Lo sludge-stoner-doom non è così facile da produrre come si potrebbe pensare. Non basta macinare riff noise, lentezze laviche, pesantezza da caterpillar, ecc, bisogna essere in grado di intrecciare tali componenti in modo appassionante, drammatico, ferale, alimentandole con oscurità criptica e ferocia heavy metal.
I canadesi
Olde, questo lo sanno fare bene.
Si tratta di una band della zona di Toronto, dal percorso abbastanza recente (nati intorno al 2014 dalle ceneri dei Corvuss) e giunti al loro terzo full-length (dopo "I" del 2014 e "Temple" del 2017). Nelle loro fila troviamo una vecchia conoscenza: il batterista
Ryan Aubin, presente anche nei miei amati Sons of Otis (e negli scomparsi noisers Shallow North Dakota). Anche gli altri musicisti sono gente navigata della scena canadese e questo si percepisce nella compattenza del sound e nelle variazioni presenti all'interno dell'album.
Un lavoro indubbiamente pesante, molto heavy, cupo e serrato, dove incontriamo influenze post-metal, doom, rock, molto sgranate e distorte. Richiami ai Neurosis ("
A new king"), sia per il retrogusto tagliente e noise-industriale e sia per la voce gutturale di
Doug McLarty, ma anche al doom più slabbrato e ferocemente contemporaneo, vedi la brillante "
Medico della peste" con la sua funerea atmosfera southern-sludge.
Ma ci sono anche passaggi più ariosi ed emozionali, ad esempio la drammatica "
In defiance" che pare un convincente ibrido tra gli Intronaut e gli High on Fire. Pezzo da massacro live. Cadenze sulfuree ed urla come scudisciate, grande qualità ed effetto.
Il disco prosegue sempre su alti livelli, dal fumoso sludge Bongzilliano "
The dead hand" all'ipnotico ultra-doom funerario "
Depht charge", dall'implacabile incedere tetro e solenne della estesa "
Under threatening skies" (oscurità feroce sul genere Ramesses, Tons, Goatsnake) fino al monolitico noise-sludge "
Wastelands" che chiude la scaletta con una atmosfera da abisso tossico e dannazione eterna.
Massicci, cattivi, minacciosi e sfibranti, gli Olde sono pesi massimi che ti abbattono col lavoro ai fianchi. Ma si avvalgono anche di soluzioni alternative, magari estemporanee, ma di buon intuito. Come il sax di
Nick Teehan che spunta brevemente in "
The dead hand" o la chitarra dell'ospite
Daniel "Chewy" Mongrain degli immensi Voivod.
Band in crescita, con un sound poderoso e schiacciante ma altrettanto fluido e coinvolgente. Ottimo per i fans di Neurosis, Weedeater, High on Fire, Inter Arma, Primitive Man.
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