Pain of Salvation: a very Progressive Interview

..dov’eravamo rimasti? Ah si, un ragazzino biondo ci si avvicina e ci porta nel “camerino” dei Pain of Salvation. L’ora però è tarda, i ragazzi devono ancora cenare e non possiamo fare certo un’intervista in 5 minuti. Che si fa? E’ a quel punto che Daniel ci guarda e ci dice “Ma non è che volete venire a mangiare con noi? L’intervista la facciamo al ristorante!”, i nostri occhi si illuminano come bambini la notte di Natale e con un timido “Si!” ci uniamo a loro per la pizza più indimenticabile di sempre!
Ed è sulla strada per il ristorante che la nostra intervista ha inizio, per continuare al ristorante stesso e per finire di nuovo nel camerino, per un’ora e mezza di risate e “magia musicale”.

Partiamo dal futuro. So che il vostro nuovo album sarà completamente acustico e che il titolo previsto è “Clean”..
Daniel: Esatto, sarà un album acustico, anche se “Clean” è più un titolo provvisorio ad ora..tra parentesi, come diavolo fate a saperlo? (ride)
Abbiamo le nostre fonti! A riguardo, in un’intervista hai dichiarato di essere stanco dei suoni tipicamente ultra-moderni..
Daniel: Si, in effetti si. L’album acustico tra l’altro è un’occasione per dare una nuova veste ai vecchi pezzi, lavorarci su per modificare qual cosina e renderlo da un certo punto di vista ancora migliore, sicuramente diverso. Ed è una cosa davvero interessante da fare.
Ci sono pezzi provenienti da ogni vostro album?
Daniel: Mmm sai che non lo so? Aspetta..
(Qui Daniel si perde in una discussione con il tastierista Daniel Karlsson sulla provenienza dei pezzi, che non arriva a una vera conclusione..)
Ecco, come vedi abbiamo il TOTALE controllo su quello che facciamo! (ride)
No la realtà è che siamo in vacanza e quindi stiamo pensando poco al lavoro. Dopo questo concerto torneremo a casa, prima della tournée sudamericana, di conseguenza stiamo ricaricando le batterie.
Questo album acustico può essere considerato un po’ come un’alternativa ai classici “Best Of”?
Daniel: Ah non lo so in realtà..abbiamo realizzato “12:5” (loro primo album live ndr) quasi 10 anni fa e ancora lo ascolto volentieri, ma se devo dire la verità preferisco la nuova veste degli ultimi brani che abbiamo scritto. Li la voglia era di riportare su disco l’energia del live, con questo album acustico invece vogliamo fare un lavoro totalmente diverso, e vogliamo farlo molto minuziosamente. Il disco uscirà nel 2021..no scherzo, l’idea iniziale è Febbraio 2013, a meno di imprevisti nel frattempo. Dovrete avere un po’ di pazienza ma ne varrà senza dubbio la pena, ve lo prometto!
Riguardo la canzone “L’Assenza” realizzata con gli italiani Tristema, ci puoi dire come li hai conosciuti?
Daniel: Guarda, mi viene richiesto molto spesso di cantare o suonare su qualche album, e solitamente sono progetti prog per i quali non ho tempo o interesse. Sarò brutale, non avevo mai sentito nulla dei Tristema prima della nostra collaborazione..ho il loro disco, ma non li conoscevo. Quando mi vengono fatte queste proposte cerco di capire principalmente se con la mia voce posso aggiungere qualcosa alla canzone, altrimenti preferisco non fare nulla. Con la loro canzone pensavo di poterlo fare quindi..l’ho fatto.
Hai avuto anche l’occasione di collaborare con un altro italiano, Daniele Liverani, sul suo progetto “Genius”, interpretando tra l’altro uno dei protagonisti della storia, Twinspirit #32. Anche qui, com’è nato il tutto?
Daniel: Ecco, qui la storia è differente. Quello di Daniele è stato il primo progetto esterno nel quale mi è stato chiesto di cantare ed ero veramente eccitato a riguardo, anche se come nel caso precedente avevo davvero poco tempo a disposizione, essendo molto preso con i Pain of Salvation. Ma è stata un’esperienza molto particolare, mi piacciono i concept album e pur essendo un lavoro prettamente prog, l’ho apprezzato. Tra l’altro sul disco cantava anche Eric Martin dei Mr.Big, che stimo molto come artista.
Un’altra delle tue collaborazioni è stata sull’album “01011001” degli Ayreon di Arjen Lucassen..
Daniel: Oddio, come fai a ricordarti quel titolo a memoria? Ci ho provato ma è complicato! Tra l’altro, ti sei studiato la mia biografia? (ride)
Scherzi a parte, anche in quel caso il problema principale era il tempo. Ma Arjen è stato disponibilissimo, mi ha detto “Tu devi assolutamente cantare sul mio disco”, è venuto a casa mia e in una sera abbiamo registrato tutto. E’ una persona grandiosa, ci siamo divertiti un sacco insieme e sono felice di aver collaborato con lui.
Che rapporto hai con questi lavori di stampo quasi operistico, con diversi cantanti e una storia che si dipana lungo tutto l’album?
Daniel: Ti dirò, mi piace tantissimo cantarci sopra ma non ne farei mai uno mio. Mi piacciono ma fino a un certo punto, anche perché il rischio che diventino esageratamente pomposi è molto alto..il fulcro di un album deve rimanere sempre la musica. Se proprio dovessi fare qualcosa del genere mi allontanerei totalmente dal mondo metal..farei più qualcosa di hard rock, anni ’70..insomma, un po’ la direzione che hanno preso i nostri ultimi album.

