Tralasciando il controverso ed ormai lontanissimo "
Against the Law" del 1990, colpevole a mio avviso unicamente di "rinnegare" l'iconografia della band ma musicalmente davvero molto valido, l'unico album dell'ormai nutritissima discografia della band californiana che a mio avviso non è minimamente all'altezza degli altri è quel "
Reborn" del 2005 che interrompeva uno stop di ben 15 anni dalle scene: fatto salvo quel lavoro, la band dei fratelli Sweet ha saputo sempre sfornare dischi validi, passando dal buono al meraviglioso certamente, ma in ogni caso pieni di spunti, grande classe, la splendida voce (anche adesso!) di Michael ed una visione perlomeno particolare, non uniformata allo standard del mondo hard & heavy.
In tutta onestà due elementi mi turbavano riguardo il nuovo "
God Damn Evil", uno era il precedente "Fallen" che sebbene sia stato recepito pressochè universalmente come album eccellente non ha saputo entrare nelle mie grazie a causa di un sound fin troppo roccioso, uscendo così dai miei ripetuti ascolti, non riuscendo in pratica a bissare il successo di "
Murder by Pride" del 2009, un album veramente meraviglioso che ormai a quasi 10 anni di distanza continua a girare imperterrito nel mio lettore; il secondo elemento di dubbio è stata la presentazione del singolo in anteprima "
Take it to the Cross", un buon brano, oscuro, oseremmo quasi dire "maligno" con un chorus quantomeno inusuale, che certo con i ripetuti ascolti si è un po' ammorbidito ma che certamente non entrerà mai nelle nostre grazie, facendomi temere per un altro album troppo pesante da parte degli
Stryper,
Invece inaspettatamente ed con enorme gioia mi sono ritrovato ad ascoltare uno dei più bei dischi della band cristiana per antonomasia, ancor migliore del pur ottimo "
No More Hell to Pay" e perlomeno alla pari con il già citato "Murder by Pride"; sin dal seguente midtempos di "
Sorry" si rientra nei territori che la formazione degli Sweets conosce a menadito, sfoggiando una classe ed un gusto raramente riscontrabili altrove, ed ancor meglio con la successiva e frizzante "
Lost", in cui trova spazio un chorus epico dove l'ugola di
Michael Sweet regala sempre emozioni pure, al pari dei meravigliosi solos che sembrano sfidarsi quasi in un contest helloweeniano dei tempi d'oro, prima del concitato finale in crescendo.
Per nostra fortuna da qui in avanti, per tutti i rimanenti otto brani di "God Damn Evil", non c'è nemmeno un'incertezza o un cedimento, anzi al contrario tutti brani assolutamente validi, rocciosi, melodici, dalla rockeggiante title track, la graffiante "
You Don't Even Know", l'anthemica "
The Valley" e la assolutamente ottantiana "
Beautiful" che davvero sembra estratta da un album leggendario come "
In God We Trust".
Anche la tripletta finale con la discreta ballad "
Can't Live Without Your Love", la movimentata "
Own Up" e la conclusiva "
The Devil Doesn't Live Here" non delude assolutamente, anzi va a rinsaldare quanto appena affermato.
Tutto perfetto? Quasi.
E' un cercare il pelo nell'uovo ma, COME AL SOLITO, e ci tengo a sottolinearlo, non c'è modo che gli Stryper beneficino di una produzione ottima: suoni non all'altezza, quasi ovattati, chitarre che non "escono" e badate bene non sto parlando della maledetta "botta" che porta le produzioni di oggi ad essere tutte uguali ed ipercompresse allo stesso modo (per fortuna), ma anche se non siamo ai livelli dello scandaloso sound presentato da "Murder by Pride" (quello davvero ignobile, al limite del rovinare il disco) una produzione migliore - dato atto che presenta almeno la qualità di far notevolmente spiccare il basso del neo entrato
Perry Richardson ex-
Firehouse, avrebbe fatto risaltare ancora di più la qualità presente in questo "
God Damn Evil".
Che non è affatto poca, come al solito: decimo album, nono sigillo per gli Stryper.