69 anni e non sentirli. Si potrebbe riassumere così l'ennesima uscita discografica di
Steve Hackett, indimenticato chitarrista dei Genesis progressivi.
Coadiuvato come sempre da un cast d'eccellenza (cito solo
Durga McBroom e
Simon Phillips per farvi venire un po' d'acquolina), l'artista inglese dimostra ancora una volta - se mai ce ne fosse bisogno - di essere innanzitutto un compositore di primo livello, ancor prima che un virtuoso della sei-corde.
L'attacco strumentale dal sapore teatrale e drammatico di
"Fallen Walls And Pedestals" vale da solo l'attesa di
"Beasts In Our Time", episodio diviso tra eleganza (con un assolo di sax da brividi di
Rob Townsend) e carattere (la seconda metà più "maschia" dal finale crimsonico). La dinamica
"Under The Eye Of The Sun" - che strizza l'occhio agli Yes nei cori - prelude ad
"Underground Railroad", dove si fondono musica gospel, prog e atmosfere che definirei desertiche.
"Those Golden Wings" è, per quanto mi riguarda, "il" pezzo dell'album, in cui il gusto pop di
Hackett si sposa con quelle tessiture sinfoniche che nel passato sarebbero state affidate al Mellotron.
"Shadow And Flame" rievoca
"West To East", cantata da
Kobi Farhi nel precedente lavoro
"The Night Siren", mentre
"Hungry Years" è più disimpegnata senza essere banale. Il trittico finale suona come un'unica lunga suite: prima l'ostinato di memoria holstiana (
"Descent"), poi i colori dell'intera orchestra (
"Conflict") e infine lo struggente epilogo (
"Peace").
Applausi scroscianti.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?