Prima di avvicinarmi al nuovo disco dei
Lake of Tears, avevo pensato di andare a ripassare i precedenti lavori di questa formazione svedese, che ha realizzato ben nove studio album, dove i nostri hanno affrontato e sfidato svariati percorsi. Quelli dove li ha condotti soprattutto
Daniel Brennare, da sempre cantante e chitarrista della band e ormai l'unico a tenerne il timone, tanto da averli ormai trasformati in un progetto solista.
In questa fase di ripasso, ammetto di essermi soffermato a lungo su "Headstone", che a mio parere resta il loro capolavoro, con brani insuperabili come "Sweetwater" o la stessa titletrack. Ma di questi momenti ormai oggi sopravvivono solo echi, qualche ombra qua e là, infatti, i
Lake Of Tears hanno, nel corso degli anni, perseguito altre intuizioni e ispirazioni che li hanno portati lontano, nel tempo e nello spazio.
Non vanno certo colpevolizzarli per questo, altri gruppi della loro generazione - come ad esempio i Cemetary o i Tiamat - hanno apportato dei cambiamenti che ne hanno quasi stravolto il sound originale, quello che conta sono i risultati, e quelli di "
Ominous" sono sicuramente apprezzabili. Certo, "
At the Destination" spiazza con quei suoi suoni elettronici e spaziali, mentre "
In Wait and in Worries" illude nel suo abbrivio cupo e malinconico cui si adagia la voce profonda di
Brennare, che poi si trova a districarsi su ritmiche marziali, scandite e ipnotiche, simili a quelle che caratterizzano anche la seguente "
Lost In a Moment", altro brano che fa sue le atmosfere algide e taglienti che, al pari dei suoni liquidi e pinkfloydiani, caratterizzano la maggior parte dell'intero "
Ominous". La titletrack si espande lungo ben due canzoni, "
Ominous One" e "
Ominous Too", più Heavy la prima e introspettiva e mesta (grazie anche alla presenza di un violino) la seconda. "
One without Dreams" scivola via in maniera piuttosto anonima e senza sussulti, tocca quindi a "
The End of the World" il compito di rimediare, con un riuscito crescendo musicale e di disperazione, senza un vero cantato ma solo dei gemiti che si fondono al tessuto musicale. All'estremo opposto la seguente "
Cosmic Sailor", dove è l'inconfondibile voce greve e stentorea di
Brennare a dominare la scena. Un po' come avviene su "
In Gloom", inserita in chiusura come bonus track, forse per quella sua indole acustica e folk che la vedrebbe avulsa al mood del concept musicale e lirico (un viaggio spaziale, un cosmonauta, due fratelli e la fine del mondo...) sul quale è costruito questo "
Ominous".
Un album non facile da approcciare ma, se ci si entra in sintonia, in grado di rivelare diversi aspetti interessanti e di confermare l'estro compositivo e interpretativo di
Brennare, che in questa occasione si è comunque fatto aiutare da un paio di amici per le parti di basso e dal produttore del disco,
Christian Silver, per quelle di batteria.
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