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Mechanical resonance” è un disco molto importante nella storia dell’
hard-rock americano, capace di restituirgli la sua inarrestabile forza quintessenziale, sfrondandolo da formalismi e da orpelli estetici.
Un lavoro grondante di attitudine, ispirazione e primitiva energia, che ha catapultato i
Tesla nell’
Olimpo dei
rockers puri e
duri, tra i pochi a poter aspirare all’eredità dei Montrose, inarrivabili maestri
yankee di questi suoni.
Dalla prima uscita di quel fulmineo esordio sono passati trent’anni e i “ragazzi” di Sacramento decidono di festeggiare l’evento riproponendo dal vivo l’intera scaletta (rimescolata rispetto all’ordine originale) dell’opera e di pubblicarla con il didascalico titolo “
Mechanical resonance live”, mettendo il sottoscritto, deputato alla sua analisi per queste
gloriose colonne, in discreta “difficoltà”.
Se da un lato, infatti, non amo molto i
live album “monotematici” e anche le “celebrazioni nostalgiche” mi creano più di una perplessità, dall’altro l’enorme valore di questi brani è intatto e riascoltarli nella dimensione operativa maggiormente congeniale ai californiani è da considerarsi un’esperienza
cardio-uditiva assai soddisfacente.
Il gruppo (che dal debutto ha “perso per strada” solo il chitarrista
Tommy Skeock, degnamente sostituito da un ottimo
Dave Rude …) sciorina con la consueta
verve una sfilza di autentici “classici” (“
Ez come ez go”, “
Comin' atcha live”, “
Changes”, “
We're no good together”, “
Lil' Suzie”, “
Modern day cowboy” … ma andrebbero davvero citati tutti!) per il pubblico di Salt Lake City (non molto “presente” invero, almeno basandosi su questa registrazione …) e anche se la voce di
Jeff Keith negli anni ha perso un pizzico di “colore” e pastosità, le emozioni non mancano mai per tutta la durata dell’incisione.
E allora, come valutare complessivamente un’uscita come questa, in un mercato discografico in piena stagflazione? Alla fine la risposta è abbastanza “semplice” … una “chicca” per estimatori irriducibili della
band, altresì ingolositi dalla presenza dell’inedito “
Save that goodness”, un
bonbon confezionato da
Phil Collen dei Def Leppard, gradevole e tuttavia non “epocale”.
Per tutti gli altri, un invito ad attingere alla propria preziosa collezione e rispolverare un irrinunciabile capolavoro, nell’attesa del successore del pregevole “
Simplicity”, per cui i tempi, a quanto sembra, sono quasi maturi.
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