Gli Eight Bells sono un trio di Portland, Oregon, composto da due donne, la chitarrista Melynda Jackson e la bassista Haley Westeiner, ed un uomo, il drummer C. Van Huffel. Non musicisti di primo pelo, perché hanno già alle spalle svariate esperienze nell’underground heavy statunitense, infatti optano per uno stile prettamente strumentale e come produttore del loro debutto vantano un guru come Billy Anderson.
Il trio definisce la propria musica come “blackened experimental”, che significa quattro lunghe tracce magmatiche e multiformi. C’è sicuramente una base sludge a collegare il tutto, ma all’interno di queste strutture labirintiche s’incontrano frammenti noise, psichedelici, hypno-heavy, drone, e tanto feedback unito al suono lancinante della chitarra. Ancora una volta parliamo di un lavoro dove la forma-canzone lascia il posto a veri trip musicali, nei quali la band cerca non lo sfoggio di abilità bensì di creare l’atmosfera adatta ad immergersi nello stato “heavy-onirico” ( definizione discutibile, ma spero che i cultori di questi filoni sperimentali mi abbiano capito… nda.). Da questo punto di vista, gli Eight Bells si dimostrano efficaci ed anche in possesso di buona personalità.
Accostarli ad altre formazioni non è facile, ma l’area è comunque quella di Pelican, Yob, Batillus, Intronaut e simili.
Un paio di curiosità: il titolo del disco significa, in antico gergo marinaresco, il “gatto a nove code”, famigerato strumento di punizione per gli indisciplinati; invece nella seconda traccia “Fate and technology”, le vocals eteree che sorgono dalle caotiche distorsioni sono dell’ospite Kris Force degli Amber Asylum, quasi a sottolineare un album nel quale l’elemento femminile è preponderante.
Se vi piacciono i dischi ( ed i gruppi..) fuori dagli schemi, questo merita il vostro interesse.