Copertina 6

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2013
Durata:65 min.
Etichetta:Karisma Records

Tracklist

  1. CITY OF ZERYCH
  2. HALLS OF AMENTI
  3. THE DIVINE COMEDY
  4. TEARS I’VE CRIED
  5. THE ANCIENT TALE

Line up

  • Knut Erik Grøntvedt: vocals
  • Stig Selnes: guitars
  • Lasse Lie: bass
  • Erlend Engebretsen: keyboards
  • Audun Engebretsen: drums

Voto medio utenti

Le premesse per un ottimo disco c’erano tutte… Il titolo intrigante, la copertina onirica (pur se decisamente bruttina), ma soprattutto le intenzioni dei Fatal Fusion, e cioè il voler riportare in auge l’epoca d’oro del prog rock degli anni ’70. Con rammarico devo dire che il tutto si è fermato alle intenzioni, probabilmente perché la band norvegese, qui al suo secondo full length, ha osato un po’ troppo, peccando di presunzione.

Cinque pezzi, di cui ben tre tra i 15 e i 18 minuti, non sono affatto facili da gestire. O si ha piena consapevolezza del proprio songwriting, o si rischia, come in questo caso, di trascinare i brani all’infinito, sconfinando spesso e volentieri nella noia più totale. Se a tutto questo aggiungete un cantante completamente inetto, con una delle voci più brutte e monotone della storia del rock, capirete come non sia affatto facile, per un ascoltatore che non sia un progmaniac di quelli sfegatati, arrivare alla fine del disco senza aver tentato il suicidio almeno 4-5 volte.

I brani si trascinano stancamente uno dopo l’altro, con riff fin troppo banali e ripetitivi, e l’unico elemento ad assicurare un minimo di dinamicità al tutto è la tastiera. Davvero troppo poco in un genere ambizioso come questo… La cosa che mi ha amareggiato di più è che le basi per partorire qualcosa di decisamente più originale ci sono tutte. Si sente che la band ha delle ottime intuizioni, ma non riesce a sfruttarle al meglio, lasciandole finire nel dimenticatoio, sommerse come sono da minuti e minuti di riff noiosi.

Forse il brano che riesce ad emergere di più, e che probabilmente è anche la linea guida che i nostri avrebbero dovuto seguire, è il terzo, “The divine comedy”, più vario e stuzzicante. Ed è stata una vera e propria boccata d’aria dopo i primi due supplizi. E sapete perché? Perché si tratta di uno strumentale, e quindi ci si risparmia la lagnosa voce di Knut Erik Grøntvedt, sostituita egregiamente da melodie di tastiera e gustosi arrangiamenti di chitarra. Le cose continuano ad andare bene con la successiva “Tears I’ve cried”, fermo restando che non appena Knut apre bocca rovina tutto, e che ci sono fin troppi richiami ai grandi del passato (e quando parlo di richiami non intendo influenze, ma quasi plagi), e potevano quasi proseguire con la conclusiva “The ancient tale”. Purtroppo dopo i primi cinque minuti decisamente interessanti, la band rovina tutto, e si trascina, ancora, per altri tredici minuti, come potete intuire davvero impossibili da reggere…

Cosa aggiungere… Potenziale davvero sprecato. Sarebbe bastato ragionare di più su cosa si stava componendo e si sarebbero potuti ottenere ottimi risultati. Per adesso la sufficienza, striminzita, è per la prova strumentale e per le intenzioni. Per il resto, (quasi) tutto da rivedere…
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 07 mag 2014 alle 10:54

e però sono bravi..cazzo !!

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