali in studio, ce ne vuoi parlare?
“Certo, delle volte ho creato dei loop con la chitarra o perfino con la voce, che poi veniva divisa e distorta in modo da creare degli effetti particolari. Ho anche usato il suono di una porta che sbatte per farne la cassa della batteria! È un processo lungo e a volte un po’ frustrante, ma è davvero divertente. Ascoltare, alla fine, il risultato di questi esperimenti da una grande soddisfazione: non si tratta certamente di un tipo di sound convenzionale! Per è importante provare nuove soluzioni, c’è sempre qualcosa da imparare creando i miei loop casalinghi o inventandomi un suono di tastiera distorto, facendolo passare attraverso un amplificatore Mesa Boogie per chitarra. Io sono uno di quei musicisti che si stanca molto presto di usare gli stessi suoni, così ho sempre avuto la tendenza a sperimentare a fondo con le mie attrezzature. Per fare un esempio, quando ho aperto il mio studio di registrazione, anni fa, ho comprato un amplificatore e sono rimasto per giorni interi, non saprei nemmeno dire quanti, a cercare in modo maniacale di ottenere il suono perfetto per me. Ho provato tutte le combinazioni possibili di volumi, microfoni ed effetti, fino a quando non ho ottenuto il risultato che desideravo per l’album che stavo registrando in quel momento. Dopo di che, non ho fatto altro che vendere l’amplificatore, comprarne un altro e ricominciare tutto daccapo! Questo, per farti capire come io abbia sempre voglia di cercare nuove sfide e nuove soluzioni, lo trovo estremamente stimolante.”

Un aspetto molto positivo del nuovo album, come dicevo prima, è la varietà delle canzoni, fra cui spicca senz’altro una splendida cover di “Play Dead” di Bjork: cosa ti ha indotto a scegliere una canzone tanto particolare?
“Si tratta di un brano che ho sempre amato, fin da quando era stato pubblicato sull’album ‘Debut’ di Bjork. Lei è un’artista molto stravagante e questa è la sua qualità migliore, le sue melodie sono originali, diverse da quelle di qualsiasi altro cantante al giorno d’oggi. Quando ho ascoltato per la prima volta quella canzone ne sono rimasto affascinato e questo ha fatto sì che mi rimanesse in testa per parecchio tempo. Prima di lavorare a ‘Psalms Of Extinction’ stavo per realizzare un album di cover, che mi permettesse di concludere il contratto con la Universal e liberarmi subito dopo. La prima cover che mi era venuta in mente era proprio ‘Play Dead’ e desideravo interpretarla rispettandone sia la struttura che le melodie e l’atmosfera. L’avrei solo voluta rendere un po’ più dark e heavy rispetto all’originale, ma ho cercato comunque di non snaturarla. La parte più difficile da realizzare è stata l’arrangiamento orchestrale, che è abbastanza complesso e quindi rappresentava una di quelle sfide artistiche di cui parlavo prima. Quando poi mi sono trovato a doverla cantare, avevo paura di metterci anni per riuscire rendere giustizia alla canzone, ma per fortuna le cose sono andate piuttosto bene. Avendolo ascoltato per tante volte in quindici anni, alla fine è risultato il brano più facile da cantare su questo disco, anche se all’inizio avrei giurato che sarebbe stato decisamente il più difficile.”

Pensandoci bene, questa cover contrasta fortemente con quella che avevi fatto anni fa di “Eleanor Rigby” dei Beatles, che invece era stata abbastanza stravolta rispetto all’originale, ottenendo comunque un risultato superbo…
“Sì, è vero, considero ‘Eleanor Rigby’ come la prima canzone gothic mai registrata, visto che risale a metà degli anni ’60. Era un brano molto triste, come ‘Play Dead’, ma ovviamente con un arrangiamento del tutto diverso, dato che comprendeva solo violini, violoncelli e strumenti del genere. Ebbi allora l’idea di rifarla alla mia maniera, il che portò ad una versione sensibilmente diversa, anche se abbastanza riconoscibile. Personalmente, quando ascolto una cover, mi piace comunque riconoscere l’originale. Apprezzo chi riesce ad interpretare un pezzo a modo proprio, ma penso che almeno le parti salienti, come ad esempio il refrain, dovrebbero quanto meno restare fedeli all’originale. Altrimenti, non avrebbe senso suonare una cover, se si deve finire per stravolgere del tutto il brano: a quel punto, sarebbe più giusto cambiare anche il testo e il titolo e farne una canzone propria!”

