Un disco solista di un cantante è un po’ come una macedonia di frutta, se ben bilanciata nei sapori può essere davvero sorprendente, ma il rischio di trovarsi davanti a un’accozzaglia indiscriminata di pezzettoni misti è altissimo. Chiedete a Cannavacciuolo o a Cracco se non ci credete.
Doris Brendel è un’artista inglese giunta al suo secondo lavoro insieme al chitarrista
Lee Dunham, dopo una carriera abbastanza lunga tra collaborazioni e dischi con band minori. Coppia che dopo un
“Not Utopia” non particolarmente brillante aveva bisogno assolutamente di un’inversione di rotta e che in questo
“Upside Down World” ha cambiato registro in modo deciso verso un easy prog rock con leggere tinte pop.
L’album si può dividere in due barra tre sezioni abbastanza differenti l’una dall’altra, in cui l’eclettismo degli autori mette in campo una commistione di generi a tratti spiazzante, ma quasi mai troppo dissonante.
Il lato A composto dalle prime quattro song è quello più puro, verace e gustosamente sincero, dove riff in pieno stile rock classico vanno a duettare con passaggi strumentali degni delle migliori band degli anni 70 e 80. Ascoltare l’opener
“The Devil Closed the Door on Me” che con il suo sapore Losangeleno sarebbe potuta entrare in qualunque disco dei vari
Cinderella o
Great White,
“Adored” con i costanti richiami ai grandi
Marillion,
“Slap Me and You Die” con il suo azzeccatissimo chorus e l’inaspettato break centrale in pieno stile NWOBHM, oppure ancora
“Accessorise” in cui si intravedono le influenze di un pop rock più moderno.
A queste aggiungo con piacere la bella e malinconica
”A Little Act Of Defiance” che seppur staccata dal blocco iniziale ne entra a far parte di diritto grazie alla splendida interpretazione della
Brendel che ha una voce calda e graffiante, ma anche dolce e suadente quando serve.
Se l’intero disco avesse mantenuto questa identità avrebbe sicuramente meritato applausi scroscianti e una menzione d’onore al prossimo Masterchef UK, ma come spesso accade in questo tipo di dischi la voglia di ritagliare spazio a tutte le influenze porta a delle derive stilistiche strane che sfociano in brani che pur non essendo malaccio sembrano trovarsi fuori contesto. E’ questo il caso di
“Tumbling Away” che è talmente pop da far accapponare la pelle persino a
Rhianna e
Taylor Swift o dalla title track che va avanti a suon di armonica e chitarra acustica, neanche fossimo a Nashville.
“Still Running” resta su territori pop/rock con un inizio che mi ha fatto sobbalzare per ben due volte in quanto pensavo di ascoltare i
Needtobreathe di
“Hurricane” e poi
Madonna in
“Like a Prayer” prima di capire che era sempre
Doris Brendel. Per fortuna il resto della canzone è una ballatona meno “carta carbone” ma comunque lontana dal livello delle altre.
Poi c’è “
Life is a Mushroom”.
Avrebbero dovuto chiuderlo prima il disco, davvero. Sarebbe stato un bel disco al netto dei piccoli passi falsi e invece no, hanno voluto sperimentare, funkeggiare e zappeggiare contemporaneamente. Ricordate la macedonia? Bene, questi sulla panna ci hanno piazzato un bel fungo porcino invece della fragolina. Cracco ha prima ucciso Cannavacciuolo e poi si è suicidato.
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