Ammetto che prima di imbattermi in questo nuovo EP dei
Voodoo Johnson non avevo la più pallida idea di chi fossero, quindi quando il primo brano “Dogs of war” inizia a fuoriuscire dalle casse rimango quasi inchiodato alla sedia…. Minkia che sound!!! Un pezzacchione pieno zeppo di groove, con chitarroni stoner e batteria andante, e su tutto la voce del nuovo arrivo Nik Taylor-Stoakes, potente e armoniosa. Ben impressionato da un inizio di questo tipo mi accingo ad ascoltare gli altri quattro brani presenti con le migliori prospettive, e fortunatamente anche la successiva “Swear it to the sun” si mantiene su buoni livelli, anche se già qualcosa inizia a trapelare, con quel refrain davvero troppo troppo commerciale, alla Nickelback, per capirci, e questo non è certo un complimento, anche se i riffoni continuano a tritare tutto, grazie soprattutto ad un’ottima produzione, particolarmente attenta proprio al sound delle due chitarre… Purtroppo, però, qualcosa si rompe negli equilibri dell’EP con l’arrivo di “United divided”. Dove sono finiti i chitarroni? Perché questo brano non c’azzecca nulla con i precedenti due? Perché suona così leggero e volutamente moderno e per le masse, così volutamente indie? Uhm, quale sarà a questo punto la vera anima della band? “The garden” non chiarisce certo le idee, visto che si tratta di un brano acustico che disorienta ulteriormente. Sta quindi alla conclusiva “Black skies mist” decidere definitivamente dove far pendere l’ago della bilancia. Pur indurendosi leggermente di nuovo (è stata scritta insieme a Brian Tatler dei Diamond Head), il sound resta in ogni caso troppo ruffiano e indie, e va a screditare quanto di buono ascoltato nei primi due brani. Insomma, si sa che è sempre complicato giudicare una band solo da un EP, troppo pochi gli elementi a disposizione, meglio aspettare il prossimo full length. Per ora, però, se proprio devo sbilanciarmi, devo dire che tutto l’entusiasmo iniziale è scemato completamente e ho l’impressione che il prossimo album avrà quasi sicuramente la piega della seconda parte di questo mini. Il che non depone certo a favore della band, che evidentemente predilige la strada più facile e commerciale a quella più complicata ma sicuramente più ricca da un punto di vista dei contenuti. D’altra parte si sa, l’indie rock (che cosa odiosa, dio mio) e tutto il nuovo finto rock commerciale sono sicuramente più redditizi di un genere di nicchia come lo stoner… Peccato, avrebbero potuto fare buone cose in quell’ambito…
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