Non c'è due senza tre, e il quattro vien da se. E il cinque? Se lo stanno SICURAMENTE chiedendo anche Herman Li e soci, all'alba dell'uscita del nuovo "
The Power Within". E il cinque è un gran bel disco, rispondo io, degno successore dei primi due lavori del combo inglese e ben lontano da quella schifezzuola che è stato "
Ultra Beatdown", il quale mi aveva fatto un po' allontanare dalla band più veloce del west.
E invece "
The Power Within", fin dai primi istanti dell'opener "
Holding On", mi riporta ad apprezzare una band dalla doppia faccia, nel senso che o la ami o la odi. Non ci sono mezze misure quando si parla dei
Dragonforce, c'è chi li ama alla follia e li descrive come gli innovatori del power/speed e chi li critica sempre aspramente per essere semplicemente delle marionette in mano alla chitarra di
Herman Li, che più che assoli da videogioco non sforna.
Personalmente mi son sempre schierato assieme ai primi, magari non definendoli degli innovatori ma stimando e apprezzando molto la tecnica e l'abilità degli inglesi, in particolare quella delle due asce di Li e
Totman, che pur nel loro essere pacchiani e quantomai sfrontati sono sempre riusciti a tirar fuori qualcosa di buono e di intrigante.
E sul nuovo disco ecco apparire una nuova stella, dietro quel microfono che ospitava fino a poco fa il buon ZP Theart, buon cantante ma niente più, che finiva con lo sfigurare accanto allo strapotere delle due chitarre, in particolare a quella di Herman. E questa nuova stella è quella del giovanissimo
Marc Hudson, cantante perlopiù sconosciuto prima di oggi, che tramite la vittoria del concorso online dedicato alla ricerca del nuovo vocalist, si è visto investire di un clamore mediatico bello grosso, caricandosi sulle spalle una bella mole di lavoro e di aspettative. Nessuna delusa.
Hudson è un cantante coi controcazzi, dotato di un range pazzesco, in grado di far impallidire i mostri sacri della scena, in particolare nei suoi acuti incredibili, come testimoniato già dall'incipit della già citata "Holding On", dove il buon Marc si esibisce nella scala già mostrata nel suo video di partecipazione al concorso di cui sopra, che già all'epoca mi aveva lasciato con la mascella a penzoloni.
E tutto il resto del disco è il solito saliscendi di emozioni e velocità, con la piacevole presenza di più canzoni dal ritmo meno indiavolato, utili a mettere in mostra tutte le armi a disposizione dei Dragonforce, ovvero il basso di
Leclercq, che finalmente si sente e non è solo una presenza sul booklet, la batteria a mille all'ora di
Mackintosh e soprattutto le tastiere di
Pruzhanov, che mai come oggi svolgono un ruolo fondamentale, donando alle composizioni degli inglesi un tocco di epicità e maestosità che era mancato negli ultimi dischi.
E quando è difficile eleggere una canzone a perla del disco, i motivi sono due: o il disco è una merda totale, oppure è talmente bello e variegato nella sua monoliticità che un picco più alto sarebbe davvero il top. Il caso di "The Power Within" è senza dubbio il secondo, un lavoro davvero eccellente ma senza quel quid che lo renderebbe un capolavoro. "
Last Man Stands" forse è l'unica traccia che prova a spezzare quell'equilibrio perfetto, non riuscendoci per poco ma risultando la canzone più immediata del lotto.
Toccante e emozionale è anche la versione acustica di "
Seasons", che permette alla voce di Marc Hudson di ritagliarsi uno spazio ancor più importante all'interno del disco, disco che ad onor del vero lo vede un pochettino in secondo piano dal punto di vista dei volumi, non per questo rovinando una prestazione sopra le righe.
Altra nota positiva del disco è senza dubbio la non eccessiva lunghezza, che permette a chi lo ascolta di apprezzare ogni singola canzone nella sua particolarità, senza confondere eccessivamente come troppo spesso accade ultimamente.
"
The Power Within" segna quindi, almeno per il sottoscritto, il ritorno dei
Dragonforce ad alti livelli. Vedremo se anche in sede live, dove peraltro non hanno mai deluso, riusciranno a mantere questi standard, in particolare nella persona di Marc Hudson, che almeno su disco si è mostrato nettamente superiore al suo predecessore. Se anche li il complesso risulterà notevole come in studio, potremo decisamente parlare di una band che ha tutte le carte in regola per ritagliarsi un presente importante e un futuro radioso.
Quoth the Raven, Nevermore..