A: Bello! Ma cos'è?
B: E' una scatola tutta colorata e rifinita benissimo!
A: Grande, sembra proprio bella! Davvero invitante!
B: Eh sì, è fatta proprio bene, roba tedesca!
A: Poi tutti questi martelli, questi draghi... e quanto fuoco!
B: E hai notato i nomi? Killhammer, Armies of Hell, Kill the Beast, Children of the Damned (0_o), Set the World on Fire (0>_<0), Crazy Train (#_#)
A: Sembrano proprio dei cattivoni! Dai, scartiamola!
B: Ma... E' vuota!
A: Come vuota? Fa vedere. Perpinchiopinchernacolo, non c'è niente!
B: E' un pacco!
A: Che fregatura...Questo, in sintesi è quello che ha attraversato la mia mente debilitata dopo l'ascolto di
Killhammer, ottavo lavoro in studio dei tedeschi
Mystic Prophecy, e questo è proprio quello che mi rimane, oltre al rammarico di un'occasione e una abilità sprecata. Non è da buttare eh, tutt'altro, però...
Produzione bombastica e potentissima, uno stile di metal che deve in egual misura al power europeo dei
Brainstorm, al thrash e a molto US metal tipo
Vicious Rumors, ed io, che annovero gli
Iced Earth tra gli inquilini del mio Olimpo metallico, non posso che gioire. Questa iniziale esaltazione tuttavia cala drasticamente proseguendo con l'ascolto del disco. Cerco di spiegare ora il perché, anche se il siparietto iniziale parla da solo.
Ci sono cose estremamente valide in
Killhammer, come l'abilità dei chitarristi, che si lanciano in assoli davvero precisi e ben costruiti, un cantante pazzesco che ricorda molto
Jorn Lande (un vero assassino su tonalità medie e medio alte), una batteria che piazza ogni colpo al punto giusto senza esagerare ed un basso non in primo piano, ma che contribuisce a molta dell'oscurità e pesantezza del disco. Cosa non va allora?
Non va che le aperture melodiche del cantato siano tutte simili, prevedibili e a volte smielate, che i testi siano fatti davvero senza impegno, pieni di mille mila
kill, dragon, die, fight, enemy, demon, victory, destroy, che sembrano buttati giù con la macchina da scrivere degli ultimi
Manowar o
Debauchery. Queste parole sono sempre le stesse anche nei ritornelli, e creano un senso di pochezza e ripetitività che, se evitato, porterebbe a ben altri risultati. Quello che dispiace è che le potenzialità sono davvero alte e quando c'è da spingere non si tirano certo indietro, arrivando al puro thrash di
300 in Bood, sporcando le canzoni qua e la con vocals aggressive o facendosi vari e credibili come in
Hate Black, ma davvero, le canzoni cariche si spengono quasi sempre in occasione del ritornello, troppo arioso e "tranquillo" rispetto al resto della musica. Fanno insomma cadere le palle lì dove, osando poco di più delle solite soluzioni di comodo, spaccherebbero davvero.
Poi il lavoro si ascolta, lo si può anche mettere in macchina ma, dopo qualche tempo di lui non si avrà nessun ricordo.
Conclude il disco una cover di
Crazy Train, dopo aver in passato già riproposto
Paranoid e
Miracle Man. Che fantasia...
Ma questi ragazzi sono in giro da 13 anni, hanno cambiato spesso formazione senza ripercussioni e sono passati sopra anche all'abbandono di
Gus G. quindi, hanno ragione loro. Il timone, è oggi saldamente in mano al cantante e fondatore (nonché produttore)
Roberto Dimitri Liapakis, che fa giustamente quello che vuole.
Formalmente perfetti, essenzialmente vuoti.