Peccato che la musica degli
Skyliner sia così dannatamente pasticciata: prog e thrash americano (un po’ Crimson Glory, un po’ Iced Earth), heavy britannico (Motörhead, Iron Maiden e Judas Priest), power teutonico (Rage e talvolta Helloween) e un pizzico di death (leggasi “blast beat e growl a caso quando meno te lo aspetti”).
Dico
“peccato” perché comunque qualche guizzo il trio ce l’ha, ma è difficile da cogliere oltre a essere penalizzato da suoni oltremodo plasticosi (la batteria è terribile).
“Tidal”, che più che un intro sembra un esercizio di riscaldamento, sfocia nella titletrack, melodica e dal piglio epico, con un
Jake Becker non proprio in formissima. Il riff di
“Too Many Voices” sembra preso dal songbook di
Jon Schaffer, e prelude all’elaborata
“No World Order”, interessante musicalmente ma meno riuscita sul fronte delle linee vocali.
“Cages We Create” potrebbe essere un lento convincente, ma l’agghiacciante inciso strumentale ci convince a passare alla successiva
“Starseeker”, altro pastrocchio a cavallo tra power europeo e
“Ace Of Spades” del compianto
Lemmy. Sfugge il senso della sperimentale
“Interlude I”, un solo di basso avanguardistico che fa il paio con
“Interlude II”, dove è la batteria a essere protagonista.
“As Above, So Below” mescola ancora le carte in tavola, mettendo a sistema thrash tradizionale e cantati di memoria manowariana. L’inspiegabile divagazione death/thrash
“The Morbid Architect” ci porta alla conclusiva
“Your Hand In Mine”, chiusura decisa nella migliore tradizione heavy che però non brilla per originalità.
Un aspetto positivo in questo
“Condition Black” c’è, è va riconosciuto: tutti i brani sono pensati per essere suonati dal vivo (poche sovraincisioni, editing ridotto all’osso, un approccio
“old-school” che per la caratura del combo è più un bene che un male), cosa rara in un’epoca di “muri sonori” fatti di basi e campionamenti.
Ora non resta che trovare qualcuno che li faccia suonare…
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