Il caleidoscopio di influenze musicali degli australiani
Caligula's Horse trova la sua sintesi perfetta in questo
"In Contact", ambizioso concept album diviso in quattro capitoli - incentrati su diverse storie/personaggi - dedicati alla natura dell'arte e della creatività.
L'iniziale
"Dream The Dead" è capace di mettere a sistema con classe "vecchio e nuovo" - King Crimson e Haken, Demians e Leprous, Dream Theater e Muse - prima della nervosa e claustrofobica
"Will's Song" (che mi ha ricordato certe cose degli Headspace).
"The Hands Are The Hardest", dalle sfumature epiche, è soft e orecchiabile -
Jim Grey ha un timbro vocale che a tratti ricorda
Ross Jennings - e anticipa
"Love Conquers All", breve ed elegante brano di scuola wilsoniana. Si torna a picchiare duro con la riuscita
"Songs For No One", che spicca per l'ampio range dinamico e per il chitarrismo mai banale di
Sam Vallen, ma l'acustica e romantica
"Capulet" - un po' Pain Of Salvation di
"Remedy Lane" - smorza rapidamente i toni. L'elettronica appena accennata e funzionale all'arrangiamento di
"Fill My Heart" sfocia nella recitata
"Inertia And The Weapon Of The Wall" (concepita come
"Love And Death And An American Guitar" di
Jim Steinman), preludio a
"The Cannon's Mouth", teatrale e spigolosa. La chiusura è affidata alla lunga ma accessibile
"Graves", indubbiamente radicata nella produzione di
Petrucci e soci del periodo
Portnoy, ma comunque resa unica dal curioso intermezzo vocale/corale quasi vintage e dal cameo di
Jørgen Munkeby degli Shining al sax.
Mi azzarderei a dire che con
"In Contact" i
Caligula's Horse hanno definitivamente scalzato Arcane, Karnivool e Voyager dal podio della scena heavy progressiva australiana: sto esagerando?
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?