Cosa succede quando una rivista musicale, l’inglese Classic Rock, decide di riunire alcuni nomi grossi (e quando dico grossi, intendo proprio GROSSI!!) della scena musicale mondiale per tributare uno degli album più importanti della storia del rock a quarant’anni dalla sua uscita? Succede che esce sul mercato “Re-Machined – A tribute to Deep Purple”. Già, un tributo, l’ennesimo, della lunga serie di dischi che qualche anno fa in particolare (ultimamente il fenomeno è un po’ scemato) erano croce e delizia degli appassionati di musica. Chi era pro, per sondare come si sarebbe cimentato questo o quell’artista con la versione originale del brano, e chi contro, ritenendoli o una bestemmia o nel migliore dei casi un inutile perdita di tempo. Al di là di queste considerazioni (io per esempio sono stato sempre pro), i risultati strettamente musicali sono stati sempre altalenanti, e c’hanno regalato a volte delle versioni strepitose, e a volte delle schifezze mostruose… E anche questa volta non è bastato mettere insieme nomi come Iron Maiden, Steve Vai, Metallica, Santana, Chickenfoot, Glenn Hughes o Black Label Society perché il risultato fosse scontato. Ovviamente il livello è comunque alto, ma non tutte le cover mi hanno soddisfatto appieno.
L’album si apre con “Smoke on the water”, e a rivisitarla ci pensa uno che non ha certo bisogno di presentazioni, tale
Carlos Santana. Beh, per quanto ami e stimi il chitarrista messicano, la sua è una versione troppo “latina”, nei suoni e nei fill, e finisce col risultare poco convincente. Si entra poi nel vivo della vera scaletta dell’album originale con una live version di “Highway star”, ad opera dei
Chickenfoot. Si sa, Satriani ha addirittura militato nei Deep Purple, quindi ne sa abbastanza in materia. Se la prova di Anthony e Smith è quanto mai canonica, lui si avvicina con rispetto all’assolo di Blackmore, non snaturandolo, e lasciando le sue digressioni al primo assolo, quello di organo. Quello che non convince, come sempre, è la voce di Hagar, assolutamente fuori contesto se si parla di DP.
Ancora
Chad Smith, ma questa volta con Sua Signoria
Glenn Hughes, che si cimenta con un brano che, a mia memoria, non ha mai cantato neanche quando militava nella band, e cioè “Maybe I’m a leo”, qui riproposta in maniera grintosa e impreziosita da una divagazione funkeggiante nel finale, e dalla splendida prova di ‘the voice of rock’, come sempre sugli scudi. Hagar VS Hughes: 0-1, ma non c’era certo bisogno di sottolinearlo… Arriva “Pictures of home”, nella strana e personale versione dei
Black Label Society. Il buon Zakk s’è divertito a decomporre e ricomporre a modo suo il brano, rendendolo quasi un trip tribale, dove sia la sua voce roca che la sua chitarra evitano direttamente il confronto con le prove stellari di Gillan e Blackmore, ed è meglio così…
Con “Never before”, invece, ci si sono cimentati i
King of Chaos. E chi sono i King of Chaos, direte voi? Un gruppo (credo messo su per l’occasione, ma non ne ho la certezza) nel quale militano Joe Elliot, Steve Stevens, Duff McKagan e Matt Sorum, e non c’è certo bisogno che vi presenti i personaggi in questione uno per uno. Beh, complice anche la voce soft di Elliot, ne esce fuori una versione carina, ma forse poco pungente, un po’ troppo americanizzata, che ha perso il sapore funky dell’originale in favore di un sound più laccato. E poi arriva il brano che ti fa bestemmiare in aramaico… Per carità, io sono aperto a tutti i generi musicali, se ben eseguiti, ma che c’azzecca una versione elettronica/alternativa di “Smoke on the water” ad opera dei
Flaming Lips in un tributo improntato tutto sul lato rock? Una beneamata ceppa, per dirla con signorilità… Chiariamo, la cover è molto ben fatta, snaturalizza un’icona del rock in maniera più che dignitosa, ma al tempo stesso risulta assolutamente fuori contesto, in questo caso…
A riportare le cose sui giusti binari ci pensa
Jimmy Barnes, che con la sua voce calda e bluesy ci consegna un arrangiamento assolutamente interessante di “Lazy”, accompagnato alla chitarra da
Joe Bonamassa. Il sapore generale non si discosta molto dall’originale, se non fosse, appunto, per la voce nera di Barnes, e per le ovvie differenza apportate da Joe alle partiture di chitarra, specie in fase solista, ma che tutto sommato risultano vincenti. A sorpresa arriva poi una “Space truckin’” eseguita niente meno che dagli
Iron Maiden. Beh, cosa dire… la classe è classe, e le grandi band lo dimostrano anche solo approcciandosi ad una semplice cover, come in questo caso. Peraltro Dickinson, autore di una prova davvero convincente, è senz’altro il più ‘gillaniano’ tra i singer presenti in questo tributo, e può finalmente cimentarsi e sfogarsi in una cover del suo idolo e nume tutelare Gillan, con risultati, come detto, davvero ottimi.
Dall’edizione originale dell’album fu scartata una splendida ballad, perché ritenuta poco affine al resto del sound del disco, e fu ripresa solo nelle successive ristampe. Sto parlando di “When a blind man cries”, che in questa occasione ci viene riproposta niente meno che dai
Metallica. E cosa attendesi dai re delle ballatone?? Assolutamente il meglio, tanto che il brano sembra quasi essere uscito dalle loro corde insieme alle varie “The unforgiven”, “Nothing else matter” e compagnia ballante… Molto toccante e rispettosa dell’originale, anche se il calore della voce di Gillan e della chitarra di Blackmore non si eguagliano… E per chiudere in bellezza, la seconda bonus track, e cioè una versione alternativa di “Highway star” (senza dubbio più di un gradino più in alto di quella dei Chickenfoot), ad opera di Hughes e Smith, di nuovo, ma questa volta affiancati dal genio
SteveVai alla chitarra… Se non c’è molto da dire sulla prova micidiale di Hughes (ovviamente), è bene spendere due righe su come Vai abbia assolutamente reinterpretato il brano (ma soprattutto il mitico assolo) e modo suo, allontanandosi quasi completamente dall’originale (a parte, ovviamente, le mitiche terzine), e in questo modo evitando ogni sorta di paragone, suonando le sue parti secondo il suo stile…
E con questo siamo alla frutta, e chiudiamo un tributo tutto sommato molto ben fatto, se amate questo genere di cose. Altrimenti andate a riascoltarvi l’originale, che è cosa buona e giusta e andrebbe fatto almeno una volta a settimana…