Il successore dell'ottimo
"Tsar" - uscito appena l'anno scorso - è un disco a due facce: la prima dimostra la volontà di
Smolski e soci di suonare più heavy e meno "barocchi"; la seconda (e alle mie orecchie meglio riuscita) ricalca più fedelmente il sound del sopraccitato debut fatto di arrangiamenti elaborati e melodie tanto ficcanti quanto facilmente assimilabili.
L'incipit di
"Regicide" è teatrale alla maniera dei Savatage o dei Queensrÿche, prima dell'assalto dell'ex-chitarrista dei Rage con un "killer riff" che fa da base per l'intera traccia. In questo caso specifico, le orchestrazioni sembrano addirittura di troppo, e snaturano in parte le intenzioni "in your face" dei "nuovi"
Almanac.
Smolski è protagonista indiscusso anche in
"Children Of The Sacred Path", che non avrebbe sfigurato in album del calibro di
"Soundchaser" o
"Speak Of The Dead". La fin troppo lineare
"Guilty As Charged", a cavallo tra heavy e power metal, prelude a
"Hail To The King", riuscito mix di hard rock, heavy metal e musica da film.
"Losing My Mind" spicca per la presenza di synth e beat elettronici (più scontate le linee vocali) ed è dalla titletrack in poi che i riferimenti al recente passato della band si fanno evidenti. L'accoppiata
"Kingdom Of The Blind"/"Headstrong" scorre via che è un piacere, mentre
"Last Farewell" è una ballad senza infamia e senza lode condita con irritanti flauti di pan sintetici che - senza offesa - fanno un po' "peruviani in festa". La chiusura è lasciata a
"Red Flag", brano convincente che strizza l'occhio al thrash ma che forse sarebbe stato più valorizzato a metà tracklist.
Non posso nascondere di aver preferito l'esordio, ma non si può di certo dire che
"Kingslayer" sia un brutto disco. Fan di
Smolski, avvicinatevi senza timore.
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