Ed ecco giungere nell'ultimo trimestre 2012 uno dei dischi più attesi dell'anno (e questo la dice lunga sullo stato di salute del metal mainstream odierno...) ovvero il ritorno dei
Kamelot, per la prima volta negli ultimi 14 anni senza il carismatico, nonchè afono in sede live,
Roy Khan a cui è subentrato un ragazzo svedese di nome
Tommy Karevik che molti conoscono ed apprezzano per il suo lavoro con i
Seventh Wonder, un gruppo a mio avviso carino ma nulla più, ma la qualità dell'ugola è fuori discussione.
Onestamente è da "
The Black Halo" che i Kamelot non sono più i Kamelot, ovvero "
Ghost Opera" e specialmente "
Poetry for the Poisoned" hanno rappresentato l'apice più basso della loro carriera, escludendo i lavori acerbissimi degli esordi quando ancora dietro il microfono c'era il dimenticatissimo
Mark Vanderbilt di cui onestamente ignoriamo il proseguio di carriera.
Questo fattore unito al cambio di cantante era visto come occasione di riscatto da parte degli estimatori della band americana, per tornare ai tempi di "
Epica", "
Karma" e specialmente quel "
The Fourth Legacy" che fece fare il botto ed il salto di qualità, nonchè di vendite, ai Kamelot: tutti attendevano "
Silverthorn" come il Messia, tutti tranne il sottoscritto che invece era assai dubbioso e scettico sulla qualità di quest'ultimo.
E così è stato.
Tanta carne al fuoco, tante chiacchiere, per un disco assolutamente nella norma, privo di quel quid particolare, pregno di difetti ed incapace di emozionare se non per brevi e sporadici tratti: un album che reggerà la prova del tempo a malapena per qualche mese, per poi confondersi con mille altri.
Il difetto e, diciamolo pure, la fregatura principale di "
Silverthorn" è proprio Karevik: per carità, la colpa non è certamente la sua, ma non si capisce il senso di prendere un cantante, peraltro assai dotato e con buona personalità, con l'unico scopo di scimmiottare quello che se n'è appena andato, con risultati ovviamente inferiori.
Al termine dell'inutile intro, all'esplodere di "
Sacrimony", che è già passata alla storia per avere il videoclip più ridicolo e plasticoso dai tempi del nostro Turillone nazionale che con la sua chitarra faceva esplodere la luna, non si capisce se Khan ci sia ancora oppure no, tanta è la verosimiglianza con l'illustre predecessore norvegese: ed il tutto prosegue più o meno per tutta la drurata del disco, il solito disco pretenzioso, pesante, troppo ricco di orchestrazioni ed inutili orpelli, e troppo poco metal e diretto.
Insomma, la solita sindrome da megalomani che attanaglia questi musicisti nati a colpi di riffs di
Black Sabbath e
Deep Purple che giunti ad una certa età si sentono dei novelli
Basil Poledouris e si lanciano in sfide improbe sotto il cui peso vengono inevitabilmente schiacciati. Ma non era meglio comporre un disco semplicemente metal, lineare, sinfonico ed elaborato ma nulla più?
Evidentemente no, ma siamo certi che in ogni caso "Silverthorn" compiacerà una gran parte dell'audience, ormai così male abituata che ogni disco decente appare come un capolavoro. Se poi ci aggiungiamo delle voci femminili, peraltro di qualche figa da piazzare in copertina di magazine o a mo' di pin-up per le interviste (tipo
Elize Ryd, che per carità è bona come il pane ma i suoi
Amaranthe sono un qualcosa di inascoltabile, una prece per chi li apprezza), il prodottone commercialone luccicante è pronto per fare sfracelli...beh, relativi a questi tempi in cui vendere 10.000 copie equivale a 10 dischi d'oro.
Queste sono le considerazioni fino a circa metà album, diciamo
"My Confession" compresa. Per esprimersi in termini numerici oseremmo un 6,5, così perchè i Kamelot ci stanno simpatici dopotutto.
Da qui in poi un disastro completo, una sequela di pezzi BRUTTI come il peccato oppure desolatamente inutili, in cui l'ispirazione latita in maniera imbarazzante, in cui
Karevik è sempre più costretto ad esprimersi su territori non suoi e perde impietosamente il confronto con
Khan, giustamente poichè è un'altra persona e le copie non possono battere gli originali, colpa di chi lo ha costretto a cantare così su partiture a lui non congeniali.
Diffidate di chi vi spaccia questo disco come un capolavoro incredibile poichè è gente che si accontenta di poco, veramente poco. E non paga i dischi. Oppure ha delle convenienze a farlo.
Noi che amiamo la musica e che amiamo i Kamelot quando ce la "regalano", ed in passato lo hanno fatto più volte, vi incoraggiamo a lasciar perdere o quanto meno ad approcciarvi a "Silverthorn" in maniera assai cauta, piuttosto di volgere lo sguardo al passato, a quando
Youngblood era meno innamorato di sè stesso e più della musica, sperando che in futuro si possa invertire la tendenza e che il povero Karevik possa smettere di vestire i panni del copia-Khan, anche se il timore dell'ennesimo gruppo bollito è evidentemente alto e preoccupante.