Nella musica dei
Selfmachine c'è davvero tanta roba: alternative, metal, crossover, cantati puliti e non, e soprattutto tanta melodia che strizza l'occhio a sonorità più mainstream (c'è anche capacità di sintesi, ma in questo caso specifico si tratta di un'arma a doppio taglio).
Già dall'iniziale
"Against The Flow" entriamo a capofitto nell'universo sonoro della band, un modern metal articolato ma indubbiamente catchy. La nervosa
"Join The Hatetrain" anticipa la pestatissima e incalzante
"Giddy-Up!", dal ritornello ficcante e dalla riuscita apertura centrale.
"Normal People" si distingue per il mini-break dal sapore latin, mentre
"Universe" spicca per il contrasto tra il riffing serrato di
Hansen e la teatralità del refrain cantato da
Leijen.
Dalla metà in poi, però,
"Societal Arcade" comincia a mostrare i limiti di una proposta sì interessante ma pericolosamente ingabbiata in un numero limitato di soluzioni espressive:
"No Cliché", nonostante il titolo, è una power-ballad anonima e poco interessante;
"Nothing's Worth" ha qualcosa degli Adrenaline Mob dell'era-Portnoy; le influenze metalcore di
"Lifeblind" sono un po' buttate lì, così come i rimandi heavy/thrash appena accennati di
"The Valeyard", dalle liriche particolarmente "spinte";
"The Great Deception", "Superior" (bello il solo) e
"Avenge The Moment" sono filler poco incisivi, ma i
Selfmachine ci regalano un finale coi fiocchi con
"Luminous Beings", sei minuti dinamicamente complessi dall'arrangiamento elaborato, minuzioso e non scontato che mi hanno ricordato i Fates Warning di metà Anni Novanta.
Un limite oggettivo c'è: se su tredici brani dodici durano 3/4 minuti e hanno tutti la stessa struttura/evoluzione, la voglia di skippare qualcosa, inevitabilmente, viene. Ma tracce come la conclusiva
"Luminous Beings" fanno intravedere del buono che sarebbe un peccato non cogliere...
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