I
Feleth sono 5 ragazzotti norvegesi, piuttosto giovani, che giungono al debutto con il presente “
Depravity”, disco che, se da un lato, mostra una certa convinzione di base e una discreta capacità compositiva, dall’altro lato, invece, è quanto di meno originale ci possa essere.
Il death metal melodico della band, che si pregia di alcuni parti veramente heavy, è pervaso da un costante senso di dejà vù, a partire dalle vocals, sì brutali, ma già sentite altre 1000 volte. Di certo non aiuta una produzione molto pulita, standardizzata, che mitiga l’aggressività e l’intensità sonore della band, che pure ci sono.
E sembra intellettualmente disonesto quanto avviene a metà della canzone “
Dissolution”, allorquando la band, forse proprio per dare quel pizzico di originalità al proprio sound, infila uno stacco jazz che non serve assolutamente a niente, se non a voler confondere l’ascoltatore. Ed è un peccato, perché poco prima, avevano mostrato con “
Arise” di saper comporre canzoni pesanti, heavy ed aggressive.
Se vogliamo analizzare “
Depravity” dal punto di vista stilistico, dobbiamo concludere che il disco si inserisce nell’odierno filone di bands che sanno suonare, sanno comporre e registrare dischi in maniera professionale, che sanno offrire un prodotto formalmente ineccepibile, ma che è semplicemente uguale a tanti altri.
Certo, canzoni come “
Pestilence” e “
Pale Tongue” (anche qui tentano di fregarci con un intermezzo ‘alieno’) vi daranno quella manciata di minuti di fomento e scapocciamento, ma appena premuto il tasto stop del vostro lettore musicale, non vi ricorderete nemmeno più cosa stavate ascoltando.
Il voto è semplicemente la media tra la forma (7) e la sostanza (3).
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