Secondo disco per gli Edenshade dopo “Ceramic Placebo For A Faint Heart” del 2003. La band è passata nel frattempo su My Kingdom Music e il nuovo “The Lesson Betrayed” è il risultato di tre anni di duro lavoro da parte della band, la quale ha cercato di creare un concept sulla fragilità della condizione umana e la sua disperata ricerca del senso dell’amore, con tutte le conseguenze che ciò possa comportare.
Ciò che più colpisce però di questo disco è la bravura compositiva della band, la quale mostra una maturità invidiabile e una padronanza tecnica davvero notevole. Non è da tutti riuscire a far convivere con naturalezza e gusto disparate componenti stilistiche, dal progressive metal di Dream Theater e Pain Of Salvation, allo swedish metal di Dark Tranquillity e In Flames, passando per svariata altra gente, tra cui Cynic, Nevermore, lambendo il death più cattivo (“As Water” a tratti è qualcosa di veramente brutale!) e certi patterns quadrati cari ad amanti del modernismo come Mnemic e Meshuggah.
Ma non troverete mai nessuna delle citate componenti in maniera isolata o avulsa dal contesto, il tutto è fuso sapientemente. Alla melodia succede spesso la tirata violenta e brutale, al passaggio tecnico spesso sussegue un passaggio atmosferico, le vocals pulite si uniscono ad un brutale growl, nel bel mezzo di un cantato prettamente inglese veniamo sorpresi da declamazioni in italiano che spiazzano come lampi nella notte, coma ad esempio “Tmesis” o la splendida “Insect”.
Non c’è un pezzo migliore di un altro, siamo su livelli che si mantengono altissimi per tutta la durata del disco. La title-track è la perfetta fusione tra potenza e melodia, con un ritornello molto bello, e prepara alla successiva “Contemplate” pezzo decisamente violento e atipico, senza contare l’intro techno di “Trust In Me” che prelude alla già citata “As Water”, pezzo decisamente cattivo. La conclusiva “Day Zer0” inizia con un suggestivo piano e la voce sofferta di Lorenzo Marresi, e vengono subito i brividi per un pezzo breve ma intenso e pieno di pathos. “They” è un pezzo quasi psicotico nell’andamento e menomale che ogni tanto interviene la melodia, di stampo progressivo, a interrompere l’assalto schizzato di chitarra e batteria, a proposito delle quali è da rimarcare la prova notevole dei legittimi titolari.
In questo disco non vi mancherà niente, c’è classe, potenza, sapienza tecnica e compositiva, c’è creatività, e tutto quel che serve per un disco che assurge più ad opera d’arte che a semplice collezione di note musicali ordinate in vario modo. Fatelo vostro, disco dell’estate.
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