A questo punto arrivano le pizze e la serata prosegue parlando del più e del meno..l’intervista continua sulla strada verso il camerino e nel camerino stesso..

”Disco Queen” è una canzone che adoro, nella sua estrema particolarità..
Daniel: Si? Aspetta, ripetilo a Ragnar (ZSolberg, chitarrista della band ndr)!! Devi sapere che lui la odia..dice che è troppo “disco”, ma non capisce che in realtà è una canzone dall’anima oscura, che parla di sesso..

Il ristorante sta chiudendo e ci vediamo costretti a proseguire l’intervista in strada, tornando verso il camerino..

I due “Road Salt” sono decisamente più soft rispetto al passato, riprendono un pò le tue radici settantiane..so che suonavi in una band cover dei Kiss..
Daniel: Si è vero..il fatto è che, come dicevo prima, sentivo il bisogno di cambiare, di allontanarmi un po’ dal metal moderno e volevo realizzare un album diverso, assolutamente senza compromessi, prendendomi magari anche il rischio di non andare incontro ai gusti del pubblico. Ma l’ho fatto, volevo farlo e l’ho fatto.
Ogni vostro album è un concept. Come mai questa decisione?
Daniel: Non è una vera e propria decisione, è tutta colpa del mio cervello! Quando scrivo le canzoni cerco sempre di trovare collegamenti tra di loro, mi viene naturale..non penso che riusciremmo mai a fare un disco che non sia un concept.

Arriviamo nell’edificio comunale adibito a camerino e troviamo la porta chiusa..per fortuna arriva Gustaf Hielm, bassista della band, che ci apre..

