Ritengo i tedeschi
Dark Millennium come uno dei più grandi sprechi della storia del metal estremo intelligente, decadente, negativo.
Partiti in maniera pazzesca con un disco che, al netto dell'ignoranza delle masse, rimarrà una pietra miliare del genere, ovvero il perfetto "
Ashore the Celestial Burden" del 1994, i tedeschi fecero immediatamente un passo falso enorme con il lavoro successivo: non musicalmente ma a livello di immagine, con un titolo "
Diana Read Peace" che certo non poteva riscuotere il successo dei giovani death metaller minorenni di quegli anni, al pari di una cover troppo futurista e bislacca per poter appassionare chi fosse in cerca solo di sangue, violenza e le meravigliose copertine di
Dan Seagrave.
Un vero peccato mortale, poichè anche questo disco andava veramente a colpire nel segno.
La band si scioglie nell'estrema indifferenza, ma il giovane Graz non dimenticherà mai la voce graffiante di
Christian Mertens e le atmosfere eleganti e sinistre di brani come "
The Atmosphere"... l'indifferenza, o meglio l'ignoranza, prosegue anche nel 2016, anno in cui la band di
Michael Burmann si riforma e da' alle stampe il ritorno dopo ben 23 anni di assenza "
Midnight in the Void", di cui sinceramente non conoscevo nemmeno l'esistenza, ma non devo essere il solo dato che si tratta di un disco autoprodotto.
Un disco che in ogni caso deve aver quantomeno smosso qualcosa, dato che la vecchia label che li aveva lanciati quasi 30 anni fa, ovvero la
Massacre Records, ha promosso in prima persona il quarto lavoro dei Dark Millennium "
Where Oceans Collide", un disco a cui non avevo dato mezza chance a causa del troppo tempo di stand-by e di un mercato e di un metal completamente diversi da quelli che il combo germanico aveva afffrontato negli anni '90.
Assolutamente falso, "Where Oceans Collide" è stato uno dei dischi che mi hanno accompagnato in questa breve e piovosa estate, ed il marchio di fabbrica dei cinque provenienti dalla altrettanto fredda Renania Settentrionale-Vestfalia è rimasto il medesimo: un metal elegante, straziato dall'ugola di Mertens, una sorta di
Morgoth in chiave malinconica, con continui inserimenti melodico-elettronici, discreti ma efficaci e che innalzano di gran lunga il valore già mediamente alto di ogni brano, su tutti la cavalcata novantiana di "
Moving Light", ulteriormente impreziosita da una atonica voce femminile che accresce il senso di smarrimento che da sempre i Dark Millennium cercano di inseguire e trasmettere.
Come da sempre accade, alcuni brani sono più "diretti" (anche se usare un aggettivo del genere con loro possa risultare quantomeno fuorviente) di altri, sebbene la durata media si attesti per ogni brano sui quattro minuti circa, ad eccezione della suite finale "
Across Oceans of Souls", di quasi dodici minuti di durata, se vogliamo unico passo debole del disco ma anche da considerare in maniera quasi separata, dato che si tratta di un lunghissimo strumentale con le sue aperture tastieristiche oniriche e sognanti a mo' di colonna sonora per i nostri incubi più remoti e forse più intimi.
Al netto di questo, ma apprezzandone in ogni caso la grande poetica ed intensità, non possiamo che stupire ed apprezzare un ritorno ahimè ignorato quanto inaspettato, ma che saprà fare la gioia non solo di quei pochi che li hanno conosciuti ma anche chi è in cerca di un death metal melodico e strutturato, intriso di disperazione e malcelata rassegnazione.
Bentornati.