Era l'ormai lontano 2001 e il sottoscritto si era appena avvicinato a piccoli passi al mondo del metal, quando per caso mi capitò di sentire "The River Flows Frozen" degli
Eternal Tears of Sorrow, proveniente dal bellissimo "A Virgin and a Whore". Sarà stato il titolo dell'album, sarà stata la malinconia che pervadeva ogni singola nota di quella canzone, ma fu subito amore.
E a distanza di 12 anni, con altri due ottimi dischi di mezzo, mi ritrovo a dover parlare dell'ultima fatica dei finlandesi, "
Saivon Lapsi". E anche qui, dopo un paio di minuti, è subito amore.
Gli ETOS (concedetemela) riprendono dove avevano finito 4 anni fa con "Children of the Dark Waters" e fanno un deciso salto di qualità, virando verso un symphonic death metal che strizza l'occhio in maniera decisa agli ultimi lavori dei conterranei Amorphis, mantenendo però intatta quella venatura malinconica e al contempo rabbiosa tipica del passato della band.
Utile in questo senso è anche la perfetta alternanza tra la voce morbida e pulita di
Jarmo Kylmänen e il growl devastante del mastermind dei finlandesi,
Altti Veteläinen, che insieme alle tastiere di
Janne Tolsa sono i veri punti di forza della band. In particolare quest'ultimo si rivela davvero fondamentale su questo disco, generando melodie intriganti e terribilmente atmosferiche, che creano una base perfetta per gli innesti delle due chitarre di
Lammassaari e dell'altro membro fondatore della band,
Jarmo Puolakanaho. A chiudere il cerchio delle presentazioni è
Juho Raappana con la sua batteria, ultimo solo cronologicamente ma ulteriore pezzo forte della musica dei finlandesi.
I brani, come prevedibile, spaziano molto tra quelli più aggressivi e spiccatamente di stampo death, come la terza traccia "
Legion of Beast" o la penultima "
Blood Stained Sea", dove è il growl a farla da padrona, fino a pezzi decisamente più melodici e d'atmosfera, qual'è ad esempio il primo singolo "
Swan Saivo" o la centrale "
The Day", che vince a mani basse la palma di canzone più bella del disco, con un ritornello così sfacciatamente melodico da risultare di una bellezza stordente.
Come se non bastasse, c'è spazio anche per una ballad, "
Sound of Silence", nella quale la voce di Kylmänen s'incrocia in maniera eccelsa con una suadente e candida voce femminile, il tutto accompagnato da lievi note di tastiera, prima di esplodere nella seconda parte, musicalmente più aggressiva ma sempre con un gusto speciale per la melodia, andando a ricordarmi quella "The River Flows Frozen" citata in principio.
Quello che abbiamo tra le mani insomma è un disco davvero, davvero bello, che cresce con gli ascolti e si rivela uno dei migliori, se non addirittura il migliore, della carriera ormai ventennale dei finlandesi, a mio modo di vedere una delle band immeritatamente più sottovalutate del panorama scandinavo.
Quoth the Raven, Nevermore..