Daniel: Un’intervista fatta in così tanti posti diversi non mi era mai capitata! Stavamo parlando dei concept giusto? Ecco, faccio un paragone coi libri: mi piacciono diversi generi letterari, ma quelli che preferisco sono i romanzi, quelli con una lunga storia, un background, decisamente complessi. Un inizio, una continuazione, una fine. Si può fare questo paragone con la musica, per me un concept è un romanzo, dove ogni canzone è un capitolo. E attraverso le varie canzoni, così collegate tra di loro, si riescono a creare delle emozioni più forti a mio modo di vedere, un po’ come una persona si affeziona ai personaggi di un romanzo. Di conseguenza richiamare una melodia di una canzone precedente è un modo per risvegliare in chi la ascolta dei ricordi buoni o cattivi. Posso fare ciò che voglio della “storia”, posso fare in modo che 1+1 faccia 3..ecco perché il concept mi viene così naturale.
Possiamo tornare un attimo a “Disco Queen”? Mi stavi dicendo che è una canzone oscura in realtà, prima di essere interrotti..
Daniel: La canzone in realtà era ancora più folle la prima volta che l’ho portata in sala di registrazione, gli altri mi guardavano come se fossi un alieno venuto da chissà dove. Era triste e dall’animo oscuro. Poi l’abbiamo un po’ aggiustata, per renderla più..facilmente assimilabile. All’inizio era veramente un mix di influenze totalmente diverse tra loro, dai Meshuggah agli ABBA, tanto per farti un esempio. Mi piace il fatto che le canzoni e le idee siano mutevoli. Un po’ come i Pink Floyd, quando in principio pensavano di suonare l’intero album “The Wall” nascosti dietro a un muro, senza mai mostrarsi al pubblico. Da quell’abbozzo di idea è poi nato lo spettacolo messo in mostra, ovvero la lenta e costante costruzione del muro durante tutto lo show, un mattone alla volta. Ed è un’idea che non sarebbe mai nata probabilmente, se non ci fosse stata quell’iniziale visione folle. E’ questo il modo in cui mi piace lavorare e comporre.
Da un punto di vista del testo invece ho lavorato davvero parecchio per rendere possibile una doppia visione della situazione da parte dell’ascoltatore, così che ognuno potesse interpretarla a suo piacimento.
Mi piace davvero il testo di “Sisters”..mi emoziona parecchio ascoltarla..
Daniel: Tipo stasera? (ride) Stasera è stato un po’ un disastro in effetti..per alcune canzoni abbiamo delle tracce pre-registrate che dovrebbero partire mentre canto..il fatto è che te lo devi ricordare e io non me lo ricordavo affatto! Me ne sono accorto troppo tardi e..vabbè, abbiamo dovuto rifare la canzone. Solitamente se accade un imprevisto preferisco non ricominciare la canzone dal principio, aspetto che le cose si sistemino da sole, ma stavolta era proprio necessario, proprio perché “Sisters” è una canzone estremamente emozionale e necessita di essere suonata per intero, nel modo giusto. L’unico modo.
Una domanda tecnica: fai qualcosa di particolare per scaldare la tua voce o le tue dita prima di un concerto?
Daniel: Per le dita..oh insomma, ma che domande sono? Sono affari miei quello che faccio con le dita prima del concerto! (ride)
No in realtà non faccio assolutamente nulla per scaldarmi, anche se è una cosa abbastanza stupida per le mie corde vocali, ma ormai ho 39 anni quindi il danno è fatto! Quindi no, mi dispiace ma non ho nessun trucchetto da insegnarvi.
Nel mondo musicale, c’è qualche musicista in particolare che puoi definire un amico, con il quale ti senti spesso o hai più piacere a suonare?
Daniel: Beh sono molto amico dei Flower Kings e di Roine Stolt, coi quali ho avuto l’occasione anche di cantare. Mi piace molto la compagnia di Mike Portnoy, di Paul Gilbert..anche di Peter Wildoer, tutte persone davvero molto piacevoli. Ma è molto difficile rimanere in contatto con altri personaggi del mondo della musica.
Gli amici che ho dall’infanzia sono tutte persone che hanno una mentalità differente, sono persone con le quali posso non parlare per 10 anni e quando le incontro è come se fossero passati 2 giorni.
Sono amicizie e rapporti di tipo diverso e tendo a mantenere le due cose separate.
Come vi è venuta l’idea di suonare al “Melodifestivalen” (una specie di Amici svedese ndr)?
Daniel: E’ stata una cosa davvero divertente! So che nel resto dell’Europa non è una cosa così famosa, ma in Svezia lo è davvero tanto. E il resto dei musicisti in Svezia tende a snobbarlo o addirittura disprezzarlo, quindi..dovevamo assolutamente andarci!
A parte gli scherzi è stata un’esperienza davvero molto interessante, dove comunque molti giovani hanno un’opportunità per mettersi in mostra. E’ diverso da quando abbiamo iniziato noi, quando ancora Internet era agli albori. Noi poi suonavamo qualcosa di molto particolare, di elitario, quindi è stato molto più difficile. Ma penso che alla fine abbiamo fatto un ottimo lavoro, il disco all’epoca venne eletto “disco dell’anno” quindi per noi è stata una grandissima vittoria. Ci piacciono le sfide insomma.

A questo punto il batterista della band, Leo Margarit, si unisce alla conversazione

Leo: Aver suonato in quel programma è stata proprio una sfida con noi stessi e con la Svezia, perché è un programma decisamente “pop” ma ci hanno permesso di suonare la nostra musica, con “Road Salt”. E’ stato un modo per presentare la nostra musica ad un pubblico molto più vasto, abituato tra l’altro a tutt’altro tipo di canzoni.

