Il mio rapporto con il doom si potrebbe sintetizzare nel seguente motto:
"il doom è bello quando dura poco". E su questo fronte i
Bismarck mi vanno a genio...
Il debutto sulla lunga distanza del quintetto norvegese (5 brani per circa 35 minuti di musica) ha poco di originale, ma ha un suo perché e un pregevole "dono della sintesi" che rende le sue tracce affrontabili anche dal sottoscritto.
L'introduttiva
"Harbinger" rievoca i Pink Floyd di
"Careful With That Axe Eugene", con il basso ipnotico e la voce sussurrata di
Tveiten (anche se
Roger Waters non si discute). Segue la sabbathiana
"A Golden Throne", su cui si erge - questa volta imperiosa - l'ugola del sopraccitato cantante prima della lisergica e psichedelica
"Iron Kingdom", che ben si sposa con il doom più tradizionale e oltranzista.
"Vril-Ya" - che strizza l'occhio al post e all'alternative - è monolitica nel senso più puro del termine, e vive di contrasti dinamici come la conclusiva
"The Usher", sulfurea prima, diretta ed essenziale poi.
Non male.
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