Il vero punto di forza degli svedesi
Astrakhan è il cantante
Alex Lycke, dal timbro vocale più unico che raro a cavallo tra Daniel Gildenlöw, Geoff Tate e Roy Khan.
Il nuovo
“A Slow Ride Towards Death” (che esce a pochi mesi di distanza da
“Superstar Experience”) è sicuramente un lavoro più heavy rispetto a quanto fatto fino a oggi dal quintetto, con chitarre particolarmente rocciose e muscolari (c’è
Johan Hallgren dei
Pain Of Salvation in formazione) supportate con gusto dalle tastiere rétro di
Schelander. I brani sono mediamente brevi, progressivi e moderni, ma senza troppi fronzoli, con assoli/virtuosismi ridotti all’osso e sonorità che potrebbero rimandare ai
Queensrÿche del dopo
“Empire”.
Si parte subito in quarta con
“Lonesome Cry”, che rievoca i sopraccitati POS, prima di
“Take Me With You”, la cui strofa mi ha ricordato l’immortale
“Innuendo” dei
Queen.
“What You Resist Will Remain” procede sullo stesso registro e anticipa
“Never Let You Go”, dal sapore alternative. L’ottima
“Youtopia” sfocia nel potenziale singolo
“Until It Ends”, dal rifframa di scuola
Fates Warning.
“Control” introduce elementi più attuali e prelude a
“M. E 2020”, lungo brano che deve molto al progressive americano
tout court.
Per me è sì.
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