Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2016
Durata:47 min.
Etichetta:Finisterian Dead End Records

Tracklist

  1. BIGOUDENED AN DIAOUL: ORINOÙ
  2. HENT LOAR
  3. LUTUNED AN NOZ
  4. KLAÑV
  5. N'EUS KET DREMMWEL HIVIZ
  6. JAN
  7. MARV INT AR MARTOLODED
  8. AN ANKOÙ HAG AR VOR

Line up

  • Steven Le Moan: guitars, voices, production
  • Thomas Coïc: drums, saxophone
  • Odran Plantec: bombard
  • Fëarann: bagpipes

Voto medio utenti

Perché una persona dovrebbe avvicinarsi a un disco di psych/doom rock dalle influenze celtiche e dalle liriche in bretone? Può "perché il mastering l'ha curato Dan Swanö" essere una risposta sufficiente? Senza dubbio sì.

Steven Le Moan e Thomas Coïc, ideatori del progetto Stangala, sono riusciti con "Klañv" a creare un sound personale e originale a cavallo "di tutto", dalla psichedelia più lisergica al death metal meno ortodosso. Merito del contributo degli ospiti Odran Plantec (alla bombarda) e Fëarann (alla cornamusa)? Forse, ma alla base ci sono comunque delle composizioni solide e ben congeniate.

Già dall'introduttiva "Bigoudened An Diaoul: Orinoù" l'obiettivo è forte e chiaro: sonorità di matrice Seventies, inaspettate sfuriate di doppia cassa, sax, tastiere in evidenza e atmosfere dilatate si fondono in maniera sorprendentemente equilibrata. "Hent Loar" spinge sul lato più doom e sinistro della proposta, con un bel solo ispirato di chitarra. "Lutuned An Noz" stupisce per l'inizio irruente (quasi punk direi) ed evolve death con ottime aperture melodiche e alcuni azzeccati inserti di vocoder. La title-track, strumentale, ha un bel tiro, è ruffiana al punto giusto ma non brilla per originalità (e presenta il solito inutile finale in fade che tanto spesso mi irrita). "N'Eus Ket Dremmwel Hiviz" è strutturata come un crescendo cadenzato guidato dal pianoforte Rhodes che da acustico diventa prima grooveggiante e poi sfocia in una serie di ottimi assoli. Buona ma meno incisiva è "Jan" (notevoli i cambi di passo) mentre risulta elaboratissima "Marv Int Ar Martoloded": momenti swing, concessioni al metal più tradizionale e break narrati si alternano in quello che strutturalmente è il brano più progressivo del lotto. Il finale è lasciato ad "An Ankoù Hag Ar Vor", un lungo brano strumentale con influenze ambient e spacey che suona un po' troppo improvvisato (l'intermezzo swing e il finale blast beat un po' posticcio supporterebbero questa mia teoria) nonostante un bel solo di piano.

Temerari di tutto il mondo unitevi, qui c'è del pane per i vostri denti (e della musica per le vostre orecchie): ancora una volta il buon Dan Swanö si è dimostrato garanzia di qualità. Se penso che mi ha fatto apprezzare una band francese...
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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