Solo tre anni sono passati da
"Darkness In A Different Light", acclamato ritorno dei
Fates Warning dopo un oblio di quasi dieci anni. Non che
Jim Matheos e
Ray Alder siano rimasti con le mani in mano (OSI, Arch/Matheos, Redemption...), anzi, avranno avuto più di una difficoltà a trovare un buco nelle rispettive agende per potersi dedicare alla stesura di nuovi brani.
Eccoci quindi pronti a parlare del nuovo
"Theories Of Flight", ennesima prova maiuscola del combo americano alfiere del progressive metal. Rispetto al recente passato le tracce sono mediamente più asciutte, l'elettronica è centellinata e lo spazio maggiore è lasciato alle chitarre "rabbiose" di
Matheos e all’ugola diamantata di
Alder (tanto per cambiare c'è lo zampino di
Jens Bogren).
Non fatevi trarre in inganno dalla morbida introduzione di
"From The Rooftops", con un
Ray Alder in gran forma (che nell'ultima prova coi Redemption sembrava abbastanza spompato): tempo due minuti e i nostri iniziano a picchiare come fabbri.
"Seven Stars" inizia diretta e "in your face", con cantati quasi mainstream e un bel break strumentale incastrati in una struttura tutto sommato canonica.
"SOS" rimanda all'irruenza del grunge e nonostante la breve durata presenta una costruzione decisamente più elaborata ma funzionale.
"The Light And Shade Of Things" è il primo brano lungo del disco e inizia progressivo e minimale per poi crescere verso il terzo minuto e sfociare in un ritornello orecchiabile e azzeccato. Peccato per la parte centrale che perde un po' di mordente a causa dell'improvviso cambio dinamico.
"White Flag" l'avevamo già sentita su
TuTubo e si distingue per i riff di memoria OSI e gli assoli gustosissimi (a cura di
Matheos, Frank Aresti e
Michael Abdow).
"Like Stars Our Eyes Have Seen" è la traccia più cervellotica del lotto dal punto di vista degli incastri ritmici/melodici e prelude al "pezzone" del full-length che risponde al nome di
"The Ghosts Of Home", elaborato al punto giusto, atmosferico, progressivo nel senso più puro del termine e Fates Warning dalla prima all'ultima nota. La chiusura è lasciata alla title-track, brano che fatico a collocare, quattro minuti di musica strumentale dalle tinte ambient fatta di campionamenti e stralci di parlato (il finale è pure troncato, mah).
Ci poteva stare mezzo punto in più (quanto meno come giusto tributo alla carriera pluriennale della band) ma, obiettivamente, credo che il voto indicato in calce sia quello più equo. Sbaglierò?
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