Riguardo ai temi che affronti sull’album, sembrano essere tutti piuttosto negativi, ma mi è parso di cogliere un certo ottimismo, fra le righe di alcuni testi: mi sbaglio?
“Non del tutto: credo che ogni volta che uno scrive una canzone apparentemente negativa, ci sia sempre qualcosa di positivo, che può essere magari qualche melodia o altre piccole cose. Nei miei testi, descrivo certe situazioni dal mio personale punto di vista, senza per questo voler forzare nessuno a credere in ciò in cui credo io. Se c’è qualcosa che urta la mia sensibilità, ne parlo nei testi con molta franchezza, per me è un po’ come andare dallo psichiatra: invece di sedermi e parlarne, scrivo il testo di una canzone e in questo modo, mi tolgo un peso. Per esempio, ‘Nailed To The Ground’ parla della mia situazione con la Universal e di come non facessero nulla per promuoverci adeguatamente, ma potrebbe adattarsi anche a situazioni più personali, come essere sposati con una persona che ci ha stancato, avere un lavoro deprimente ma doverlo tenere per forza, ecc.. In altre parole, descrive la sensazione di essere imprigionati in una determinata situazione e non sapere come uscirne. ‘Zombie Slam’, dall’altro lato, è un pezzo che parla di zombies, ovviamente, ha un feeling gotico e potrebbe perfino essere definita come una rock’n’roll party song… Non mi vergogno certo a comporre cose del genere, in fondo sono cresciuto anche con musica dal mood più leggero ed è un tipo di canzoni che mi piace ancora molto, sono adattissime per stare in compagnia e bersi una birra facendo casino! Per dirne una, mi è sempre piaciuta tantissimo ‘Fight For Your Right’ dei Beastie Boys: non amo il rap, è un genere che proprio non riesco ad apprezzare, ma loro erano riusciti a mischiarlo col metal in maniera molto convincente. La mia fortuna è stata di crescere ascoltando tantissimi tipi di musica diversi, i miei genitori amavano qualsiasi cosa, dai Beatles ai Led Zeppelin, mentre mio fratello mi faceva continuamente sentire gruppi come gli Sweet e i Kiss. Sono arrivato ad apprezzare qualsiasi tipo di rock e di metal, dagli anni ’70 in poi, il che mi ha permesso di avere la mente più aperta e di comporre in stili diversi fra loro. Sono molto soddisfatto del mio lavoro, in fondo lo faccio per esprimere me stesso e se alla gente piace, ne sono felice.”

Abbiamo poi una canzone decisamente particolare, come “Just Think Again”…
“…che, sinceramente, non sapevo nemmeno se includere nell’album. Era talmente diversa da tutto il resto del disco, che mi sembrava quasi fuori posto. Tutto è iniziato quando ho messo insieme alcuni riff orchestrali, che hanno finito per creare un pezzo di più di otto minuti. A quel punto, ho pensato che i Pain non c’entrano nulla con le canzoni epiche, ho messo in piedi questo progetto con l’idea di suonare cose più essenziali, con ritmiche alla AC/DC e chitarre alla Pantera, quindi ho voluto rielaborare il brano, finendo per farlo durare sei minuti. Successivamente ho scritto il testo e ad un certo punto mi sono bloccato, perché non riuscivo ad inserire delle melodie vocali convincenti in una determinata parte: avevo bisogno di un assolo di chitarra. Se lo avessi suonato io, sarebbe stato estremamente noioso e non avrebbe reso giustizia al pezzo, per cui, siccome conosco da dieci anni Alexi Laiho dei Children Of Bodom, mi sono rivolto a lui. Gli ho chiesto di suonare un assolo secondo il suo stile, ma cercando magari di seguire la melodia dei violini. Il risultato è stato ottimo e anzi, ha quasi cambiato la fisionomia della canzone, rendendola simile, anche se in minima parte, alle metal ballads degli anni ’80. Tutto sommato, ho pensato alla fine di poterla includere sul disco, anche perché contiene un testo piuttosto forte, che ho scritto pensando a tutti quei bambini che muoiono in ogni parte del mondo, a causa della fame e di altre schifezze… e cosa fa la gente comune quando sente parlare di queste cose al telegiornale? Cambia canale! Questo mi ha portato a scrivere delle parole intense dal punto di vista emotivo, che hanno finito per adattarsi bene al contesto dell’album. Nella canzone c’è anche un estratto da un reportage della CNN a proposito di una ragazza, vittima della guerra in Cecenia, che raccontava come i suoi figli erano stati uccisi in pubblico e come lei era stata stuprata dai soldati nemici. Una storia tristissima, che a suo tempo mi ha colpito molto.”

Un altro brano interessante dal punto di vista lirico è “Computer God”.
“Questo parla dell’avanzamento inarrestabile della tecnologia, una cosa pazzesca. Oggi con il computer si può fare tutto: collegarsi alla propria casa, lavorare, pagare le bollette, ordinare da mangiare, addirittura fare sesso… Non c’è più bisogno di muoversi da casa, basta avere una buona riserva di carta igienica e sei a posto! La tecnologia è una cosa positiva, ma mi sono chiesto cosa succederà nel momento in cui sarà il computer a prendere il sopravvento e a comandare definitivamente le nostre vite. È una storia di fantascienza, in fondo, ispirata a film come ‘Wargames’, in cui un ragazzino si infiltra nei sistemi dell’esercito e i computer iniziano a vivere di vita propria, scatenando una guerra virtuale ma inquietante. Ancora una volta, si tratta dei miei pensieri personali, che riflettono il timore di cosa succederebbe se ci lasciassimo sfuggire le cose di mano. In fondo, se ci pensi, alcune cose che quarant’anni fa sembravano roba da fantascienza, oggi sono realtà: nella prima serie di ‘Star Trek’, degli anni ’60, gli astronauti comunicavano con un dispositivo tascabile… che altro è se non un telefono cellulare?!”

Parlando di concerti, chi ti accompagnerà dal vivo questa volta?
“Con me ci saranno André Skaug dei Clawfinger al basso, un vero animale da palco, Michael Bohlin degli 8th Sin alla chitarra e David Wallin alla batteria, un musicista prevalentemente fusion ma in grado di interpretare il metal alla perfezione. Cercheremo di partecipare a diversi festival estivi, dopo di che, verso settembre e ottobre faremo da supporto ad un gruppo più famoso di noi e contiamo di toccare anche l’Italia, anche se non c’è ancora niente di confermato. Sarei comunque sorpreso di non venire a suonare da voi, anche perché faremo un altro tour europeo entro la fine dell’anno.”

Intervista a cura di Michele 'Freeagle' Marando

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