Copertina 7

Info

Anno di uscita:2017
Durata:53 min.
Etichetta:Scarlet Records
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. THE TIME AND THE MUSE
  2. TO THE MOON
  3. BLOODSTAINED SUN
  4. TILL THE DAWN COMES
  5. THE STORM
  6. IRONFORGED
  7. THE COUNTER DANCE
  8. ANNWN'S GATE
  9. FROM THE LIGHTHOUSE
  10. WHITE OVERCAST LINE

Line up

  • Samuele Faulisi: vocals, guitar, keyboards, FX
  • Fabrizio Tartarini: guitar
  • Louie Raphael: bass
  • Riccardo Floridia: drums

Voto medio utenti

Siamo ancora agli albori, per carità, e di tempo per recuperare ce n’è a iosa.
Ciò premesso, duole constatare come il mio 2017 metallico non stia sinora riservando troppe soddisfazioni; qualche buon album, alcuni gruppi interessanti, ma nulla in grado di far saltare dalla sedia o di avanzare serie candidature per la poll di fine anno.

Ecco quindi che a confermare il trend, inserendosi nel calderone degli ascolti piacevoli ma non imprescindibili di questo scorcio tardo invernale, giunge il full d’esordio degli Atlas Pain.
Fautori di un pagan folk tinto di power sinfonico, i quattro milanesi riversano in “What the Oak Left” tutta la loro smania di magniloquenza, optando per composizioni sempre attente al risvolto melodico e dal marcato piglio cinematografico -pur non sfociando mai nei deliri d’onnipotenza di un “Prometheus, Symphonia Ignis Divinus”, tanto per capirci-.

Per tentare d’inquadrarli pensate ad una commistione tra Ensiferum, Equilibrium e Frosttide, con un pizzico di Nightwish era “Oceanborn” ed una spolverata dei Children of Bodom più patinati.
Aggiungete all’amalgama il coloratissimo artwork di Jan Örkki Yrlund, un sound cristallino (mastering di Mika Jussila ai ben noti Finnvox Studios di Helsinki) e avrete ottenuto un quadro d’insieme piuttosto chiaro, con conseguenti pregi e difetti.
Primi: epicità a pacchi, sound levigato ed ultra-professionale, ragguardevole capacità evocativa.
Secondi: cattiveria latitante -anche nei frangenti in teoria più tirati-, arrangiamenti di tastiera spesso inclini allo zuccheroso, generale mancanza di spontaneità.

Ciò detto, lascio alla sensibilità musicale di ogni lettore il compito di mettere a bilancio le summenzionate voci. Per quanto riguarda il sottoscritto, il saldo è ampiamente positivo: i progressi rispetto al pur buon EPBehind the Front Page” (2015) sono evidenti, così come i margini di miglioramento.
Se i Nostri sapranno iniettare un modicum di animus pugnandi nelle composizioni, alleggerendole altresì da svenevolezze eccessive e partiture inessenziali (si veda, ad esempio, la strumentale “White Overcast Line”, tirata troppo, troppo per le lunghe), potranno senz’altro dire la loro ai piani alti del genere.
Anche perché, a voler ben vedere, non è che i capofila ultimamente stiano proprio sfolgorando…

Gli amanti delle sonorità in esame, comunque sia, troveranno soddisfazione già in “What the Oak Left”, grazie a momenti di valore quali la sognante “From the Lighthouse”, con quel chorus deliziosamente in bilico tra Ensiferum ed Amorphis, l’enfatica “Ironforged” o la Alestorm-iana “The Storm”.
Nell’attesa che questo dannato 2017 sforni infine qualche top album degno di tale qualifica, non vedo perché non supportare una nuova e talentuosa realtà del fitto sottobosco metal tricolore.
Se son rose fioriranno…
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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