Di strada ne hanno fatta veramente tanta questi 5 ragazzi tunisini da quando, in quel lontano 2007, armati solamente dei propri sogni e di tanta, tantissima passione per la loro musica, esordirono con un debut album, pieno di belle speranze, intitolato non a caso, "Hope". Ricordo ancora oggi la prima volta che li ascoltai, li etichettai subito come i “Symphony X d’Arabia,” per il loro stile particolare che ricordava moltissimo quello della band di Michael Romeo, eppure non erano dei semplici cloni (come ce n’erano tanti in giro all’epoca) della band americana, c’era qualcosa di più...questi musicisti mi colpirono subito, perchè avevano del talento, espresso non solo attraverso le loro indiscutibili doti tecniche, ma soprattutto tramite l'abilità con cui riuscivano ad interpretare in chiave metal, le loro personalissime influenze musicali mediorientali, figlie delle loro origini.
Nel corso degli anni, passando attraverso i loro 5 lavori in studio, i
Myrath sono cresciuti come musicisti, e come persone ed oggi siamo al cospetto di una band matura, dotata di un proprio sound che, se ai suoi albori era fortemente debitore nei confronti dei grandi del passato, nel corso del tempo ha sviluppato una propria fortissima e personalissima identità, che è stata forgiata da album come Desert Call (2010) e Tales Of The Sand (2011), trovando la propria definitiva consacrazione con l’ultimo bellissimo lavoro intitolato Shehili (2019), ed oggi il combo tunisino ha indubbiamente un proprio inconfondibile marchio di fabbrica.
I tempi sono quindi maturi per registrare un live album e quale location migliore avrebbero potuto scegliere i nostri, se non il glorioso Anfiteatro di Cartagine, un luogo epico, pregno di storia, in cui si respira a pieni polmoni quell’aria calda e sabbiosa tipica della terra natia dei
Myrath, un luogo perfetto per farsi avvolgere dalla tipica atmosfera onirica e sognante del mondo arabo, che verrà risaltata, oltre che dalla scenografia, in cui spiccano pregevoli tappeti orientali e sensuali danzatrici del ventre, ovviamente dalla musica dei nostri i quali però, prima di partire con il concerto, nella versione CD (eh già..perchè esiste anche una versione CD+DVD da cui sono tratti i video sotto), regalano all’ascoltatore una stupenda versione di
Believer, interpretata magistralmente dallo special guest Don Airey (tastierista dei Deep Purple).
Ma veniamo al concerto, basta dare un’occhiata veloce alla set-list per accorgersi subito che la band decide saggiamente di dare precedenza agli ultimi 2 album in studio, ovvero Legacy (2016) e Shehili (2019); lo show è praticamente un piacere per le orecchie e per gli occhi (nella versione DVD), melodie arabe accattivanti vengono sapientemente forgiate dalla band col fuoco del deserto e “metallizzate” con grande maestria. Siamo dinnanzi ad un tripudio di energia e musica, lo spettacolo è entusiasmante sin dall’iniziale
Born To Survive, la formazione tunisina è veramente in forma, attualmente si trova all’apice del successo e probabilmente anche della propria vena creativa, e questo stato di grazia in sede "live” viene ulteriormente enfatizzato, in particolar modo da un elemento come la “pulizia di esecuzione” (che personalmente ho potuto ammirare anche in prima persona, avendoli visti a Milano nel 2016), presente in tutti brani proposti, dai maggiori successi come
Wideshut,
Tales Of The Sands,
Merciless Times o la stupenda
No Holding Back, passando per i pezzi più orecchiabili come
Dance o
Believer, senza dimenticare le evocative
Get Your Freedom Back, in cui il dotatissimo vocalist
Zaher Zorgati fa un autentico figurone, o
Endure The Silence, dove invece sono le tastiere di
Elyes Bouchoucha a spadroneggiare, creando atmosfere epiche, degne della colonna sonora di “Prince Of Persia”!
Tuttavia, il vero mattatore della serata, insieme al frontman
Zaher, è l’altro fondatore della band, ovvero il bravissimo chitarrista
Malek Ben Arbia, autore di una prova perfetta, priva di sbavature, sia in fase di costruzione del brano, che in quella di esecuzione degli assoli o dei fraseggi con le tastiere, del resto non potrebbe essere altrimenti: è lui, con il suo strumento, che compie l’autentica trasformazione delle polverose “melodie del deserto” in solidissimi riffs dal sapore metallico, coadiuvato da una sezione ritmica di spessore come quella rappresentata dal duo
Anis Jouini (basso) e
Morgan Berthet (batteria).
Se proprio vogliamo trovare un difetto a questo live (perfetto anche nella produzione, indubbiamente apprezzabile anche sotto questo aspetto lo sforzo dei tunisini), lo si può individuare nella totale assenza di brani tratti dai primi 2 dischi (ovvero Hope e Desert Call), che fa storcere un pò il naso a chi, come il sottoscritto, segue i
Myrath sin dai loro esordi, almeno un paio di tracce ripescate da quel periodo, avrebbero potuto ben figurare all’interno di questo lavoro, anche per meglio rappresentare il loro percorso evolutivo. Appare evidente infatti la scelta da parte dei nostri di privilegiare i brani tratti dall'ultima fatica in studio, l'acclamatissimo Shehili (e quello ci può stare), ma soprattutto del penultimo Legacy, un album che, quando uscì, francamente non entusiasmò subito, personalmente per certi aspetti lo trovai discontinuo e controverso, ma che, col tempo, era probabilmente destinato a crescere e difatti riascoltati oggi, soprattutto dal vivo, si ha la sensazione che i pezzi rendano molto di più. E' forse in quest'ottica che va inquadrata la decisione dei nostri di anteporre gli ultimi due album, rendendo giustizia in particolare modo a Legacy, tralasciando (a malincuore) i loro esordi, quando da qualcuno (chissà chi?!), venivano frettolosamente ed in maniera semplicistica bollati come i Symphony X d’Arabia.
Live in Carthage è la definitiva consacrazione di una band che, negli anni ha acquisito consapevolezza e soprattutto una grande personalità, compiendo un viaggio, partito da un paese musicalmente poco considerato e che invece, alla lunga, per la singolare natura delle sue origini, si è rivelato essere la vera risorsa della formazione tunisina, la quale ha saputo raccogliere consensi meritati in tutto il mondo, grazie non solo alle abilità tecniche e ai gusti musicali sopraffini dei suoi componenti, ma soprattutto per merito di un sound unico nel suo genere.