Copertina 6,5

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2021
Durata:60 min.
Etichetta:Crime Records

Tracklist

  1. THE STORY BEGINS
  2. THERE'S A THREAT
  3. CROSSING THE OCEAN
  4. BEOWULF'S PROMISE
  5. GRENDEL ATTACKS
  6. CELEBRATION
  7. THE HAG'S REVENGE
  8. JOURNEY
  9. UNDERWATER CAVERN
  10. REWARDS
  11. BEOWULF, THE KING
  12. DRAGON FIRE
  13. THE WARRIOR DIES
  14. FUNERAL PYRE
  15. THE STORY ENDS

Line up

  • Clive Nolan: orchestration, keyboards and programming
  • Vicki Swan: nyckelharpa
  • Mark Westwood: electric guitar
  • Stig Andre Clason: acoustic guitar
  • Arnfinn Isaksen: bass guitar
  • Scott Higham: drums
  • Geir Johansen: percussion
  • Birgitte Njå: lur
  • Morten Clason: flute
  • Ross Andrews: narrator
  • Ryan Morgan: Beowulf
  • Christina Booth: Tyra
  • Gemma Ashley: Solveig
  • Natalie Barnett: Freja
  • Ensemble Anonym: Plainchant
  • Wildland Warriors Choir

Voto medio utenti

Non assocerei mai la parola “sottotono” a un lavoro di Clive Nolan, rinomato tastierista di Pendragon e Arena, da qualche anno concentratosi su produzioni teatrali complessivamente fortunate del calibro di “She” (a nome Caamora) o “Alchemy”.

Ma c’è sempre una prima volta.

Dal punto di vista formale, “Song Of The Wildlands” - rock opera sulle vicende narrate in “Beowulf”, uno dei più antichi poemi epici britannici - non ha niente che non vada: ci sono cantanti talentuosi come Ryan Morgan o Christina Booth, orchestrazioni cinematografiche, cori epici, momenti granitici alternati a episodi dal respiro folkloristico e un narratore con una voce da brivido.

Il risultato complessivo però non convince, anzi, suona “frettoloso” - almeno per i canoni di Nolan, che ultimamente ci ha abituato ad album doppi - e poco omogeneo, con riferimenti più o meno espliciti a quanto già fatto sia da Nolan stesso che da altri prima di lui (la narrazione introduttiva che si chiude su “His name is Beowulf” ricorda veramente troppo il forse più noto “His name is Ayreon”).

Poi per carità, i buoni brani non mancano (penso a “Celebration” o alla sinistra “Underwater Cavern”), ma da una delle figure chiave del progressive rock degli ultimi anni, personalmente, mi sarei aspettato qualcosina di più.

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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