Sangue, sudore e Satana.
Questa la formula fatale cui il chitarrista
Sammy Duet (ascoltato anche nei
Crowbar e negli
Acid Bath) si attiene dall’ormai lontano 1997, anno in cui decise di fondare i
Goatwhore. Una formula, perfezionata album dopo album, giunta alla definitiva consacrazione, commerciale e non, con lo spettacolare
Blood for the Master (2012).
Il suo successore, ve lo annuncio sin d’ora, riesce a fare ancor meglio, tanto da avanzare con prepotenza la propria candidatura per un posticino nella mia poll di fine stagione.
Constricting Rage of the Merciless fornisce una sonora lezione a tanti efebici colleghi estremi (o presunti tali), ai quali spiega come nel 2014 si possa ancora comporre un platter genuino, denso e compatto.
10 canzoni per 37 minuti complessivi: la perfezione per un lavoro di questo tipo. Quanto mai avveduta, inoltre, la scelta di affidare di nuovo i compiti di produzione alle sapienti mani di
Erik Rutan e di optare per l’analogico, fornendo così al sound un’autenticità e un calore difficilmente ottenibili con le odierne tecniche di registrazione digitale.
E ancora: il sesto full length del four piece proveniente dalla paludosa
New Orleans certifica oltre ogni ragionevole dubbio che gli insegnamenti di band come
Hellhammer,
Bathory,
Venom ed
Entombed possono ancora rivelarsi attuali, con buona pace dei modernisti a tutti i costi (rima non cercata).
Ultimo ma non meno importante: grazie a
Constricting Rage of the Merciless, i
Goatwhore ricordano ai più distratti che il metal resta pur sempre una cosa brutta, sporca e cattiva.
Metal inteso nella sua accezione più ampia, certo, atteso che nei solchi di questo cd rinverrete staffilate black (penso alla bellissima
Shadenfreude, episodio più melodico del lotto), bordate death (godete dell’incedere a motosega che
Reanimated Sacrifice ci regala), parentesi doom (
Cold Earth Consumed in Dying Flesh, unico pezzo a sforare i quattro minuti di durata, concede un istante di tregua grazie al saggio inserimento nel mezzo dell’opera), mitragliate old school thrash e sane iniezioni di heavy classico e rock and roll (l’inno
Baring Teeth of Revolt combina con naturalezza
Celtic Frost e
Motorhead, mentre in brani come
Fbs e
Nocturnal Conjuration of the Accursed potrete addirittura udire echi dei migliori
Overkill ed
Exodus).
Tanto ben di Lucifero, è giusto rimarcarlo, non scollaccia in alcun modo l’esperienza uditiva, che rimane assolutamente organica, né sfocia mai nel citazionismo più scolastico, grazie alla personalità dei musicisti coinvolti e alla chirurgica precisione di un songwriting capace di cucire influenze della band in modo certosino senza perdersi in fronzoli inutili. Emblematico l’utilizzo degli assoli di chitarra: brevi, ficcanti, investiti con parsimonia e incastrati alla perfezione nelle trame delle composizioni.
Aggiungete all’idillico quadretto una messe di riff da favola, un artwork di grande impatto, lyrics e titoli deliziosi e avrete ottenuto un album semplicemente irrinunciabile.
Cari
Goatwhore, vi voglio bene.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?