Il nome di
Gray Morris potrà far tintinnare un “campanellino” nella memoria di chi, come il sottoscritto, ricorda i KeeN come un promettentissimo e credibile act italico sulla scia di Rammstein, The Kovenant, Marilyn Manson e Deathstars.
Il poderoso bassista di quella formazione (nonché membro di altre numerose situazioni artistiche …) oggi decide di affidarsi ad un integrale
do it yourself, scrivendo, suonando, cantando, registrando, mixando e masterizzando questo “Stranger to my home”, il suo albo di debutto solista alimentato dal dissoluto e colorato microcosmo dello
street metal, con gente del calibro di W.A.S.P. , Motley Crue, Guns n’ Roses, Kiss, The 69 Eyes, Crashdiet e Hardcore Superstar a fungere da inevitabili numi tutelari.
Una sorta di ritorno al “classico”, insomma, conservando quella passione per le ambientazioni “viziose” che evidentemente si confanno particolarmente alla sensibilità del nostro, piuttosto a suo agio anche nella gestione di questa “antica” materia artistica.
Il prodotto è fatalmente parecchio “artigianale”, anche nella resa sonora, e talvolta si riscontra un pizzico di ripetitività nelle strutture compositive, ma è altresì innegabile la notevole predisposizione di Gray alla scrittura e all’interpretazione del genere, ostentando discrete doti strumentali, una gradevole voce “scura” (in contrapposizione con le tante laringi “stridule” del settore …), “imperfetta”, magari, eppure abbastanza espressiva, e una penna capace di dosare adeguatamente incisività e melodia.
Come anticipato, il programma perde di efficacia a causa di un’eccessiva uniformità, così come avrebbe probabilmente bisogno di una maggiore messa a fuoco quando aumenta il coefficiente “sentimentale” della questione (“All this time” e la
title-track,
banalotte e pure leggermente imprecise sotto il profilo vocale), e tuttavia in generale si può riferire di un risultato complessivo di dignitoso valore, con brani come “Never ends”, “Hard n’ heavy rock nights”, “Money hole”, “Not a dream” (la mia preferita!) e la gotica “Black rain”, ben costruiti e moderatamente coinvolgenti, pur nel loro spiccato rigore stilistico.
A questo punto, il suggerimento “scontato” è quello di cercare efficaci
partners in crime con cui condividere una visione musicale sicuramente interessante e tuttavia allo stato attuale convertita in musica in una maniera un po’ troppo unidimensionale e approssimativa per conquistare
davvero l’attenzione di una “scena” costipata e in grande fermento competitivo.
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