In un mondo utopico la reunion dei norvegesi
Conception sarebbe stata la notizia dell'anno, invece quanto accaduto due anni fa è passato praticamente sotto silenzio, e non è bastata la pubblicazione di un'ottima anteprima come l'ep "
My Dark Symphony" del 2018 a sollevare un benchè minimo interesse delle folle, ormai completamente prese dall'ultimo pupazzetto dei Ghost o dall'ennesima trovata di marketing di Nergal.
Mi dispiace cari Conception, ma da quel controverso ma comunque interessante "
Flow" del 1997 che vi ha poi disintegrato con il passaggio di
Khan nei più facili
Kamelot, è passata fin troppa acqua sotto i ponti e quello che avete lasciato al tempo ahimè oggi non lo ritrovate: una scena metal completamente stravolta e pressochè disinteressata al "core", ovvero la musica suonata e null'altro.
Testimone ne è il fatto che il disco del ritorno, dopo 23 anni di silenzio, una cosa che un tempo sarebbe stata celebrata non solo con tutti gli onori ma anche con un'incredibile hype da parte di addetti ai lavori, uffici stampa ed ovviamente pubblico, oggi passa del tutto inosservata, tanto che "
State of Deception" non ha trovato lo straccio di una label seriamente interessata ed esce in maniera autoprodotta ed indipendente: un fatto a dir poco deprimente, nel mare magnum di tanta plasticosità ed indecenza propinata quotidianamente dalle etichette metal più quotate e con budget milionari.
Un peccato mortale già concettuale, che si accresce ulteriormente a fronte del valore di questo ritorno: spazziamo via ogni equivoco od incertezza, il nuovo disco dei Conception è "quasi" un capolavoro. Ci mettiamo la sospensiva per far trascorrere il giusto tempo di maturazione prima di giungere ad un giudizio così tranchant ma non sussiste alcun dubbio nell'affermare che nulla è andato perso in questi anni di pausa e che possiamo nuovamente ascoltare la band di
Tore Østby alle prese con musica sublime, profonda, adulta, ammaliante, ben prodotta, suonata divinamente. Un paragone con quei capolavori (qui sì che possiamo essere sicuri di non abusare dei termini) di "
Parallel Minds" e soprattutto di "
In Your Multitude" non è il caso di tirarlo in ballo, ma non c'è bisogno di una sfida a tutti i costi con un passato così remoto per perdersi nelle atmosfere e nella classe di brani eleganti e suadenti come "
The Mansion" (mi hanno costretto ad apprezzare un brano con
Elize Ryd come ospite alla voce, maledetti voi!), nell'acido incedere di un brano cattivo come l'opener "
Of Raven and Pigs", che appare quasi come una dichiarazione di guerra dei Conception, acclamati dalle folle (virtuali), della serie "
siamo tornati dal passato a farvi sentire come si suona del vero progressive metal".
La formazione è quella di sempre, quella dei tempi d'oro, ed anche Roy Khan perlomeno da studio non ha perso un'oncia del proprio fascino, ancora totalmente più a suo agio in atmosfere oniriche che in ambiti più terremotanti ed epici come quelli pur apprezzabilissimi dei Kamelot più spinti, sempre intenso ed emozionante nelle drammatiche "
Waywardly Broken" e "
She Dragoon", così come toccante in "
Anybody Out There", uno degli apici di un disco comunque molto asciutto, che non arriva a 40 minuti di durata, ma davvero carico e sgargiante in cui trova anche posto in chiusura la pietra dello scandalo, ovvero quella "
Feather Moves" che concludeva il singolo del ritorno "
Re:Conception" del 2018 ma che non aveva trovato posto nell'EP successivo.
La ritroviamo qui, a chiudere il quinto full length dei Conception, e tutto sommato è giusto così, in un lavoro che sarà ignorato o quantomeno fagocitato dal tritacarne mediatico in cui ci siamo autoconfinati in questi anni di consumismo musicale sfrenato. Chissà che questa quarantena obbligata, con tutti i suoi lati negativi, ci regali anche del tempo per poter riassaporare le meraviglie della vita come facevamo una volta.
Insieme ai
Conception, vecchi e nuovi.