Qualche giorno prima di sapere che avrei avuto la possibilità di esaminare per il
glorioso pubblico di
Metal.it questo disco dei miei amati
Fate, avevo “ripassato”, senza “secondi fini”, la loro brillante discografia (adeguatamente riassunta, tra l’altro, nel “Best of …” dell’anno scorso), ricavandone la consueta dose di cristallina soddisfazione melodica.
Ecco, se volete valutare con la
massima serenità il nuovo prodotto della formazione danese direi che quella appena descritta è un’operazione da eludere, proprio per evitare che quei
fantasmi del passato evocati nel titolo del disco finiscano irrimediabilmente per contribuire a sminuirne le qualità.
I “vecchi” Fate, il cui unico collegamento è oggi rappresentato da Peter Steincke, erano una
band illuminata da un’ispirazione fresca e accattivante, che anche nella prova più recente del 2006 aveva saputo mantenere una notevole forza espressiva, conservando un’imprescindibile vivacità compositiva.
Ebbene, la “nuova” versione del gruppo, pur abilmente pilotata dall’eccellente prestazione del
vocalist delle Isole Faroe Dagfinn Joensen e dalla funambolica chitarra di Torben Enevoldsen (già visto in Section A e Fatal Force), sembra aver smarrito un po’ di quella
verve, di quella componente “prodigiosa” che allontana lo spettro del
manierismo e consente di conquistare fatalmente il cuore e il cervello di ogni
melodic rocker che si rispetti.
Ciò non toglie che “Ghosts from the past”, preso a “sé stante”, sia un album piuttosto ben fatto, realizzato, come anticipato, da ottimi musicisti, capaci di ammantare di tecnica, buongusto e classe le loro esibizioni … il problema è che dai
migliori ci si aspetta sempre il
meglio (e scegliendo di mantenere un
monicker così importante i nostri devono aver messo in conto tal inevitabile “rischio” comparativo, ritenendolo verosimilmente meno rilevante dell’attrattiva esercitata sugli estimatori del genere), e qui le cadute di tensione sono effettivamente un po’ troppe anche solo per garantire un livello competitivo veramente degno della
sfidante generosità della scena melodica attuale.
Le notizie più incoraggianti arrivano da “Children of the night”, “Miracle”, "At the end of the day”, “All that I want”, “The last time” e dalla pomposa "Daddy’s girl”, contrassegnati da melodie taglienti, ariose e raffinate in pieno ardore scandinavo, abbastanza riuscita appare la ballad "Follow your heart” e anche l’esercizio “enfatico” in odore Rainbow / Malmsteen di “Fear of the stranger” emerge in maniera gradevole, sebbene si dimostri leggermente avulso dal contesto generale.
“Ghosts from the past” sorvola la
mediocrità più sconfortante, ma non ci restituisce pienamente la “magia” di una
band che come poche altre ha saputo coniugare con soverchia dinamicità vigore ed eleganza, e per questo sarà apprezzato maggiormente da chi, avendo meno legami con quel favoloso passato, non dovrà fare i conti con quell’ineluttabile massa di
pregiudizievoli e altrettanto
lecite aspettative.
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