Daniel: Tra l’altro io ero molto preoccupato non tanto dal punto di vista musicale e di come la nostra canzone sarebbe stata percepita, quanto piuttosto dal contorno: video, luci, vestiti..insomma, avremmo dovuto suonare in uno studio televisivo e all’interno di un programma, è completamente diverso rispetto al suonare su un palco!
Ma abbiamo avuto davvero una libertà totale sotto ogni punto di vista, non siamo stati noi a doverci adattare ma sono stati loro ad adattarsi a noi, dimostrando in questo grandissima disponibilità e rispetto.
Una cosa che ho notato, e che mi ha fatto parecchio sorridere, è stata la diversità delle tempistiche, in particolare per le prove: siamo rimasti li 2 o 3 giorni in tutto e ogni giorno provavamo un paio di volte, oltre a fare qualche intervista. E c’erano alcuni dei ragazzi che suonavano con noi che si lamentavano di avere troppo da fare. E io che pensavo “Troppo da fare?!? Provare la canzone due volte al giorno è troppo?!? Cos’ho sbagliato nella mia vita?!?” (ride)
Diamine, è praticamente un concerto di 3 minuti, con tutti gli strumenti pre-registrati sotto, bisogna solo cantare! Fai i tuoi 3 minuti e sei apposto! Questo mi ha fatto dannatamente sorridere..è davvero un modo diverso di intendere la musica.
Ma lo rifarei, è stato davvero divertente!
Tra l’altro penso che siamo stati la band che è costata meno in assoluto al programma dal punto di vista dell’abbigliamento, dato che ci siamo portati tutto da casa! Avevo uno zaino con i miei “pantaloni da palco”, sono quelli che hai visto anche stasera, tutti strappati! Ma ci sono affezionato e li ho portati anche li..non abbiamo chiesto nulla a loro.
Mi ricordo che un giornale scrisse che avevo questi pantaloni che avevo volutamente strappato..ma in realtà erano DAVVERO strappati, una volta erano interi! Sono come un 14enne che si sbuccia le ginocchia, non riesco a stare fermo. Ci ho fatti davvero un sacco di concerti con quei pantaloni..hanno praticamente più buchi che stoffa!
Anche per le luci: tutti avevano delle luci psichedeliche, effetti strabilianti..noi siamo stati minimalisti, un sistema di luci che richiamava la luce del sole al tramonto e basta. Mi immagino la gente a casa, che si aspetta qualcosa di particolare e estremo da un cosiddetto “gruppo metal” e si vede noi..che tra l’altro cantiamo più dei canonici 3 minuti! Sarà stata un’epifania per loro! (ride)

E su questa rivelazione si chiude l’intervista più lunga e complicata della storia. Un concept, praticamente! Scherzi a parte, è stata davvero un’esperienza fantastica al cospetto di una persona altrettanto fantastica e estremamente disponibile qual è Daniel Gildenlow. See you next time Daniel!

Quoth the Raven, Nevermore..

P.S. In calce si può mettere un solo nome ma i meriti dell'intervista vanno equamente divisi con Laura Archini!
Intervista a cura di Andrea Gandy Perlini

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 26 set 2012 alle 17:19

Ah sul diversa dal solito siamo tutti d'accordo direi, poco ma sicuro :D Sul resto..personalmente i due Road Salt mi emozionano più del resto. Non perchè siano più belli (TPE o Entropia per me sono a un livello superiore), ma a livello emozionale sono un'altra cosa. Una canzone come "Sisters" ti entra nel cervello e nel cuore e ti sconvolge dalla prima all'ultima nota, ne esci diverso, cambiato. Se ti lascia indifferente, allora i PoS non sono più il gruppo che fa per te (te inteso in senso generale, non mi riferisco a te in persona sia chiaro :D )

Inserito il 26 set 2012 alle 13:39

devo riascoltarmi i due road salt! all'inizio ne fui delusa perchè li sentivo mancare di quell'emozionalità che caratterizzava tutti gli altri episodi della band! Forse però si cela in forme che non sono riuscita a percepire... gran bella intervista comunque! Spontanea e diversa dal solito! ^^

Inserito il 25 set 2012 alle 09:14

Guarda la domanda era effettivamente prevista, poi tra una cosa e l'altra siamo andati veramente lunghi e non gliel'abbiamo fatta. Anche se Daniel secondo me sarebbe andato avanti a parlare per ore :D I nuovi mi hanno fatto tutti un'ottima impressione, sia dal punto di vista umano che tecnico, soprattutto il batterista Leo Margarit, che è stato anche l'unico ad interessarsi all'intervista, rimanendo ad ascoltare e intervenendo pure qualche volta. In generale comunque mi son sembrati davvero molto affiatati.