Che alla quantità di idee non corrisponda necessariamente la qualità delle medesime è cosa nota. I 60 minuti di questo
“Echoes Of The Aftermath” pesano, c’è poco da fare, non tanto per la proposta musicale in sé (un pop travestito da gothic metal sinfonico) quanto per un approccio molto “scolastico” alla scrittura.
Ma è meglio entrare nel dettaglio e andare con ordine…
L’iniziale
“Sleeping Giant” soffre di orchestrazioni plasticose e di elettronica annacquata, così come la successiva
“Personal Hell”, dalle melodie Eighties di scuola AOR (riuscito invece il break strumentale). Nella miglior tradizione radiofonica, il modesto ritornello di
“Racing Heart” arriva dopo 45 secondi, mentre
“Cry Wolf”, meno sostenuta, si perde nel solito finale in fade della serie
“e adesso come la chiudiamo?”. La titletrack, orecchiabile e complessivamente ben arrangiata, prelude alla discutibile
“Flatline”, dalla strofa interessante ma dal ritornello/special a dir poco scontato. Anche in
“Loud As A Whisper” gli ottimi arrangiamenti cercano di colmare la pochezza della sostanza, situazione che si ripete in
“Shining After Dark”, che ha un buon tiro, sfumature dance, ma stacchi triti e ritriti. La ruffiana
“Ode To Everyone” fa il paio con
“Go On”, mid-tempo scarico dalla coda poco convincente.
“In Risk Of Rain”, dalle connotazioni mainstream, punta nuovamente sull’arrangiamento e sfocia nella suicide-ballad
“Inside, Outside” (più vicina a
Mariah Carey che al metal), penalizzata da un pasticciato tentativo di inasprire il sound dalla metà in poi.
Gli onnivori del genere potranno anche consumare il nuovo album dei
The Murder Of My Sweet, ma per quanto mi riguarda si tratta di una prova scarsotta...
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?