A distanza di sei anni ecco piombarci sulla scrivania, appena prima di mandare in stampa questo numero di dicembre, il sedicesimo album di una leggenda come quella degli
AC/DC che dal 1974 ad oggi, con pochi e comprensibili cali qualitativi in questo finale di carriera, ha dispensato hard rock per tutto il globo attraverso tre o più generazioni.
Una leggenda fulgida che brillerà sempre per quanto dato alla musica ma che il passare del tempo sta mettendo a dura prova, specialmente negli ultimi mesi: prima la terribile notizia della malattia di
Malcolm, affetto quasi sicuramente da demenza senile e quindi impossibilitato a suonare da qui in avanti, e poi in questi giorni le disavventure del batterista
Phil Rudd, inizialmente arrestato ed accusato di duplice omicidio, il tutto poi derubricato in possesso di stupefacenti e minacce di morte, e poi praticamente fatto fuori da
Angus e soci, che addirittura lo hanno estromesso dagli ultimi video della band dichiarando nelle interviste di non riconoscerlo più, scaricandolo pubblicamente. Con tutte queste premesse non possiamo certo dire che ‘
Rock or Bust’ sia nato sotto i migliori auspici, portandosi dietro l’onere di essere molto probabilmente l’ultimo disco in studio della loro pluridecennale carriera, il primo (e probabilmente unico) senza il chitarrista Malcolm, perlomeno sostituito in maniera interna dal nipote
Stevie, ed all’ombra di un ‘
Black Ice’ del 2008 che nonostante abbia riscosso un buon interesse mediatico si è rivelato ben presto un album inutile e logorroico, pieno zeppo di filler e brani artisticamente inconcludenti, buoni unicamente per rispedire la band in tour e permettere ai più giovani di vederli dal vivo prima che i nostri appendano definitivamente gli strumenti al chiodo.
Tutt’altra storia quella in cui si trova a muoversi ‘Rock or Bust’, sforbiciato di quattro brani e di ben venti minuti di durata, per una lunghezza complessiva che va a sfiorare i 35 minuti e questo, diciamolo subito, è un gran bene che non possiamo che accogliere con gioia. Gioia che, senza gridare certamente al miracolo, rimane preservata nell’ascoltare l’iniziale title track, un brano fresco, asciutto, senza fronzoli, efficace, che (perlomeno in studio…) ci consegna un
Brian Johnson incredibilmente in forma come se fosse tornato ai tempi di ‘
The Razors Edge’. Rispetto al suo predecessore, ci troviamo di fronte ad un disco nettamente meno hard, più ritmato, se vogliamo più bluesy e spontaneo, con atmosfere più rilassate e scanzonate, nonostante il travagliato background attraverso il quale ha visto la luce, e perlomeno durante l’ascolto del disco l’assenza di Malcolm non si fa notare più di tanto, se non nel nostro stato d’animo conoscendo le sue condizioni di salute.
Anche le successive ‘
Play Ball’, rilasciato come singolo apripista ad inizio ottobre, e ‘
Rock the Blues Away’ paiono decisamente ispirate e frizzanti, lasciando da parte quel senso di pesantezza che purtroppo ‘Black Ice’ si è sempre portato dietro, segnalandosi tra i brani migliori del lotto insieme alla frenetica ‘
Baptism of Fire’ e le cadenzate ‘
Rock the House’ e ‘
Dogs of War’.
Di certo non sono tutte rose e fiori, di brani epocali non possiamo fare menzione e da metà album in poi aleggia un certo alone di stanca dovuto a brani – leggi ‘
Hard Times’ e la conclusiva ‘
Emission Control’ - davvero troppo canonici e stilizzati anche per loro e scritti in cinque minuti seguendo alla lettera il manuale del perfetto brano AC/DCiano ma in generale, anche grazie al fattore minutaggio di cui parlavamo in apertura, non possiamo certo affermare che ‘Rock or Bust’ sia un lavoro noioso o pretenzioso, d’altronde nessuno chiede chissà quale elemento di novità da Angus e soci, ci basta del buon rock spontaneo e suonato col cuore e sembra proprio che questo scopo sia stato raggiunto per l’ennesima volta, anche per merito dell’onnipresente e brillante produzione ad opera di
Brendan O’Brien nei canadesi Warehouse Studios, di proprietà della rock star
Bryan Adams.
Non scomodiamo assolutamente infelici paragoni con album ante anni ’90 ma senza ombra di dubbio questo ‘Rock or Bust’ è un più che dignitoso capitolo di fine carriera che contribuirà a far sbattere ancora per una volta piedi e teste dei loro milioni di fan sparsi per il mondo: come band probabilmente gli AC/DC sono al tramonto definitivo ma la loro leggenda non si estinguerà mai.