Copertina 7

Info

Anno di uscita:2016
Durata:48 min.
Etichetta:Blood Music

Tracklist

  1. COMMENCEMENT
  2. NASCENCY
  3. AGGRANDIZEMENT
  4. LAKE OF FIRE
  5. SUPREME
  6. 4TH
  7. ARISE
  8. MALEFICARUM
  9. UNUM INFERNUM
  10. I AM ABADDON

Line up

  • Baalberith: all instruments

Voto medio utenti

Si può fare "metal senza chitarre"? Non è una domanda stupida (anzi, meriterebbe un approfondimento ben più adeguato), per almeno due motivi. In primo luogo, alcuni ci hanno già pensato (penso alle tastiere apocalittiche di Goatcraft); inoltre, cosa forse ancora più importante, ad un'analisi più approfondita, l'obiezione dei "puristi" che vedono/sentono nel metal la musica più genuina del mondo dovrebbero ricredersi una volta fatto un giro con i propri beniamini in uno studio di registrazione professionale, dove vedrebbero batterie campionate, tool di quantizzazione, chitarre reampate, correttori d'intonazione e chi più ne ha più ne metta.

Quindi, sgombrata la mente da pregiudizi: che male c'è a fare un disco dove "l'approccio metal" rimane ma i suoni sono tutti di derivazione sintetica? Baalberith (mastermind del progetto GosT) ci prova, con un discreto successo, anche se di primo acchito ci può ricordare più un DJ che un iconico "guitar hero" tout-court.

"Non Paradisi" è un album atipico, per lo più strumentale, dove il nostro si diverte (credo) a dare una propria lettura del "Paradiso Perduto" di John Milton "abusando" (letteralmente) di elettronica e diavolerie affini. Si inizia con "Commencement", traccia a cavallo tra musica sinfonica e trance, che ha nell'eccessiva compressione l'unico neo (vizio che perdurerà per tutta la durata del full-length, facendo perdere molte sfumature del sound). L'ipnotica "Nascency" prelude ad "Aggrandizement", primo brano cantato dove le melodie rarefatte si fondono con arrangiamenti essenziali e meno elaborati. Le timbriche vintage e le aperture melodiche di "Lake Of Fire" ricordano i connazionali SURVIVE, mentre la successiva "Supreme" ha qualcosa della dance Anni Novanta e della dark wave più evoluta, oltre a tratti sinfonici più pronunciati. "4th" è, a mio avviso, il brano simbolo del "metal senza chitarre": immaginatelo eseguito da musicisti "in carne e ossa" e riparliamone. "Arise", con il suo cantato di matrice gotica, è più canonica e grooveggiante, e anticipa la meno riuscita "Maleficarum", tirata ma dallo sviluppo poco interessante. "Unum Infernum" inizia come un brano synth-pop dalle armonie solari, sfocia in un break narrato e termina con una coda a dir poco epica. La conclusiva "I Am Abaddon", purtroppo, è poco ispirata: suona un po' anonima e non è di certo il "gran finale" che ci saremmo aspettati (colpa anche dei discutibili interventi vocali da parte di alcune fanciulle ansimanti).

Non è il disco del secolo, ma è sicuramente un'opera che fa pensare. Meditate gente, meditate...
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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