Ho sempre nutrito un sentimento di amore/odio per Jeff Waters e i suoi (in tutti i sensi)
Annihilator. L’ho amato incondizionatamente per aver concepito quel capolavoro assoluto che risponde al nome di “Alice in Hell” e il suo ottimo seguito “Never, neverland”. Allo stesso modo l’ho odiato per non essere mai riuscito, nei successivi venticinque anni di carriera, non dico a bissare la bellezza di quei due inarrivabili dischi, ma quanto meno ad avere una qualità costante nelle proprie proposte. Troppi cambi di line up, troppa supponenza che l’ha portato a credere di poter fare tutto da solo, troppi cambi di stile tra un disco e l’altro. Per tutti questi motivi mi sono avvicinato al nuovo “Suicide society” con molti dubbi e, lo ammetto, con molti preconcetti. Formazione per l’ennesima volta modificata, il lungo sodalizio con David Padden interrotto bruscamente, e di nuovo Jeff che si occupa di chitarre, vocals, composizione, produzione, mixing, mastering e chi più ne ha più ne metta. Come vedete le perplessità erano lecite…
Fortunatamente una volta iniziato l’ascolto del disco ho potuto, perlomeno in parte, ricredermi. Non siamo certo davanti ad un capolavoro, ma l’album scorre bene, ci sono diversi brani veramente interessanti (così come altri molto meno…), e il lavoro di Waters dietro il microfono, per quanto non faccia gridare al miracolo, è più che dignitoso, anche se la presenza di un lead singer avrebbe senz’altro giovato al risultato finale, impreziosendo ulteriormente le songs. Ovviamente, come è facile intuire, nel disco troviamo un po’ tutto quello che ha caratterizzato la proposta della band negli ultimi vent’anni. Si passa con disinvoltura da bordate thrash metal (l’ottima “My revenge”, “Break, enter”), a brani decisamente più kitsch e orecchiabili, a partire dalla titletrack, posta in apertura, per finire a “Every minute”. Il lato melodico è assolutamente predominante, senza però mai scadere nel banale, così come, in maniera contenuta ed equilibrata, salta fuori qua e là il lato più tecnico ed esasperato di Waters, chitarrista sopraffino in grado di suonare riff e fraseggi di alta classe.
Quindi, tornando all’apertura, questo nuovo “Suicide society” si fa amare od odiare? Direi un po’ l’uno e un po’ l’altro, in quanto nonostante qualche calo qua e là contiene diversi spunti interessanti che rendono l’ascolto coinvolgente. Certo, resta comunque l’amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, ma penso che se si analizza l’album con distacco e obiettività non si può che promuoverlo, in quanto buon manifesto di quello che sono gli Annihilator nel 2015. Inutile sperare in un nuovo “Alice in Hell”, quelli sono ormai anni andati, tocca prendere il lavoro di Jeff per quello che è e accontentarsi, senza cercare l’impossibile. “Suicide society” si fa ascoltare, è ruffiano al punto giusto, e sicuramente una volta terminato vi verrà voglia di nuovo di premere il tasto play, proprio perché contiene parti di facilissima assimilazione. Non sentirete mai più una nuova “Welcome to your death”, questo è certo, ma tutto sommato può andar bene così…
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