“Maestro” è un disco che ha diviso e proprio per questo ci tenevo ad ascoltarlo. Il caso ha voluto che dovessi pure valutarlo, cosa di per sé non tragica ma per certi versi “scomoda”.
La proposta musicale dei
Winterhorde è collocabile nel filone del metal estremo di matrice sinfonica (in questo album ho individuato molte affinità con i Dimmu Borgir del periodo
“Death Cult Armageddon”, soprattutto nell’utilizzo delle voci pulite e growl), con una certa attenzione per la componente teatrale della formula.
Ma cos’hanno “in più” questi israeliani rispetto alle tante realtà da cui potrebbero avere attinto? Alcune possibili risposte: una buona capacità compositiva, che traspare soprattutto nei brani lunghi dalle tinte progressive, come nel caso di
“The Heart Of Coryphee”; alcuni contributi strumentali abbastanza atipici, penso al violino di
“Worms Of Souls”, all’Hammond di
“Maestro” o al sax di
“Cold”; un lodevole senso della misura che, nonostante la tanta carne al fuoco, garantisce un buon equilibrio tra tutti gli elementi (ad esempio nella conclusiva
“Dancing In Flames” i vari cambi di metrica, 3/4 e 4/4, e di atmosfera non appesantiscono inutilmente gli arrangiamenti); gli assoli di chitarra non sono niente male (
“Chronic Death” può esserne la dimostrazione); i ritornelli, quando ci sono, sono davvero “ritornellosi” (rimando nuovamente a
“Maestro”).
Punti deboli? Qualcuno, non terribile: i due strumentali (
“That Night In Prague” e
“A Dying Swan”) mi paiono di troppo, soprattutto il primo dato che suona come “l’intro dell’intro” di
“Antipath”; alcuni attacchi sono fin troppo canonici e quasi banali (
“They Came With Eyes Of Fire”, “Through The Broken Mirror”), nonostante le buone evoluzioni successive; forse 65 minuti spalmati in 11 tracce sono troppi.
Complessivamente, come spesso capita, mi sento di dire che la verità sta nel mezzo: non siamo davanti a un capolavoro indiscutibile ma questo full-length ha tutte le carte in regola per potersela giocare alla pari con le uscite dei nomi più blasonati del genere, merito anche di un’ottima produzione in grado di valorizzare “il meglio” e di mettere in secondo piano “il peggio” (indovinate di chi è il master? Sì, lui,
Mr. JB).
Chissà, forse un giorno riuscirò ad accettare che dalla
Terra Promessa possa arrivare musica del genere…
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